MOLFETTA – 21.10.2005
Riceviamo e volentieri mettiamo a disposizione come contributo al dibattito politico in questa città, una lunga nota del prof. Vito Copertino (nella foto), ingegnere, docente universitario, personalità di spicco del centro sinistra, vicino alle posizioni di Rifondazione Comunista e fondatore del periodico di approfondimento le “Passioni di sinistra”. Di Vito Copertino si è parlato a lungo come di uno dei papabili ad essere candidato sindaco del centro sinistra ed è anche stato esplicitamente indicato per questo dal “Movimento del Buon Governo.
L'ing. Copertino, nel documento che segue, ricostruisce le vicende degli ultimi mesi, ritenendo che ciò possa essere utile affinché “L'Assemblea dell'Unione sia il luogo della ricerca attenta di linee programmatiche, regole e candidatura a sindaco. Perché le primarie, se proprio necessarie, diventino una risorsa e non siano il limite né l'ostacolo alla costruzione di un'ampia coalizione vincente”.
Ecco il documento:
“Vorrei provare ad analizzare la situazione attuale: un'analisi che parta dal riconoscimento delle tappe finora attraversate dall'Unione a Molfetta e dal lavoro svolto fino ad oggi per giungere, passo dopo passo e faticosamente, ad una prospettiva credibile che nelle prossime settimane si rafforzi, fino alle elezioni comunali del 2006.
E' a partire, per lo meno, da gennaio 2005 che le forze politiche del centrosinistra molfettese provano a ricercare l'esistenza di una volontà comune di costruire una coalizione ampia, determinata a battere il centrodestra a Molfetta, dunque ad opporsi ad un'amministrazione dominata dall'asse Azzollini-Amoruso e a governare stabilmente la città nei prossimi anni.
Un buon inizio è rappresentato dal documento politico che all'inizio dell'anno ha avviato il processo: un documento dal titolo “la Grande Alleanza Democratica di centrosinistra per l'alternativa al governo della città”. Su questa base si tennero due assemblee pubbliche, piene di aspettative, tra la fine di gennaio e i primi di febbraio. Si avvertiva un'atmosfera carica di attese, ci furono molti interventi, affiorarono i primi spunti critici, e utili.
Si continuò poi con incontri politici, chiusi e impenetrabili. In riunioni, numerose e pur ristrette, le segreterie dei partiti dell'Unione inseguirono tuttavia le ragioni di una coalizione che fosse davvero nuova per la città, e ciò anche in coincidenza delle entusiasmanti elezioni regionali in aprile e in concordanza con il promettente successo elettorale di Vendola presidente.
Di fronte ad una manifesta e perdurante incapacità ad affrontare i nodi fondamentali della coalizione politica, ma grazie tuttavia ad un risveglio della funzione di mediazione e del ruolo di guida dei partiti, questi “chiamarono la città” a lavorare all'ipotesi di un programma che esprimesse una vera capacità di cambiamento e di governo. C'era voglia di partecipare: eravamo in giugno e la risposta della città fu ampia, attenta, partecipata.
Tre assemblee dell'Unione, tra la fine di giugno e l'inizio di luglio, verificarono il senso dello stare insieme, mentre cresceva la confusione nella generale situazione politica cittadina, a causa di passaggi di posizione e di ruolo politico-amministrativo da parte di trasmigranti (già assessori della presente amministrazione di centrodestra, che hanno dato luogo ad un partito di ispirazione socialista), oppure di prospettati esodi di transfughi e ventilati cambiamenti di divisa politica da parte di personaggi (ancora assessori in carica nella giunta dell'attuale sindaco, pure militanti nell'Italia dei valori o appartenenti addirittura alla destra cittadina nazional-alleata), che si aggiungerebbero a coloro che già negli ultimi due anni, non accettando di rimanere sotto il dominio del sindaco Tommaso Minervini e dei due parlamentari del centrodestra, si sono collocati all'opposizione in consiglio comunale e nella città (cercando collocazione nella Margherita o in altre formazioni di centro, già aderenti all'Unione e dando vita al cosiddetto 'laboratorio politico', oppure continuando l'azione del 'riscatto della città' e degli 'ambientalisti', o riproponendo una resistente nuova 'democrazia cristiana').
Si verificò allora, nelle suddette assemblee, qualcosa di nuovo, che perdura ancora oggi. Vi partecipa la società civile, quella che vuole “rendere migliore” la politica, la vuole - si perdonino i neologismi - “quotidianizzare”, “democratizzare”, “femminilizzare”. Si prospetta soprattutto la rifondazione della politica. Un'attiva partecipazione e costruzione del programma ha impegnato, in piena estate, tre gruppi di lavoro e di elaborazione, paralleli e competenti, nel mettere a fuoco i principali problemi della città (selezionati e poi raggruppati in urbanistica e territorio, economia e lavoro, socialità e cittadinanza attiva) e i contenuti programmatici della costruenda coalizione.
La partecipazione di movimenti, associazioni, sindacati, comitati di base, laboratori e singoli cittadini, giunge finalmente ad arricchire il quadro, ancora chiuso e mortificante, dell'opposizione e dell'alternativa, contribuendo alla comune ricerca di un'anima che la coalizione ancora non ha: è questa la vera svolta, tardiva ma pur sempre necessaria, nel cammino intrapreso. E' la pressione “dal basso” dei tanti laboratori dell'autogoverno locale: un percorso che punta ad unificare storie, esperienze, realtà, un percorso che insegue sintonie, nonostante le differenze, a volte persino necessarie, comunque ineliminabili.
Il quadro è chiaro: movimenti e associazioni esprimono le soggettività del cambiamento, non involucri vuoti, ma esperienze già vissute e pratiche già in vigore e operanti; spetta, invece, ai partiti di immetterle in un vero progetto di cambiamento della società, in un percorso di democrazia e di partecipazione alle politiche di amministrazione della città.
Si capisce che c'è bisogno di riprendere il dialogo dei partiti con i diversi laboratori sorti negli ultimi anni, i comitati di cittadini nati su questioni urbanistiche (piazza Paradiso, sottopasso di via Terlizzi, centro antico, comparto Pansini-legnami) e sanitarie (la difesa delle strutture sanitarie dall'assalto del piano di riordino ospedaliero), i comitati di quartiere che possono nascere su aspetti del bilancio comunale, e poi le associazioni ambientaliste e culturali impegnate nella valorizzazione della storia e del territorio, le associazioni di produttori e commercianti sensibilizzate su scelte di insediamento delle attività (la questione della “città della moda”, una città fuori città, un “non luogo”), le associazioni sindacali di lavoratori attive sul diritto ad un lavoro che non sia sfruttamento, i circoli giovanili sani, i centri di volontariato e di assistenza agli anziani, i gruppi della comunità di stranieri, che abitano nella nostra città, frequentano le nostre scuole, lavorano nei campi e sul mare.
Si profila una situazione davvero nuova rispetto all'esperienza, pur importante, del “Percorso”. Contrariamente al 1994, siamo oggi in presenza di due “poteri” (non so chiamarli diversamente) paralleli, da rendere convergenti: non si tratta soltanto della “società civile” che si sostituisce alla “politica dei partiti”, bensì sono entrambe presenti e vive e bisogna che contino. E' necessaria la loro integrazione effettiva: assomigliano a due squadre di operai che scavano un tunnel da parti opposte della montagna, ma non sono ancora convinti che il progetto li farà incontrare e non divergere a distanza.
Occorre, dunque, continuare a lavorare all'opera di costruzione di una forte coalizione e di una vera Unione, per renderla credibile ai cittadini e capace di superare i limiti tuttora esistenti nell'azione collettiva dei partiti che la compongono.
Si sa che c'è un problema da affrontare: come impedire che in questo processo si introduca il “disturbo” rappresentato da improvvisati movimenti o associazioni o laboratori politici, rispolverati d'improvviso o sorti dal nulla non per promuovere il cambiamento necessario e segnare una forte discontinuità col passato ma per conservare privilegi e illegittimità.
Qui si pone l'unica domanda utile, semplice, diretta: è possibile capire e chiedere che cosa cercano? Cercano posizioni di potere oppure manifestano una reale volontà di contribuire al cambiamento? Come? Con quali garanzie?
C'è anche un altro problema: si diffida dell'autonomia di movimenti ed esperienze che pur operano, generosamente e senza interessi, da tempo nella città. La loro presenza autonoma è un valore aggiunto per la coalizione, eppure si sospetta che dietro ci sia un manovratore, il burattinaio. Particolarmente in alcune segreterie politiche, si riscontra un'insistente sfiducia in quei movimenti che non abbiano in qualche modo un riferimento ai partiti, gli unici accreditati ad operare le scelte importanti e prendere le decisioni.
Alla fine di agosto, con le segreterie dei partiti dell'Unione in chiara difficoltà e in grave ritardo, si amplifica e si risalta il ruolo di movimenti ed associazioni che, dall'interno della coalizione, producono una carta dei valori fondativi della coalizione, un manifesto programmatico, con idee forti, voglia di discontinuità. Può diventare fucina di idee su come si contribuisce, anche attraverso la sana amministrazione della città, a: lotta alla povertà, attacco alle rendite, ripudio della guerra, lotta al precariato di giovani e lavoratori; difesa dei diritti alla casa e al lavoro, dei salari e delle pensioni, difesa dei beni comuni e tutela dell'ambiente.
Eppure perdura una situazione in cui confini della coalizione e pressioni per un suo allargamento, scelta del candidato sindaco e regole interne di governo continuano ad essere motivi di dissidio e scontro, impedendo l'edificazione di una maggioranza che, per governare, avrebbe bisogno non solo di contare su numeri elettorali, ma soprattutto di chiarezza per porre fine a diffidenze, egoismi e sensi di parte.
C'è un limite: da più parti si pensa che i movimenti e le associazioni vogliano radicalizzare la posizione sulle regole della coalizione e del “codice deontologico” di partecipazione alle elezioni ed al governo della città. Si tratta di far capire che non è soltanto un pur utile atteggiamento etico/normativo, quanto il tentativo di definire i contenuti e i soggetti di un programma politicamente avanzato, le cose da fare nel governo della città e con chi farle.
C'è, ancora, un limite nell'impostazione del lavoro di costruzione dell'Unione: le segreterie dei partiti - che continuano legittimamente a riunirsi in incontri separati, alimentando il sospetto che esse siano ingabbiate in un aprioristico contesto di “accordi di livello superiore” finalizzati a far quadrare le candidature parlamentari - sembrano rimanere chiuse nel respingere la pari dignità di tutte le forze politiche a rappresentare l'intera coalizione, sicchè non appare opportuna una candidatura che si riferisca alla sinistra alternativa e cosiddetta “radicale”. Non è esplicitamente dichiarato, ma è evidente che non bastano competenza, serietà, onestà, discontinuità, ci vuole un candidato che non venga espresso dagli estremi della coalizione! E' una riedizione della conventio ad escludendum?
Forse per un deficit di conduzione politica, ma sicuramente per un'oggettiva difficoltà a trovare le soluzioni giuste, si accumulano i ritardi, mentre occorrerebbe impegnarsi a rinsaldare alcune fratture, coprire alcune distanze: la separazione tra politica e mondo reale, oltre a quella tra partiti e movimenti; ma anche quella tra centro e sinistra; come la contesa tra moderati e radicali; tra riformisti ed estremisti; e, poi, la differenza tra sinistra dell'alternanza e dell'alternativa; senza trascurare quella tra contenuti forti e discriminanti da un lato e quelli deboli e neutri dall'altro; che significherebbe anche tra massimalisti e minimalisti; tra idealisti e pragmatici; la scelta tra riformare e opporsi al neoliberismo; la discussione tra crescita e decrescita, nei modelli dell'economia e del progresso; tra grandi e piccole infrastrutture (le improbabili prospettive del porto, la povertà della città della moda); l'eterna scelta tra espansione e riqualificazione della città; l'inutile rompicapo tra obiettivi locali e globali. Senza enfatizzare la distanza tra mondo cattolico e valori laici. La distanza dunque tra elaborazione culturale e programmatica. E così, una giusta impostazione della “questione delle questioni”, la scelta tra respingere od accogliere “gli altri”.
Quale prospettiva, invece? E' indubbio, direi scontato, che siano i partiti a guidare il processo dell'Unione, costruito dal basso, contando sulla forza e sull'autonomia dei movimenti. Siano invece i movimenti, per approssimazioni successive, a costruire obiettivi politici comuni e manifestare capacità di mobilitazione, siano in grado di invertire la rotta dei processi economici in atto e di prefigurare nella concretezza delle esperienze l'alternativa di un altro modello sociale. E' questa la sfida della partecipazione dei cittadini alla gestione di beni rari ed esauribili: un laboratorio di sperimentazione di un indirizzo contrario alla mercificazione (l'acqua, con Riccardo Petrella all'Acquedotto Pugliese; le coste, le cale, le lame e il parco della “Murgia marina”, con Laura Marchetti alla Provincia; il territorio, con la gestione corretta del Piano Regolatore Comunale e gli altri piani sotto e sovraordinati) ed alla privatizzazione spinta. Una linea di continuità con l'azione della giunta regionale, guidata da Vendola.
Si cade, invece, fin dall'inizio nell'errore di discutere prioritariamente sull'opzione delle primarie: queste non possono precedere la ricerca seria, attenta, di una guida che sia davvero espressione del cambiamento e dell'unità ritrovata. Perchè temere ed impedire il dibattito pubblico su cambiamento e unità, perchè evitare con ostracismi o sottintesi il confronto costruttivo sulla scelta del candidato? Quanto utile sarebbe un confronto pubblico davanti alla città e nelle assemblee aperte e partecipate!
Serve la consultazione delle elezioni primarie quando sono destinate a incrementare la partecipazione diffusa e, dunque, a rafforzare l'Unione, a individuare una leadership che sia autorevole (per discontinuità, competenza, coerenza, credibilità) nel rinsaldare la coalizione elettorale (divisa, ma non si sa bene in cosa), non nel creare ostacoli alla partecipazione e al governo partecipato della città. Occorrono primarie che non siano un quiz, non una conta, né una campagna pubblicitaria, ma occasione per far parlare le persone qualsiasi, nella loro lingua, e porsi all'ascolto.
Costruire, tutti insieme, le condizioni per una proposta programmatica condivisibile che sia rappresentata da un candidato credibile anche perché la sua storia personale è un pezzo della costruzione stessa di quel progetto, è cosa diversa, e molto diversa, dal tentativo dei partiti di inventare, ricercandole a tutti i costi e con ogni mezzo, una o più candidature solo per contrapporsi, affermare la propria visibilità, giungere alle primarie e poi contarsi. Il rischio è che le primarie diventino un gioco al massacro per i contendenti e per l'unità della coalizione oppure siano primarie finte perché, nella raccolta del consenso, dominano logiche e mezzi che escludono le energie nuove di cui si ha bisogno o le lasciano ai margini.
Le elezioni primarie a tutti costi: si dice che siano la migliore espressione della democrazia partecipativa; che non ci siano spazi per la designazione di un candidato in sede assembleare e neppure all'interno degli incontri dei partiti aderenti all'Unione. Pur di impedire la candidatura unica e di fronte all'eventualità che un lotto di troppo numerosi candidati - in cerca di visibilità per contrattare una presenza in consiglio comunale o in giunta - mettano in crisi il progetto unitario, si preferirebbe persino il metodo delle primarie con successivo ballottaggio: un inutile appesantimento del processo decisionale. Scandalosamente di parte è, poi, la proposta di primarie con più di una preferenza: un insulto alla libera scelta. S'inventa persino il metodo del “ranking”: un invito alla casualità nel decidere. Proposte, queste, che sembrano, per fortuna, abbandonate.
Giunge settembre, saltano tutti gli appuntamenti dell'agenda stabiliti tra partiti e movimenti. Non è chiara la comunicazione tra i soggetti coinvolti; la possibilità della candidatura unica si allontana e i motivi per cui si prorogano i tempi per la definizione della/delle candidature restano tuttora oscuri ai soggetti che non partecipano alle consultazioni al vertice dei partiti. Si vogliono forse escludere gli estremi della coalizione? Oppure si affermano principi di “non paritarietà” tra i partiti? Occorre imbarcare transfughi inaccettabili? Si ha timore di dare un messaggio troppo forte di cambiamento? Non si condividono le linee programmatiche espresse dall'assemblea, in luglio? Non si condivide la “carta d'identità”, espressa dai movimenti nei primi giorni di settembre? Oppure è il risultato di uno scontro tra opzioni politiche e programmatiche troppo diverse per stare dentro un'unica coalizione? E non se ne vuole prendere atto?
Può ancora accadere che siano i movimenti, le associazioni e la base dei partiti a convincere della bontà di un metodo per giungere ad un candidato gradito alla società civile ed alla cittadinanza attiva, indipendentemente dalle indicazioni delle segreterie politiche e coerentemente con la sua storia civile, sociale, politica, professionale, storia utile a realizzare il programma comune.
Le condizioni per giungervi: costruire un soggetto politico “plurale” e libero da pregiudizi; ridefinire il significato di politiche alternative, attive nella lotta a tutte le rendite di qualunque tipo, nella “deprecarizzazione” del lavoro, nel reperimento di risorse per rilanciare lo sviluppo correggendolo e rendendolo sostenibile, nella ricerca di tali risorse laddove si è concentrata la ricchezza in questi anni; scrivere il Manifesto dell'Unione, individuando gli obiettivi positivi e comuni e tralasciando gli elementi di contrasto; rimuovere i veti dei partiti ad una candidatura unitaria; cominciare a delineare il profilo di vita e di lavoro dell'aspirante candidato.
Il senso della candidatura è nella sua capacità di parlare nell'Unione la lingua del cambiamento, rafforzandone le ragioni, l'efficacia, la forza programmatica: un candidato che aiuti a identificare il “popolo del cambiamento”, al di là delle alchimie delle sigle, stabilendo una frontiera avanzata contro le tentazioni conservatrici e neocentriste.
Può anche accadere, a tal punto, che la ricchezza (e non le divisioni e i veti) della coalizione programmatica esprima anche più di un candidato che risponda ai requisiti concordati e dunque si vada alle primarie. Si capisce finalmente che la migliore garanzia di confini e tenuta della coalizione è nel ragionare sulla caratterizzazione dei candidati e nel descrivere i loro connotati politici, gli attributi culturali, l'impegno sociale. Può accadere che i partiti finalmente superino la resistenza a discutere di requisiti e la propensione ad eseguire gli accordi imposti dall'alto o a inseguire nuovi accordi.
Se non riesce l'assemblea dell'Unione, larga di partiti, movimenti ed esponenti solitari della società civile, a sciogliere il nodo della candidatura, allora si prenda la decisione di organizzare primarie vere, libere e democratiche. Non c'è altra via, purché esse non corrispondano ad una degenerazione leaderistica della politica, ad una personalizzazione dei partiti e degli schieramenti, ad un'ideologia decisionista e autoritaria.
Solo così le primarie rafforzano il senso coeso dell'Unione che nasce dal basso, ed evidenziano la chiarezza degli obiettivi programmatici, individuati dalla coalizione: coesione e chiarezza diventano il patrimonio di risorse per vincere le elezioni, abbattendo ostacoli e rimuovendo limiti al cambiamento. Le primarie possono così rinsaldare l'unità della coalizione? Potranno raccogliere la partecipazione come trampolino di lancio per le elezioni vere e proprie? Si eviterà che esse servano solo a valutare il peso delle diverse componenti nell'Unione? Che non rispondano solo a calcoli di partito? Che a trarne vantaggio sia solo la coalizione?
Se è così, decidiamo di fare ricorso alle elezioni primarie, perché siano utili e non diventino dannose, dirompenti. Decidiamo di andare alle primarie con un'assemblea che promuova finalmente una seria discussione su una proposta di indirizzo politico e di programma, per la futura amministrazione. Forse è su questo che gli elettori, anche quelli che in molte recenti elezioni si sono astenuti dal voto, attendono che ci si decida finalmente a dire qualcosa di impegnativo, e forse vorrebbero evitare che si gareggi in un'inutile conta di voti per le persone.
Poi, rimettiamoci tutti quanti al lavoro, perché un programma non è la sommatoria di slogan, ma è fatto di progetti veri, in cui siano chiaramente individuati gli obiettivi, i tempi di realizzazione, e siano riconosciute le risorse disponibili e gli strumenti finanziari necessari, siano espressi i conti, le compatibilità, le poste di bilancio, ecc. ecc. L'Unione, se davvero vuole governare, deve mostrarsi capace di costruirli, i progetti per la città. Il coordinamento dei movimenti si è già offerto a lavorare per 10 progetti per l'amministrazione.
Per convincere e vincere, occorre iniziare, secondo un'esperienza già in vigore in molti comuni italiani, con un vero e proprio 'Manifesto del comune virtuoso', che proponga un nuovo stile di vita e nuove pratiche da adottare nella pubblica amministrazione cittadina, nuovi e coraggiosi obiettivi nei programmi sociali, alternativi modelli nei programmi economici.
Si tratta anche di amministrare rispettando l'ambiente, orientandosi al consumo critico, all'utilizzo di tecnologie eco-compatibili, all'attivazione di percorsi partecipativi, all'integrazione sociale dei cittadini, alla finanza etica.
Si tratta di muovere le leve giuste: il piano regolatore, i piani di comparto, fino ai capitolati d'appalto, fino alla mensa scolastica, la gestione sostenibile degli edifici di proprietà comunale, il boicottaggio delle imprese che, operando con l'amministrazione, non rispettano i diritti dei lavoratori, il mantenimento e rafforzamento del controllo pubblico sulla gestione dei beni comuni (l'acqua, le coste, le lame, …) e dei servizi collettivi (trasporti, rifiuti, …).
Si tratta di muoversi verso una ricchezza collettiva per la città: nel caso delle abitazioni, perseguire un indicatore sintetico di benessere dato dalla percentuale di case decenti ad un costo sostenibile, rapportato ai redditi medi e bassi delle famiglie, siano esse case da acquistare o da affittare, disponibili nel mercato pubblico o in quello privato. Sono queste le case che mancano a Molfetta, come in Italia. E mancano da molto tempo, oggi più di ieri, e tale mancanza ha allargato a dismisura i confini sociali del disagio abitativo. Gli effetti sono visibili nell'impossibilità dei giovani di emanciparsi dalla famiglia, nella difficoltà di nuove coppie a trovare casa, nell'incremento dei casi di coabitazione coatta, nella crescita dei senza tetto, nelle tante forme di “abitare inferiore”.
Infine, la consapevolezza che si tratta di contrastare il “partito dell'edilizia”: una sorta di “baronato edile urbano”, famelico e distruttivo dei caratteri della storia della città, che sovrasta qualsiasi altro gruppo di potere. Si tratta di un intreccio tra imprese, tecnici del comune e politici: non è niente di nuovo nel panorama degli ultimi trent'anni, ma oggi produce volumetrie ingiustificate nei piani di comparto, regala volumi nella B4, fuori di qualunque piano. E' un potere locale che agisce fuori e contro piani e progetti, che manipola, fino a travolgerla, la pianificazione della parte nuova della città.
Ma, soprattutto, c'è da passare dalla pur importante enunciazione di principi alla prassi quotidiana: avviare grandi processi di trasformazione e di innovazione, partendo dalle piccole cose, dalle piccole realtà. “Dal concreto al concreto”: questo il modello di lavoro, un modello che parte dall'individuazione concreta dei problemi essenziali e veri, e propone soluzioni concrete e credibili.
Forse, è questo il senso vero di quella che si vuole definire “sinistra radicaleggiante ed estremista”: praticare piccole scelte per ottenere grandi risultati. E' pronta la sinistra molfettese, è pronta la coalizione dell'Unione?”
Vito Copertino