Un piano contro l'ospedale: declassato per favorire Bisceglie
INCHIESTA – Dopo la chiusura di pediatria e ginecologia, Molfetta perde anche chirurgia, ortopedia e traumatologia, urologia e nefrologia
Da settimane non si parla d'altro. Interi ospedali si apprestano alla chiusura ed è Fitto la vera superstar del momento, grazie a un piano regionale di riordino ospedaliero che non piace proprio a nessuno.
A Molfetta, come in quasi tutte le città pugliesi, questo piano ha suscitato proteste, petizioni, polemiche a distanza, ma anche moti di rabbia assai ravvicinati. Non c'è dubbio: a questo provvedimento firmato dal governatore della Regione Puglia, Raffaele Fitto, va riconosciuto il merito di aver risvegliato nei cittadini una sensibilità nuova, verso la sanità pubblica, la funzione degli ospedali, la necessità di preservare servizi e strutture. Anche a Molfetta il piano di riordino ha sollevato gli animi. Perché penalizza un ospedale nel quale, inutile nasconderlo, nessuno ha mai creduto veramente, ma del quale, evidentemente, soltanto oggi tutti riscoprono il valore.
Non si tratta soltanto di una questione di equilibri politici o di un bell'argomento da sfoderare nelle camere di palazzo: la certezza di poter contare su un pezzo di sanità pubblica dentro casa appartiene a tutti. Per questo oggi in città non si parla d'altro.
Interrogativi senza risposta
Perché a Molfetta chiudono 4 reparti (chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, urologia e nefrologia), e di altri 2, pediatria e ginecologia, si decreta la morte definitiva? Per colpa dei numeri, dicono gli esperti. E anche le carte. Percentuali, cifre, indici: tutti a sfavore di Molfetta e a vantaggio di Bisceglie, città eletta ad ospitare l'ospedale principale del neo presidio ospedaliero Bisceglie-Molfetta. Secondo il piano, Molfetta perderà anche il centro trasfusionale e il pronto soccorso. Via, dunque, la banca del sangue, vero fiore all'occhiello di tutta la regione: qui, a detta degli stessi donatori, la qualità dell'offerta sanitaria è davvero eccellente e alcuni dei servizi forniti non vengono praticati in nessun altro centro trasfusionale del Mezzogiorno. Ma questo non è scritto nel piano di riordino. Così come non si legge che l'ospedale di Molfetta, sul piano delle strutture, è risultato in un recente studio elaborato dal Tribunale del malato, tra i 12 ospedali più sicuri d'Italia. Non c'è traccia neppure delle 3 sale operatorie recentemente rimesse a nuovo: 3 ambienti sicuri e completamente a norma che Bisceglie non possiede (pur essendo diventata "polo chirurgico"). E ancora, un pronto soccorso attrezzato che, stando al piano, lascerebbe il posto a un "posto di primo intervento" (su modello di quello esistente finora a Giovinazzo): 1 medico, 1 infermiere, 1 ausiliario, 1 autoambulanza e nulla più. Per 100.000 persone e per le centinaia di incidentati soccorsi dall'ospedale di Molfetta, a due passi dalla S.S. 16bis. Niente di tutto questo è scritto nel piano di riordino. Non una parola.
Qualcuno dà i umeri
L'Ares (Agenzia regionale sanitaria della Puglia), in compenso, sfodera i decimali. Fa il suo mestiere, obietterà qualcuno. Numeri alla mano, bacchetta i meno efficienti e premia i più solerti. Ma è sempre vero quello che dicono i numeri?
Bisceglie ha sottratto a Molfetta chirurgia generale con 20 presenze contro 18 e ortopedia e traumatologia con 18 contro 17. Senza contare che in alcuni periodi dell'anno i posti realmente disponibili erano molti di meno a causa della carenza del personale paramedico e che, quindi, le percentuali di occupazione probabilmente erano in realtà più alte di quanto non sia stato registrato. Senza contare che alcuni reparti, come ostetricia e ginecologia, alcuni servizi di day hospital (come quello per la cura dell'ipertensione) sono stati periodicamente disattivati, per essere sospesi definitivamente a dicembre (come è accaduto nel caso di ginecologia e a pediatria), o riattivati dopo alcuni mesi (così per i day hospital).
Tra le percentuali che contano, secondo questo piano di riordino, c'è anche il "peso medio di complessità" degli interventi: a ciascun tipo di operazione chirurgica, ad ogni degenza, corrisponde un numero, una soglia di complessità che influisce anche sugli importi che spettano a ciascun reparto. A Molfetta, per esempio, il "peso medio" del reparto di chirurgia generale è pari a 0,90, battuto dallo 0,96 detenuto da Bisceglie. Anche qui una vittoria "sui decimali". Che, tra l'altro, si riferiscono soltanto all'annata 2001. Che ignorano i parametri di qualità e si soffermano su quelli di attività.
Non conta neppure il fatto che negli ultimi mesi il reparto di urologia di Molfetta si sia dotato di macchinari innovativi e tecnologie avanzate (apparecchi per la litrotissia e la flussometria). Troppo difficile far rientrare riflessioni di questo spessore nell'angustia di un numero o di una percentuale.
Il vero problema è far quadrare i bilanci. E' questo quello che ormai dicono tutti, da Fitto ai portantini dell'ospedale. Ma nella sanità la questione non è così semplice e persino i deficit di bilancio hanno un'anima.
"Tutti gli ospedali sono in deficit", spiega il dott. Emilio Mari, vice direttore sanitario dell'ospedale di Molfetta. "La Regione mette a disposizione, per i servizi sanitari, 1 milione e 700 mila vecchie lire per ogni abitante: ma una sola bronco-polmonite comporta una spesa pari a 3 milioni".
Come dire, vietato ammalarsi di patologie serie. Solo qualche raffreddore e, al massimo, un'appendicite pro capite. La salute è la prima cosa.
Massimiliano Piscitelli
Tiziana Ragno