Ricordo che il mio professore di Storia del diritto italiano dedicava la fine della giornata di lezione ad insegnarci qualche buona regola in modo da essere studenti pratici e durante una delle innumerevoli chiacchierate ci raccontò di quanto rifletteva quando, durante le sessioni di laurea, vedeva arrivare le maxifamiglie con le zie e i cugini; spesso i parenti gli riferivano: “sa professore, il ragazzo è il primo a laurearsi nella nostra famiglia, ci fa riscattare tutti”; feste, pranzi, spese, aspettative enormi e poi si finiva, ai tempi, a dover partecipare a tutti i concorsi pubblici; ora, quando va bene, a trovare un lavoro precario in un call center, così come viene narrato amabilmente dal regista Virzì nel film da cui prende il titolo questo articolo. Il Professor Accornero, docente di Sociologia Industriale all'Università La Sapienza con felice arguzia ci ricorda che: “mezzo secolo fa eravamo meno scontenti, meno afflitti perché erano basse le aspettative. Quella di oggi è una specie di povertà percepita più che reale. Sono due aspetti che si sommano, un doppio fenomeno che spiega la profondità della sensazione: negli anni cinquanta le aspettative erano basse e venivano soddisfatte. Oggi sono alte e sono, quasi sempre, frustrate. Sognavi l'automobile e prima o poi riuscivi a comprarla. Sognavi di portare la famiglia in vacanza e prima o poi ci riuscivi. Non mi pare ci siano grandi differenza con oggi. E' la percezione della propria condizione che è completamente diversa. In Italia gli impieghi a tempo determinato sono meno diffusi rispetto alla media europea, ma da noi si teme l'insicurezza del posto più che negli altri Paesi. In sintesi, sono molte le nuove forme di impiego introdotte, ma nessuno ha aggiornato il sistema della sicurezza sociale e i trentenni si annichiliscono; lo ripeto, non credo che oggi la gente stia peggio. Semplicemente non è in grado di tarare le aspettative”. Il punto di partenza, quindi, è: chi garantisce ai giovani che dopo il percorso di formazione e il conseguimento di una laurea sarà tutto in discesa? In primo luogo il percorso formativo che oggi il sistema universitario italiano offre, attraverso i 95 atenei nazionali frequentati da 1.187.219 studenti (dati dell'Osservatorio MIUR aggiornati al 31 luglio 2007), diversamente dal passato, è strutturato in tre cicli: dopo la laurea triennale (I ciclo) si può accedere ad un biennio di specializzazione oppure a un master di I livello (II ciclo) e infine si può anche scegliere di proseguire attraverso un dottorato, una scuola di specializzazione o un master di II livello (III ciclo). Ma mentre raddoppiano i laureati (300.000 nel 2006) e calano le matricole, ad un anno dalla laurea, secondo il rapporto AlmaLaurea, lavorano solo 53 laureati su 100. A 5 anni di distanza la proporzione degli occupati sale a 85 laureati su 100 ma con assoluta prevalenza del lavoro precario sia a 1 anno (48%) che a 5 anni dalla laurea (27%). Un neolaureato guadagna in media uno stipendio di 1.040 euro netti, che dopo 5 anni sale a 1.342 euro. Inoltre, è sempre più alta la percentuale degli studenti che vogliono proseguire gli studi. Sono più di 60 su 100 dopo la laurea triennale, 43 su 100 dopo la laurea specialistica (dopo 5 anni di studio) e 74 su 100 dopo la laurea a ciclo unico (per es. Medicina).I percorsi universitari che favoriscono un inserimento lavorativo rapido sono del gruppo ingegneria: meccanica (a 3 anni dalla laurea l'88,5% ha un'occupazione continuativa); delle telecomunicazioni (88,2%) e ingegneria chimica (85%). Buone sono le prospettive anche per Farmacia (81,7%), Economia Aziendale (76,6%), Odontoiatria (75,3%). Hanno molta più difficoltà i laureati del gruppo medico (sono occupati solo il 24%) mentre si salvano i gruppi giuridico (38%), geo-biologico (47%) e letterario (49%). Per quanto riguarda le lauree triennali, quelle che consentono un inserimento lavorativo più celere sono i corsi per le professioni infermieristiche ed ostetriche (il 72,3% dei laureati ha un'occupazione continuativa iniziata subito dopo la laurea), le scienze e tecnologie farmaceutiche (67,3%) e le scienze e tecnologie informatiche (66,6%). Una piccola premessa diventa, in questo momento, opportuna; nel marzo del 2000 il Consiglio Europeo, riunitosi a Lisbona, ha conferito all'Unione Europea l'ambizioso obiettivo di “diventare entro 10 anni l'economia basata sul più competitivo e dinamico sistema di conoscenza del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale (conclusioni del Consiglio di Presidenza Europeo, Lisbona 23 – 24 marzo 2000). Scusate, ma forse, stante la situazione attuale, il capoverso precedente più che una premessa rappresenta solo una divagazione. Di sicuro la formazione postlaurea può essere motivata da varie ragioni che si possono riassumere nella necessità di approfondire, con maggior dettaglio, le conoscenze teoriche acquisite all'università in modo da facilitare l'ingresso nel mondo del lavoro, magari attraverso uno stage, che, in quasi tutti i master, è parte integrante del piano di studi. Ma questo vale anche per chi, lavorando, giunge al “punto di crisi”, cioè a quel momento in cui si comprende cosa si vuole e cosa no e realisticamente si valuta insufficiente la ricchezza formativa acquisita al lavoro per migliorare la propria carriera. Assolutamente necessaria è la creazione da parte di ogni neolaureato di un curri-con il proprio percorso di studi, soprattutto se non si hanno esperienze lavorative significative. Solo questo assicura almeno un punto in più al colloquio di selezione. Il mondo del lavoro ricerca, inoltre, individui con una mente aperta e curiosa, con una professionalità costruita attraverso la competenza, ideale prodotto di conoscenza e di esperienza. Riguardo ai corsi e agli stage, quindi, è meglio specificare che non conta tanto il numero ma la qualità, cioè il luogo e la posizione ricoperta. A quanti non hanno ancora trovato la propria strada professionale si consiglia, invece, di iniziare a lavorare in modo da fare chiarezza sulle proprie aspirazioni spostando la scelta ad un secondo momento così da perseguirla con determinazione e senza fare marcia indietro. Un buon modo per affrontare questo momento problematico è quello di pensare di diventare il numero uno. Ci si deve muovere, studiare, fare determinate scelte per arrivare ad essere il numero uno. Poi magari si arriva diciottesimo, perché capita qualcosa, perché le circostanze lo impediscono, però si è puntato al massimo, si è tentato. In questi frangenti i dubbi, le indecisioni, le marce indietro, il lasciarsi trascinare dal flusso delle cose non sono opportuni e il consiglio è quello di darsi delle direzioni, addirittura di crearsi dei bivi, di prendere delle decisioni di non ritorno. Inoltre, è la forza di volontà che fa la differenza. Per portare a termine la traversata di questo mare magnum è obbligatorio avere forti motivazioni. Bisogna fare un pò come le rose di Atacama che sfruttano l'unica giornata di rugiada che offre il deserto del Cile per nascere e crescere. A volte può sembrare una stoica forma di resistenza nei confronti di una società ostile e in quei momenti si deve lottare con tutte le forze che, però, da sole non bastano; la soluzione è quella di fare appello alle proprie motivazioni con perseveranza e determinazione e se capita di sentirsi soli non serve aver paura della solitudine perché, credo, sia la maniera più semplice per ascoltarsi in profondità. Nessuno è un automa e al contrario ognuno è profondamente libero di fronte al proprio futuro professionale. Per avere chiarezza, inoltre, occorre fare esperienze varie, avere gli occhi aperti pronti a captare il più piccolo segnale del proprio interesse, saper leggere le situazioni per intravedere il proprio futuro e soprattutto avere curiosità, quella che ci spinge a leggere, viaggiare, a tentare e, a volte, anche a sbagliare. Oggi uno studente incontra difficoltà nel leggere un articolo su una rivista scientifica internazionale, non sa comporre una presentazione, non sa scrivere un abstract sulle sue ricerche, non sa parlare in pubblico e, spesso, neanche al pubblico. Una volta al liceo, mentre cercavo di tradurre una versione dal greco, avevo scritto sul foglio protocollo in italiano un senso assolutamente perso. Quasi un'ora ci avevo messo per distinguere due significati quasi antitetici di un predicato e intanto la mia mente invece di ragionare galleggiava. Ma davanti al greco antico non ero preoccupato (merito dei professori che ci avevano impartito il senso dell'adeguatezza lessicale, la traduzione verbum de verbo reddere,) come davanti a queste problematiche. In quella lontana giornata volevo solo che il compito finisse presto, che finisse il Liceo, che la stessa scuola terminasse catapultandomi per direttissima nel mondo del lavoro. Poi dopo ho dovuto fare i conti con la traduzione, ben più complessa, della realtà e degli eventi e sono nate così molte di queste preoccupazioni narrate. Ai giovani della nostra amata città mi permetto di ricordare che bisogna lottare per affermare la propria dignità, nessuno la regala. Nessuno ci regala la fiducia in noi stessi e la certezza di un futuro lavorativo. L'unica via che mi sento di consigliare è quella di costruire la propria strada con onore e non con mediocrità. Se vi prostituite alla raccomandazione, la gioia iniziale si trasformerà in un malessere cronico. La vita non è facile per nessuno ma si può scegliere di viverla da uomini e donne capaci di lottare con lucidità e durezza, senza dover accettare di farsi umiliare, alzando la voce con autorevolezza intellettuale. Di recente mi hanno raccontato l'esito di una gara tra boscaioli. In una foresta della Finlandia per 8 ore tantissimi boscaioli si sono dati battaglia nel tagliare la legna. Durante la premiazione c'è stata la contestazione del secondo classificato che riferiva di non essersi mai fermato durante il tempo di gara, a differenza di quanto aveva fatto il vincitore. Nella sua replica, con assoluta serenità, il primo ha confermato la tesi del suo rivale, ricordandogli, però, che tutte le pause lui le aveva dedicate ad affilare l'ascia con cui spaccava la legna.
Autore: Michele la Forgia