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Video mapping di Amnesty International a Molfetta contro la pena di morte
03 dicembre 2014

MOLFETTA - La pena di morte è l’estrema negazione dei diritti umani, è un omicidio premeditato, eseguito a sangue freddo, in nome della giustizia. Per la giornata mondiale della Cities for Life, che ricorre il 30 novembre, il Comune di Molfetta ha scelto di proiettare sulla facciata del vecchio Municipio, simbolo della città, un video mapping tematizzato (vedi la video gallery qui a destra nella home page di Quindici) e alcune campagne di Amnesty International. A realizzare la proiezione No More Deaths, la DOT Studio, composta da Marco Fumarola e Raffaele Salvemini, responsabili della parte video, e Massimo Sciannamea, curatore della musica. Presenti in Piazza Municipio anche gli attivisti di Amnesty International 236 Molfetta (vedi le foto di Marianna Palma).

Video luci e musica hanno trasmesso il senso di angoscia, di solitudine e di terrore che devono provare i detenuti rinchiusi nel braccio della morte, nelle loro celle soffocanti, in attesa del giorno dell’esecuzione, o la paura e l’umiliazione di quelle pubbliche come la lapidazione o l’impiccagione. Uno studio di Amnesty International dimostra come l’applicazione della pena di morte spesso è discriminatoria e viene eseguita in maniera sproporzionata su poveri ed emarginati, essa è a volte applicata arbitrariamente, in violazione dei divieti e delle salvaguardie internazionali. Amnesty si oppone alla pena di morte in tutti i casi e senza eccezioni, indipendentemente dalla natura del crimine, dalle caratteristiche dell’imputato e dal metodo applicato dallo stato per eseguire la condanna (tra quelli oggi utilizzati rientrano l’impiccagione, la decapitazione, la fucilazione, l’iniezione letale, la sedia elettrica).

Nel 2013 sono state eseguite condanne a morte in 22 paesi, ma la maggioranza delle esecuzioni è avvenuta in sei paesi: Cina, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Stati Uniti e Somalia. Lo scorso anno, le sentenze capitali sono state emesse in 57 paesi, nel 2010 erano stati 67, nel 2011 sono scesi a 63 e nel 2012 a 58. Il numero di paesi che la applicano è quindi in diminuzione. Novantotto paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati e oggi sono 140 quelli abolizionisti per legge o nella pratica. Nonostante ciò, almeno 778 persone sono state messe a morte in tutto il mondo nel 2013 e questo dato non comprende le migliaia di persone messe a morte in Cina, dove la pena capitale è considerata un segreto di stato. Inoltre, nello stesso anno, quattro paesi hanno ripreso le esecuzioni: l’Indonesia, il Kuwait, la Nigeria e il Vietnam.

La condanna a morte non solo viola il diritto alla vita ed è una punizione crudele, degradante e disumana, ma è soprattutto una pratica irrevocabile che può essere inflitta a  degli innocenti. Per il condannato la sofferenza psicologica provata quando si viene informati di una data di esecuzione fissata o di un appello respinto è incommensurabile e a soffrire sono anche i familiari, le cui visite sono limitatissime. Spesso la pena di morte è circondata da segretezza: in alcuni paesi la data dell’esecuzione non viene comunicata ai condannati e neppure alle famiglie, negando così la possibilità di un ultimo saluto. Ad esecuzione avvenuta, le autorità possono rifiutarsi di restituire alle famiglie il corpo del loro caro, o di informarli del luogo in cui è stato sepolto.

Oggi che accada ancora tutto ciò è inaccettabile. Che uno stato si erga a Dio, senta di poter decidere sulla vita degli individui e ci convinca che è legittimo, legale e comprensibile è intollerabile. Uno stato in cui è applicata la pena di morte si può chiamare con un solo nome: assassino. La modernità, le avanguardie e le tecnologie che questi stati hanno, che noi stessi ci vantiamo di possedere, non ci fortificano se siamo aridi, se non siamo prima ricchi dentro, se non ci battiamo per quegli ideali secolari che trovano la loro origine nel rispetto per la vita umana, la tutela e la valorizzazione della stessa.

© Riproduzione riservata

Autore: Marianna Palma
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