MOLFETTA - Continua con successo di critica e di pubblico (oltre 400 visitatori finora) la mostra di Mauro Germinario, fotografo di "Quindici", nell'Ospedaletto dei Crociati.
La rassegna resterà aperta fino al 14 agosto. «È un inno raffinato e nostalgico alla Molfetta un tempo totalmente vocata alle attività marinare quello che Mauro Germinario intreccia, con la sua consueta maestria, in quest’allestimento, curato dalla pittrice Daniela Calfapietro - scrive il nostro Gianni Antonio Palumbo nella presentazione.
Nato come progettista elettronico e dedicatosi alla fotografia nella maturità, Germinario è giunto alla sua terza personale, dopo aver partecipato a numerose collettive d’arte, conseguendo prestigiosi riconoscimenti. La sua è una vocazione a cogliere il poetico insito nella realtà, senza indulgere al fotoritocco. La scelta d’un bianco e nero che ha sapore d’antan, l’uso del RAW, la lunga esposizione, l’adozione di angoli visuali non scontati, l’inclinazione al reportage crepuscolare, l’esaltazione degli effetti luministici sono le chiavi di volta del successo di una fotografia che mai rasenta l’oleografia e il manieristico.
In ogni scatto si cela una precisa istanza di poetica.
Lo sguardo indugia su cantieri che resistono quasi epicamente allo spettro della dismissione. Il tramonto è il momento prediletto per disegnare scenari di suggestivo lirismo; a volte la scelta ricade sull’ora blu, con l’effetto di ottenere ricercati contrasti tra la luminosità all’interno della città vecchia e lo spazio esterno, in cui si stagliano, eleganti e silenziosi, profili di architetture. La notte abbraccia come una sposa oscura le strade di Molfetta, ma le si oppongono luci che baluginano improvvise e inattese su e da oggetti che rivelano cariche evocative inimmaginabili.
Ha sapore di elegia del tempo che fu quel gruppo di monelli che si sofferma alla pesca sul molo, abbandonate le biciclette, mentre il Sole, che tramonta in una sfera di luce, sembra ricordarci che, se non salveremo quel mare reso plumbeo dal miasma della civiltà, scene come questa apparterranno incontrovertibilmente al passato.
Immagine di suadente bellezza è anche quella dei due pescatori in controluce. Intenti alle reti, emergono su sfondo monocromo scurissimo, in una sorta di caravaggismo postmoderno, come silenti Sant’Andrea figli della strada, a propiziare il felice esito di un lavoro che richiede sudore e stoica attesa.
Quello del pescatore è uno sguardo particolarissimo sul mondo: Germinario sperimenta nuove lenti, come il cliente dell’ottico di Lee Masters, ed ecco che le reti divengono i suoi occhi e il mondo assume un’aura diversa, a cominciare dal faro e dalle imbarcazioni volutamente fuori fuoco. Oppure l’artista si sofferma, dall’automobile, a spiare la lotta solitaria dei pescatori contro il violento bacio della pioggia, quando tutto sfarfalla in un trionfo di luminescenze ballerine e l’acqua scompagina le forme abituali, schiudendo a una realtà altra.
È lo sguardo - conclude Gianni Palumbo - che sancisce l’unicità di un percorso d’arte fotografica, specie se esso è in grado di trasfigurare oggetti di crepuscolare quotidianità. Così, il silenzio di via Sant’Orsola, percorso da un sacerdote solitario, assurge a sacrario del cuore. Così, dalla banchina, l’obiettivo punta su una coperta che parrebbe trasformare, con l’aiuto della fantasia, un motopeschereccio come tanti in veliero d’altri tempi, destinato a solcare chissà quali mari d’incanto.
E se, tra la coperta e le assi, s’intravede il faro, come un dio che si specchia sull’azzurro marino, allora è la storia della flotta molfettese a rivivere, dolceamara leggenda che pochi sanno e sapranno ancora narrare».
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