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Torna “Uè tutte le benne” Recupero della memoria popolare con musica e filastrocche
15 dicembre 2001

“Uè tutte le benne”: con questa esortazione il 6 febbraio 1898 un energico banditore ammoniva i cittadini molfettesi a mettersi scarpa e giacchetta per prepararsi all’evento del secolo. La luce elettrica. Oggi Pietro Capurso, non meno entusiasta di quel banditore, esorta i suoi concittadini a recuperare pezzi di memoria popolare attraverso la musica, le filastrocche, le storie che appartengono al passato di Molfetta. La prossima edizione della raccolta “Uè tutte le benne”, la seconda dopo sedici anni, sarà incisa dal vivo il prossimo 17 gennaio, dal palcoscenico del teatro Odeon. “L’idea di riproporre Uè tutte le benne – ci racconta Pietro – è nata quando, un anno fa, un amico mi ha fatto ascoltare un cd di canti molfettesi (gli stessi che si possono ascoltare sul sito Internet di “Quindici” www.quindici-molfetta.it, ndr). Me l’ha passato un conoscente americano, mi disse. Ma quel cd riproduceva esattamente il nostro spettacolo di sedici anni fa, quando coordinati da Massimo Memola, realizzammo un’audio-cassetta di musiche e nenie popolari. Quella registrazione aveva letteralmente fatto il giro del mondo”. Che cos’è cambiato rispetto alla prima versione? “Il nuovo Uè tutte le benne si avvale del supporto strumentale”, precisa Pietro “Oltre a me, a Michele Drago e a Emanuela de Gennaro – ha continuato - ci saranno Menico Copertino, Maria Antonietta Masciopinto, Umberto Attanasio, Francesco de Palma, Laura Caradonna, Francesco Ficco e Federico Ancona. Lo spettacolo si è fatto più completo e il copione si è arricchito di nuovi tasselli”. Nell’opera di Pietro Capurso c’è spazio, tra gli altri, per i cavamonti, una lega operaia tra le più rappresentate a Molfetta nel secolo scorso, che non usava mezzi termini contro i soprusi del padronato: per loro, instancabili lavoratori della pietra, “u patrone è cacchemmerde”. La voce narrante, a cui è affidato naturalmente il compito di tracciare i percorsi e tessere le maglie di questa ricostruzione storica, traghetta poi l’ascoltatore verso le contese della politica molfettese. Contese di molti anni fa, s’intende, ricordate nel canto delle donne sostenitrici di Gaetano Salvemini, che, soddisfatte, scandivano: “Pietro Panzine, Pietro Panzine u sie avute u lavatine!” E ancora, le sommosse del primo maggio del 1898. A tre mesi dall’avvento della luce elettrica, i molfettesi si mobilitavano ancora. Ma questa volta contro l’aumento del prezzo del pane. Sette morti, molti arresti, anche eccellenti (don Peppino Poli). In “Uè tutte le benne” c’è anche la guerra (Se Umberto, Il general Cadorna), e c’è l’amore. Quello popolare, naturalmente: lontano dagli slanci aulici o spirituali dei “fiori d’amore” (un genere a cui pure alcuni di questi canti s’ispirano), e propenso a esilaranti cadute comiche e grottesche. La serenata può improvvisamente diventare insulto, allusione oscena, metafora a doppio senso oppure roboante battibecco tra futuri sposi. C’è spazio pure per l’amore cercato, quello non ancora raggiunto eppure tanto agognato: l’8 dicembre, nel giorno consacrato all’Immacolata concezione, ragazze e ragazzi ancora alla ricerca dell’amore, chiedevano grazia perché presto moglie o marito arrivassero anche per loro. Separati in due distinte schiere, si lanciavano l’un l’altra occhiate fugaci, cercando così di accelerare gli effetti delle loro invocazioni. Anche di questa tradizione molfettese, lascia memoria un canto. “Non faccio ricerche sistematiche, e non sono neppure un topo di biblioteca. Canti, suoni e affabulazioni varie me le raccontano gli anziani che mi capita spesso di incontrare”, ci ha detto Pietro Capurso. Che ha pure rivelato: “Anch’io e la mia famiglia abbiamo dato un contributo all’evoluzione e alla stratificazione di alcuni cani popolari: ve lo ricordate il verso ne “Lè notte de Nètale, cicere fritt e fav’arrappat”? E’ opera di mio zio Nicola, che volle allungare il canto durante una delle nostre tombolate, perché la chiusa non era di suo gradimento”. E aggiunge: “E l’Ottaviola che viene subito dopo? Lì ci misi del mio, quando negli anni ‘70 con alcuni amici decisi di riprendere a cantare questa nenia: l’aggiunta fatta da zì Nicola in quel punto non mi sembrava sufficientemente efficace!”. Tiziana Ragno
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