Vaghe stelle ed altri racconti
Dopo il successo del saggio Un amico di Garibaldi: Eliodoro Spech, cantante, patriota e soldato (Imprinting, Molfetta, 2011), insignito del “Fiorino d’oro” al XXIX Premio Firenze, ecco una nuova, deliziosa, prova letteraria dello scrittore molfettese Marco Ignazio de Santis, apprezzato collaboratore di “Quindici”. «Vaghe stelle» e altri racconti è una pregevole silloge di testi narrativi, edita per i tipi di Genesi e corredata da una lucidissima prefazione del critico e scrittore Sandro Gros-Pietro. Il florilegio raccoglie scritti del de Santis già in precedenza pubblicati in altre sedi, dalla prestigiosa rivista “La Vallisa”, di cui il molfettese è redattore dal 1985, ad antologie quali La penna e il sogno: l’arte del racconto (La Vallisa, Bari 1986) o 38 racconti italiani (e non) di genere fantastico (Editoriale Donchisciotte, Montepulciano 1991). Come acutamente osserva il prefatore, già il titolo, di leopardiana memoria, introduce una delle tematiche chiave dell’opera: il “conflitto tra il reale e l’illusorio”. Come la contemplazione della luminosità astrale aveva determinato l’insorgere di consolatorie fole nell’animo del poeta, così molti personaggi dei racconti di de Santis si troveranno melanconicamente a misurare il divario tra le proprie sfavillanti aspettative e una prosaica realtà. Particolarmente forte appare la vicenda di Milena, un atto di accusa verso un mondo apparentemente dorato, quello dei cultori dell’arte poetica. L’aspirante scrittrice si accorgerà ben presto del business che si cela dietro sedicenti club e riviste letterarie e resterà coinvolta nel superficiale gioco al massacro che caratterizza certa critica letteraria snob oggi à la page. Per non parlare dello squallore di presunti talent scout e giornalisti che riveleranno tutto il loro lerciume. Il contrasto tra le apparenze e l’amara realtà finisce per approdare a una melanconica demistificazione dell’amore romantico, nel prezioso racconto La villa di Clelia. Il motivo dell’hortus conclusus diviene metafora del “lenocinio d’élite”. Tra il protagonista e l’eterea figura femminile del titolo si instaura un delicato rapporto fondato sull’assorta contemplazione di piccoli gioielli della natura, come l’Ophris apifera. Ma i “muri scalcinati”, ‘infestati’ dall’edera, e i ruderi circostanti la villa sono forse spie del degrado occultato dall’apparente maschera del giardino di delizie. De Santis si muove con grande padronanza degli strumenti retorico- stilistici in ambiti narrativi differenti. Si cimenta con racconti di carattere neo-storico, a offrire letture alternative del processo risorgimentale o curiosi squarci di vita e morte tra Molfetta e Bisceglie, intagliando con levità figurine molto ben caratterizzate anche in pochissime righe (un esempio è rappresentato dalla Guercia di Navarino). Rievoca il fenomeno del tarantismo, con un atteggiamento apparentemente scientista che nel finale di La tarantola lascia l’uscio socchiuso, occhieggiando al lettore, anche a spiegazioni non proprio razionaliste e all’elemento onirico. Onirismo che domina virtuosisticamente in un pezzo di bravura quale L’apocalisse, che trae linfa vitale da suggestioni del bostoniano Poe e si configura come un robusto incubo surreale, con sprazzi di automatismo psichico e un pizzico di ironia alla Corman che non disdice.
Autore: Gianni Antonio Palumbo