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Tempesta sulla giunta Minervini a Molfetta. La maggioranza attacca il presidente del consiglio Amato: sei fazioso, dimettiti, altrimenti ti sfiduciamo noi (ma non hanno i numeri)
Il sindaco Minervini contesta al segretario generale Lozzi l'interpretazione del regolamento nell'ipotesi di "fatto grave"
13 febbraio 2024

 MOLFETTA – Nell’ultimo consiglio comunale di Molfetta era apparsa evidente la nuova posizione del gruppo “Molfetta Popolare” quello degli Amato che ha il presidente dell’assemblea Robert e in aula Maridda Poli, entrambi assenti nella precedente riunione per manifestare il proprio dissenso dal sindaco e dalla maggioranza.

Il gruppo dei consiglieri delle liste civiche, convogliate ora nel “ciambottone” politico “Insieme per la città” (referente Saverio Tammacco), non hanno gradito il comportamento del presidente del consiglio Amato, che ha dato la parola all’opposizione per fatto grave (l’appalto da 3,5 milioni di euro per la ristrutturazione della scuola Cozzoli, assegnato al marito della consigliera comunale Francesca De Palma eletta con il gruppo “Molfetta che vogliamo”, referente Leonardo Siragusa, e passata armi e bagagli al gruppone tammacchiano e della quale le opposizioni di destra e sinistra chiedono le dimissioni).

Certe cose in consiglio non si devono dire? La stampa non amica non ne deve parlare? Meglio il silenzio stampa, per non dare adito a critiche? La deriva meloniana antidemocratica di quello che resta della maggioranza, appare evidente.

E così le liste “ciambottiste” politiche rimaste hanno deciso di anticipare le mosse di Molfetta Popolare che si accinge a prendere le distanze dalla maggioranza, “cacciando” lo stesso Robert Amato non solo dalla maggioranza, ma anche dalla presidenza del consiglio. Ricordiamo che una volta, in tempi di consigli comunali democratici, la presidenza del consiglio veniva assegnata all’opposizione, per una maggiore garanzia democratica, oggi, invece, viene sempre eletto un rappresentante della maggioranza, per far sì che il sindaco possa dettargli la linea e i comportamenti in aula. Ma quando il giocattolo si rompe, le cose si complicano e non può essere più il sindaco a suggerire al presidente dell’assemblea a chi debba essere data la parola. Ci sono i regolamenti e questi stabiliscono (come confermato anche dal segretario generale Ernesto Lozzi) che l’opposizione aveva il diritto di intervenire per fatto grave (e cosa c’è di più grave del fatto relativo alla consigliera De Palma?).

Ma questo al sindaco non è andato a genio, perché delle dimissioni della De Palma (che ha perfino sottoscritto il documento su se stessa, senza eleganza istituzionale) non si deve parlare, perché nella sventurata, per Minervini, ipotesi che lei si arrenda e lasci il seggio, le subentrerebbe una consigliera che sarà sicuramente schierata all’opposizione e il “ciambottone” perderebbe un altro… “pesce”.

E giù le accuse all’opposizione di attivare la macchina del fango anche nei luoghi istituzionali, ad altri gruppi politici imprecisati di voler colpire il primo cittadino con illazioni infondate.

Ma il fatto più grave è che tali comportamenti sarebbero stati posti in essere con il benestare del presidente del consiglio, il quale ha concesso la parola al consigliere Felice Spaccavento dell’opposizione di sinistra, che parlava a nome delle minoranze? Il presidente del consiglio Amato, che in altri casi era stato più accondiscendente e meno imparziale nella gestione dell’assemblea, in questo caso, avendo agito imparzialmente e soprattutto contro la sua maggioranza, non poteva farlo, senza il permesso del sindaco?

E’ democrazia questa? si chiede la maggioranza. Dell’appalto, in pratica, e della scomoda posizione della De Palma, secondo loro, non si doveva parlare perché non era fatto né attuale, né grave, in quanto l’iter amministrativo era stato ampiamente pubblicizzato sull’albo pretorio comunale.

E così, al presidente che ha concesso la parola, viene contestato “l’uso discrezionale, scorretto e fazioso del suo potere”. Siamo in pieno clima meloniano e antidemocratico.

Quindi, non essendo stata esercitata la funzione assegnata al presidente del consiglio (al quale viene anche rimproverato il suo comportamento alla riunione dei capigruppo) di essere garanzia assoluta dei regolamenti e dei diritti dei consiglieri, deve dimettersi perché avrebbe ridotto il consiglio a megafono delle illazioni infondate delle minoranze. Così, dopo le dimissioni, auspicano i consiglieri del gruppone, si potrà cedere il passo ad altri che meglio potrebbero tutelare l’istituzione del consiglio comunale. Pistolotto finale per il sindaco che “ha fatto bene a sottolineare la inopportuna faziosità del presidente” (per aver dato la parola alle minoranze?).

Abbiamo sempre considerato le liste civiche e le amministrazioni da queste generate, come coalizioni ciambotto e quindi populiste, ma ora siamo al sovranismo, che considera con fastidio le opposizioni e il dissenso, considerate poco democratiche. E va bene che oggi in Italia il melonismo impera, ma Molfetta esiste ancora la democrazia, che garantisce il diritto di parola, che non può essere definito “speculazione ed elucubrazione politica”, né “cultura del sospetto” ma legittimo diritto di critica e di controllo dell’operato della maggioranza da parte dell’opposizione. E’ la democrazia, bellezza! E tu non puoi farci niente, avrebbe detto il grande Humphrey Bogart.

La verità è un’altra, che vi racconta “Quindici”, quello che gli altri non dicono: se Amato non si dimette, l’attuale maggioranza non ha i 2/3 dei voti necessari a sfiduciarlo. Quindi tenersi in casa colui che è diventato nemico, è scomodo, anche se sarebbe più democratico che il presidente del consiglio fosse espressione dell’opposizione, come avveniva in passato.

Staremo a vedere gli sviluppi nei prossimi giorni, e li approfondiremo con notizie, commenti e interviste, nel numero della rivista mensile “Quindici”, che sarà in edicola sabato 17 febbraio.

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