Storia di “ordinaria” buona sanità a Molfetta
Dovevo ricoverarmi in una clinica svizzera: me l’avevano descritta come un paradiso sanitario tanti infermieri d’intorno e medici sempre presenti. Una cura intensiva continua ed efficiente, tanta pulizia e tanti “sorrisi”. Fu Beppe Pietroforte, assistente in sala operatoria di un altro reparto, che, leggendo le ultime mie analisi, mi disse che non c’era più tempo da perdere e quasi mi obbligò ricoverarmi al reparto di urologia dell’ospedale di Molfetta. Ci andai con un certo timore dopo tante notizie sulla sanità nazionale non proprio edificanti. Sono rimasto 10 giorni quel reparto è già dal primo momento notai, con sorpresa, un andirivieni di infermieri intorno al mio letto e a quello di altri pazienti. Cambiavano flebo, misuravano la pressione, la febbre e tanti altri interventi che mi creano imbarazzo descrivere. Inoltre fui sottoposto ad una trasfusione di sangue, un controllo in radiologia, un elettrocardiogramma, un esame all’addome. Medici a “portata di mano”: Verriello, Turtur, Curatolo, Masilelo, Balacco, guidati da una figura carismatica e severa allo stesso tempo: il dott. Mauro Altomare anzi il professor Mauro Altomare al quale devo la vita. Veri professionisti anche gli infermieri, come pure gli aiutanti. La stanza sempre in ordine, pulita, lenzuola cambiate anche più volte al giorno. Se poi ero girato da un lato, come per magia, dalle mani di uno di loro appariva una siringa, ci fu perfino un giovane infermiere che, insieme un gruppo di pazienti, recitò il Rosario. Infine l’annuncio portato direttamente dal primario: adesso stai bene, le analisi si sono normalizzate, puoi tornare a casa. Con un accenno di sorriso (quello della Gioconda) tipico del professor Altomare. Me ne sono andato quasi incredulo. E dovevo ricoverarmi in una clinica svizzera…
Autore: Antonio de Cesare