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W Salvemini
15 dicembre 2007

Il 26 ottobre 1913 si svolsero in Italia le prime votazioni a suffragio (quasi) universale maschile. Esse permisero di votare, oltre che a quanti avessero compiuto i 21 anni e sapessero leggere e scrivere, anche agli analfabeti, purché avessero fatto il servizio militare o compiuto i 30 anni di età. La riforma elettorale dell'anno prima, concedendo il diritto di voto a masse di contadini, operai e marinai, ribaltò fi - nalmente il vecchio equilibrio delle forze elettorali in gioco. In Italia gli aventi diritto al voto balzarono da circa 3 milioni e mezzo a circa 9 milioni. A Molfetta il numero degli elettori salì da 3.500 a 10.000 circa. Gaetano Salvemini si era presentato come candidato socialista indipendente e dissidente nel collegio elettorale di Molfetta, che comprendeva gli elettori di Molfetta e Bisceglie, e nel mandamento di Bitonto, che includeva gli elettori di Bitonto, Terlizzi e Giovinazzo. Le elezioni politiche del 1913, soprattutto nel Mezzogiorno, furono manipolate in misura ancora maggiore di quelle del 1892, del 1904 e del 1909 da Giovanni Giolitti, defi nito già per queste ultime da Salvemini «il ministro della mala vita». Infatti, dopo i pesanti interventi del prefetto di Bari Gasperini, dei commissari Ippolito a Molfetta, Gabelloni a Bisceglie, Brogiotti a Bitonto e del delegato di pubblica sicurezza Vicario a Terlizzi, Salvemini risultò sconfi tto in entrambi i collegi a causa dei brogli e del sanguinoso intervento dei mazzieri prezzolati dal candidato bitontino Domenico Cioffrese in Bitonto, Terlizzi e Giovinazzo, e dell'azione dei meno cruenti ma ugualmente effi caci picchiatori molfettesi al soldo del sindaco Mauro De Nichilo, grande elettore del deputato uscente repubblicano Pietro Pansini. Il 26 ottobre 1913 nel collegio di Molfetta- Bisceglie l'on. Pansini raccolse 5.008 voti contro i 3.601 di Salvemini. Su un totale di 18.243 iscritti, potettero votare solo 8.609 elettori, appena il 47% del totale, contro la media generale del Regno d'Italia, che fu del 60%. Nella sola Molfetta a Salvemini, nonostante le violenze e i brogli, risultarono accreditati 2.478 voti contro i 2.580 di Pansini, con uno scarto di appena 102 suffragi. Nel collegio di Bitonto, dove votò solo il 40% degli elettori, Cioffrese si vide aggiudicati con la più vergognosa violenza 7.099 voti contro i 12 di Laudisi e i 14 di Salvemini, che legalmente avrebbe potuto raccogliere almeno 2.500 voti a Bitonto e 900 a Giovinazzo. Nonostante la sconfi tta, Gaetano Salvemini attraverso la stampa riuscì a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica italiana sulle manipolazioni elettorali del governo nel Mezzogiorno e il 1° novembre 1913 ebbe un'imponente dimostrazione a Molfetta da circa 20.000 sostenitori. Dalla folla si alzò un canto semidialettale per denigrare Pietro Pansini ed esaltare il professore universitario della Scuola Normale di Pisa. I suoi seguaci, liberi ormai dai freni polizieschi, lo portarono in trionfo come vincitore morale, fi duciosi nel successo del ricorso che Salvemini intendeva presentare alla Giunta per le elezioni. Il successo non ci sarà, ma quel corteo traboccante di persone commosse Salvemini, che il giorno dopo, domenica 2 novembre, scrisse al suo amico giornalista e scrittore Ugo Ojetti, informandolo del canto popolare: «I ragazzi di Molfetta hanno adattato la musica dell'inno a Tripoli a una canzone dialettale, che dà del camorrista a Pansini. Questo è il dernier cri di oggi». Ojetti, poi, sul Corriere della Sera del 6 novembre successivo farà uscire un reportage di denunzia delle violenze elettorali a Molfetta, che avrà larga risonanza in Italia e all'estero. Le parole di quella canzone semidialettale sono rimaste a lungo nella tradizione orale dei vecchi molfettesi analfabeti, che storpiavano il cognome di Salvemini in Salvemine, Salvemina e, a Bitonto, perfi no Salvemme. Così tra il 1974 e il 1979 è stato possibile compiere diversi rilevamenti e ricostruire un testo di maggiore attendibilità con le strofe più diffuse tra gli informatori più anziani. I rilevatori furono Giuseppe Altamura, Sergio Camporeale e lo scrivente, appartenenti al Gruppo per le Tradizioni popolari “La Berzeffa”, poi in parte confl uito nel Centro Studi Molfettesi. Si conoscono anche varianti, creazioni individuali posticce, rimaneggiamenti e aggiunte posteriori all'ottobre del 1913 e versi molto più coloriti, in questa sede tralasciati. Si pensi che esistevano delle strofette adattate ad uso e consumo delle ragazzine e dei bambini più piccoli, sulla cui bocca era disdicevole sentir cantare: «Cazzë më vè, cazzë më vè, / cazzë më vè futténnë (Cacchio mi vai, cacchio mi vai, / cacchio mi vai buscherando)», per cui si ricorreva eufemisticamente a versi più decenti, riferiti da una vecchietta: «Tazzë më dè, tazzë më dè / tazzë e pïattinë (Tazze mi dai , tazze mi dai, / tazze e piattini)». Il canto W Salvemini non ha bisogno di traduzione, ma solo di qualche piccola chiosa. L'on. Pansini è defi - nito “camorrista” nella prima strofa per aver chiuso gli occhi sui brogli e sulle violenze nel collegio di Molfetta, da cui si era allontanato alla vigilia della votazione. Escludendo dal computo il ritornello, la seconda strofa della canzone prefi gura la perdita dell'incarico di deputato da parte di Pansini dopo il successo del ricorso di Salvemini, successo che, come s'è detto, non ci fu. Pansini è detto rëfuiênë nella terza strofa sulla falsariga della propaganda spicciola dei salveminiani, che lo accusavano di essere il «ruffi ano di Giolitti » o il «ruffi ano di Montecitorio ». Il “napoleone” della quarta strofa è il marengo, moneta d'oro assunta nel canto a simbolo della corruzione e dei favoritismi clientelari elargiti a vantaggio dei “pagnottisti” pansiniani e denichiliani. Lénê-Léënë (Lena-Lena) e Cózzëla-Cózzëlë (Cozza-Cozza) della quinta strofa sono personaggi popolari, come Crapòënë (Crapone ossia Caprone) e Biasòddë (Biagina) della settima stanza. Il “camorrista” della sesta strofa è Giolitti, che rassicura Pansini sull'insuccesso del ricorso del “socialista” Salvemini. Il don Loreto della nona strofa è il monarchico don Loreto Tortora, ex consigliere provinciale.
Autore: Alessia Ragno
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