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Un patrimonio culturale di circa 70mila volumi
15 febbraio 2005

La “Fabbrica di S. Domenico” spalanca le porte al sapere cartaceo. Così, mentre sono ancora esposte nell'atrio le tele prodotte da artisti pugliesi in occasione della “Giornata della memoria” ed è possibile ammirare nella Sala Cozzoli l'elegiaca deposizione (colpisce la Maddalena piangente, dalle lunghissime ciocche), riapre il 28 gennaio, nella sua nuova sede, la biblioteca “Giovanni Panunzio”. A salutare l'evento una rapida conferenza stampa, col sindaco, Tommaso Minervini, auspice d'un fertile riavvicinamento della popolazione giovanile molfettese alla lettura, specie grazie alla mediazione dell'istituzione scolastica. È la profes. Panunzio, successivamente, a rendersi protagonista di un'appassionata digressione sui benefici effetti della lettura, tra libri al sapore di pastina e reminiscenze di scarabocchi giovanili su testi disponibili in famiglia. Il professor Marco Ignazio de Santis (apprezzato collaboratore di “Quindici”), invece, scandaglia la storia della biblioteca molfettese, prendendo le mosse dall'8 aprile 1913 e dal lascito al Comune di Giovanni Panunzio, preside del Regio Liceo Ginnasio. La relazione si sofferma sull'Archivio di Stato (non senza menzione dell'infaticabile attività di Mauro Uva), con la sua sezione più antica, atta alla conservazione di documenti dal '500 al '900, e quella seriore, per atti, registri e protocolli dal 1925 al 1978. A suggello delle iniziative per la riapertura della biblioteca la mostra, allestita da Maria Silvia Zaza e Rosaria Fontana, di alcune pergamene (il fondo della 'Panunzio' ne comprende ben 141, a coprire ben quattro secoli, tra il 1353 e il 1736), tra cui il diploma, datato 9 aprile 1495, concesso da Re Carlo VIII alla città di Molfetta, adempiendo, in buona misura, alle richieste di Errico Passaro e Micco Lepore. Segnalo il fatto che del testo della Pergamena dei privilegi de Santis ha anche fornito un'accurata trascrizione. «Come biblioteca stiamo cercando di radicare ancor di più nella città, soprattutto tra i più giovani, l'amore per la cultura - dichiara la direttrice, Concetta Lapadula – Per questo, in queste prime settimane, stiamo ricevendo le visite di intere scolaresche. Abbiamo cominciato con le superiori (i primi sono stati l'I.P.S.S.A.R. e il Liceo Scientifico) e termineremo con le elementari. In più, è in fase di allestimento un Punto Internet e stiamo battendo molto sulla riproduzione digitale di parte del patrimonio della 'Giovanni Panunzio'». Quest'ultimo aspetto mi pare particolarmente degno di nota, specie se si considera il ruolo propulsore svolto dalle nuove tecnologie nella diffusione del sapere e i benefici effetti legati all'apertura ad esse da parte di istituzioni del calibro della Bibliotheque Nationale de France, con i suoi incunaboli (e non solo) addirittura consultabili in rete. La “Giovanni Panunzio”, oggi, vanta un numero complessivo di oltre 68.700 volumi, con la possibilità anche di consultare una ricca Emeroteca, un fondo di 432 manoscritti e 141 (come si è già detto) pergamene, nonché una notevole sezione musicale. Desta maggiore interesse il fondo antico. Della fase in cui la stampa versava, in Italia, ancora in cunis, si possono contare cinque esemplari, con, in primis, le erudite divagazioni delle Noctes atticae di Aulo Gellio, testo capitale per l'età umanistica, in virtù delle osservazioni grammaticali e delle incursioni di stampo eziologico, insieme alle Vitae di Svetonio, ricche di aneddoti e caratteri delineati a chiare pennellate. Oltre a ciò più di 200 cinquecentine, quasi trecento secentine e 2387 settecentine. Tra i testi di maggiore interesse la Geographia straboniana, l'enciclopedica Polyanthea e altri testi tutt'altro che vieti e banali. Come tutt'altro che vieta e banale si è rivelata questa ricognizione del patrimonio cartaceo cittadino, più o meno recente, tra documenti siglati Antonello Petrucci, l'odore di umido e antico dell'Archivio di Stato e il ricordo di un re, Carlo VIII, che, secondo il giudizio sprezzante di Maria Bellonci, “di brillante aveva solo gli occhi” (se intento ad ammirare belle dame), ma che, a fine Quattrocento, durante il papato dell'ipercontroverso Rodrigo Borgia, riuscì a metter sossopra l'intera penisola. Gianni Antonio Palumbo gianni.palumbo@quindici-molfetta.it
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