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Teologia della liberazione e nuova narrazione
15 luglio 2015

Negli anni Ottanta prima della tragedia Althusser ebbe una lunga serie di colloqui con Stanilas Breton sul marxismo e la teologia della liberazione, sul proprio percorso intellettuale, sulla possibilità di incontro fra marxisti e teologi della liberazione. La sua fiducia nella strategia politica dei partiti comunisti era ormai scarsa tanto che pensava di varare un seminario internazionale sulla rifondazione del marxismo; partiti e sindacati erano ormai diventati dei morti viventi, dei morti in piedi e non esistevano più energie in grado di ostacolarne la burocratizzazione. Il PCF non riusciva a venir fuori dalla sua povertà strategica e progettuale, mentre il passaggio del guado inaugurato da PCI era visto con sospetto; meglio rivolgere lo sguardo all’America Latina, ai nuovi popoli che volevano fare la storia, ai dannati della terra che nel ventennio precedente avevano occupato la scena mondiale. Una religione della sofferenza, la religione degli scarti della storia, la religione della mancanza d’esistenza imposta ai poveri del pianeta, il mancare ad esistere che può diventare la condizione di tutti i soggetti. Per il filosofo francese, la religione e il bisogno di religione può esprimersi solo nell’atto mistico, quel momento fuggente, lacerato in cui il credente pone la domanda sulla sua esistenza, il momento del perché qui, ora. Perché la bellezza esiste, perché l’esistenza del credente è bella, anche se manca ad esistere; ai credenti viene negata la bellezza di esistere. Questa esperienza del limite, della domanda fondamentale è il senso del misticismo e di tutta la teologia negativa; è il senso della teologia della liberazione, la teologia come domanda limite, come domanda al limite, l’ebbrezza del limite che è la bellezza dell’esistenza. Una teologia che non si affida a postulazioni dogmatiche, ma che mette in gioco l’esistenza di tutti. Breton nelle poche righe che ha lasciato in ricordo del suo amico scomparso elenca ancora altri problemi che lo coinvolgevano prima di morire. La lucida coscienza della mondializzazione dello scontro e della guerra planetaria fra dannati della terra e cittadini delle società opulente, la quarta guerra mondiale. Il riferimento continuo, ossessivo alla potenza creativa dei soggetti che collocava nel causa sui di Spinoza; l’essere causa di se stessi, il nascere prepotente alla vita, il canto alla vita del dio-uomo che non aveva bisogno di mettersi sulla scena come Antonin Artaud, ma che era la vita bella di combattente e filosofo di L. Althusser, come bella e combattente era stata la vita di J.Cavaillès, come è bella la vita di tutti. Il fascino dell’incontro con i molti, come si dice oggi con la multitudo, nella richiesta incalzante, prepotente, corale, vincente dell’appagamento del desiderio che per i molti è bisogno di mangiare, bere, vestirsi, abitare. Erano i quattro verbi enunciati da Marx, quattro zone, quattro spazi del desiderio che vedeva compromessi su scala planetaria e che voleva realizzare con il comunismo. Qui e ora, subito il messaggio della nuova narrazione, qui e ora, in questo momento, non c’è più spazio per le mediazioni. E furono ospiti nei Giardini di Avalon, Paolo e Maria Pia, due amici di Psichiatria democratica, due compagni di viaggio e mi dissero che avevano percorso tutto il Mediterraneo alla ricerca della grande madre, delle grandi madri, alla ricerca della Bellezza, che è il fatto di stare al mondo di un soggetto, di un vivente, di uno che vuol fare mondo, che vuole vivere. Quel desiderio di infinito che parte dal mondo, dalle cose, dalla vita concreta, da dio che diventa mondo, la bellezza dei giovani che si esprimono, che danzano, che danzano con la penna, che discutono di progetti, che comunicano, che vogliono stare in comune, che volevano stare nelle comuni perché quello è dio, è il paradiso.  La società contemporanea ha messo in campo strategie di distruzione della vita dei soggetti, quella che chiamano governance, la stabilità dei mercati si coniuga con pratiche di asservimento che investono l’intero arco dell’esistenza per questo la teologia della liberazione è la rivendicazione del qui e ora, subito, perché l’al di là non ha senso. Non solo per l’America latina, non solo per gli abitanti delle favelas, non solo per quelli che stanno nelle periferie delle metropoli, ma per noi, per i nostri figli costretti ad emigrare, ad andare in giro per l’Europa per miseri contratti di lavoro. All’ordine del giorno esiste l’esigenza da parte del capitale di una riclassificazione del lavoro immateriale attraverso una introduzione programmata sul mercato; le varie riforme relative al settore scuola e formazio- ne tendono a confermare uno stato di precarietà in fase di ingresso e una d e f i n i z i o - ne gerarchica nella struttura complessiva del comparto. Una volta immessa nei ruoli, dopo anni di precariato, la forza lavoro intellettuale è condannata ad una produzione seriale e servile che sia garante della stabilità del sistema. L’arco della giornata di un lavoratore intellettuale è analoga a quella di un carcerato, l’ora d’aria, la pausa pranzo, il ritorno a casa in metropolitana, la cena, la televisione, la nevrotica tristezza nell’ascolto dei notiziari televisivi, il telepredicatore. Michel Foucault ha sostenuto che le pratiche discorsive governamentali sono simili alle prediche pastorali dei vescovi e dei pontefici; il messaggio che viene trasmesso è quello di stare buoni perché può avvenire il peggio, il ricatto dei mercati finanziari e delle borse, il crollo del sistema creditizio, la possibilità remota di non poter più pagare gli stipendi, le condizioni di vita dei figli destinate ad essere peggiori di quelle dei padri. Tutto questo crea paura, sgomento, distrugge la fantasia, il desiderio, la possibilità della creazione. Herbert Marcuse in Eros e Civiltà ha sostenuto che “ in una società il cui il progresso non fosse al servizio del dominio dell’uomo e della natura, la sublimazione diventerebbe una forza creativa in grado di produrre nuova cultura, permetterebbe cioè forme di autosublimazione a patto di potersi affermare come fenomeno sociale, collettivo, in condizioni tali da associare gli individui creando possibilità di sviluppo, esaudendo nuovi bisogni e potenzialità globali polimorfe”. La narrazione dei ragazzi del ’68 che “avevano cercato di fare piazza pulita del vecchio mondo e prendendo tutto il tempo necessario, loro gli hippies avevano scoperto una religione del corpo, dell’amore, un nuovo rapporto con se stessi e la natura. Tra l’altro è stata l’unica cultura, o meglio controcultura, che ha elaborato una sua forma di matrimonio, ritualizzandola, oltre alle ricchissime esperienze di vita alternativa nelle comuni che hanno stravolto tutte le precedenti barriere tra i sessi indicando nuove possibilità di rapporto con i ruoli e con la coscienza. Parallelamente gli studenti con-gnavano un mondo nuovo cercando insieme di realizzarlo nelle loro utopie concrete.” E’ vero dio è morto, quello che sta oltre la storia è morto, quello che sta alla fine della storia è morto, ma non è morta la creatura divina che fa la storia, colui che vive un rapporto intenso con la natura e con gli altri, chi sposta in avanti i confini del sapere e della conoscenza, la nuova narrazione, la Grande narrazione, la nuova scienza, Aguirre è ancora con noi. Jean Baudrillard ne Lo scambio simbolico e la morte sosteneva che se il marxismo e la psicanalisi sono in crisi bisogna farli cozzare contro per vedere se l’urto, l’onda d’urto produce un nuovo dispositivo teorico. Perché sono fallite le comuni, perché dopo Woodstock si è parlato solo di Cristiania, di Alcatraz, di Urupia, della Valle degi Elfi, perché le comuni non sono diventate fenomeno di massa, perché la famiglia unicellulare si è imposta come unica forma di convivenza, perché costituiva l’unica forma identitaria per i soggetti. Dava sicurezza, sul piano affettivo ed economico dava sicurezza, avvilita, disgregata, smembrata, dava sicurezza, oggi non è più così; la società contemporanea ha instaurato, ha messo in campo un attacco frontale alla sicurezza e alle condizioni di vita delle famiglie dei migranti, degli operai, dei lavoratori intellettuali e della stessa classe media. Il sogno, il desiderio, l’utopia, le comuni, la fantasia, l’arte come modo di stare al mondo; la disseminazione e il proliferare dei momenti di comunicazione collettiva contro la penuria e la paura, contro i media che alimentano la paura, il fatto di stare buoni che può sempre arrivare il peggio. Il sogno, il desiderio, l’utopia, le comuni, la fantasia, l’arte come modo di stare al mondo; instaurare e valorizzare momenti di dialogo contro la cattura del nozionismo seriale e servile, contro il pensiero servile. Il sogno, il desiderio, l’utopia, le comuni, la fantasia, l’arte come modo di stare al mondo. Perché come dicevano Paolo e Maria Pia “la bellezza è potere perché senza bellezza non c’è vita, gioia. La bellezza è l’adesione ad un ordine cosmico universale, la misura di tutte le cose, la forma senza la quale non c’è creazione.” E allora l’arte, la musica, la fantasia, riprendere la narrazione, scrivere, scrivere, narrare, danzare, amare perché Afrodite deve tornare a governare il mondo. Abitava le terre dell’Asia minore, divinità tellurica generava la vita e le vite producevano arte, cultura, religione. Nel corso dei secoli ha percorso tutto il Mediterraneo, Creta, Cipro, la Grecia, le coste dell’Africa; anche se cinta di veli è arrivata a Roma, in Europa. Per duemila anni ha dovuto cedere il primato alla potenza prometeica del maschile, il fallocentrismo, il fallogocentrismo che oggi è in crisi perché costituisce una minaccia alla vita dei soggetti e delle moltitudini. Per questo Afrodite e Dioniso devono tornare ad abitare il mondo, la Bellezza divina è la divina gioia di un soggetto che ama, desidera, che vuol pensare, che vuole vivere. “Ma allora il nostro mondo non è così infelice, angosciato, squilibrato perchè ha perso ogni contatto con l’armonia, la bellezza, con Afrodite che tutto regola? In fondo cos’è Dio se non suprema, eterna bellezza, e cosa sarebbero i suoi templi, moschee, chiese, sinagoghe, se i fedeli non vi avessero profuso senza risparmio, nel tempo, le opere più belle dell’ingegno umano? E non curava Chirone con la sua lira? Cosa più della musica è assoluta armonia trascendente perchè unisce cielo e terra, astratto e concreto, sensibile e metafisico? La bellezza è la porta di ogni trascendenza, cosa meglio dell’opera d’arte può quindi permetterci di avvicinarla? Afrodite che ritorna indica allora anche questo, la necessità di permeare la vita di tutti di creatività, bellezza, armonia, senza le quali la vita non può esprimersi in tutta la sua potenzialità e pienezza”. Musica, arte, poesia, la nuova teologia, comunicare, narrare, lottare perché tutti, in tutti i posti della terra, corpi sani e nutriti da questa terra, possano accedere a queste dimensioni dello spirito. I figli di Eros e Afrodite sono pronti per governare il mondo, dovranno eliminare la fame e le malattie, dovranno produrre nuovi saperi, cacciare a calci nel sedere quelli con la pancia che governano università e accademie, danzare la pizzica, il nostro ballo erotico perchè esprime gioia, calore, armonia. “Spinto dall’umanesimo, il piacere risplenderà, solare, in tutta la sua potenza, la bellezza dei corpi nudi, l’esplosione dei colori, dei vestiti, i suoni, i profumi, le danze. Eros dovrà riconquistare il mondo, lo sedurrà coi suoi sottili sortilegi, riaprendo le porte di tutti i sensi. Sono queste le radici pagane dell’Europa, le radici rinascimentali, estetiche, erotiche, dell’umanesimo che hanno permeato il nostro mondo”.   

Autore: Marino Centrone
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