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Stampella ad Azzollini in consiglio: Rifondazione si giustifica, ma difetta di comunicazione
09 luglio 2012

MOLFETTA - Flaccida e inutile giustificazione, adagiata sulle sabbie mobili, di Rifondazione Comunista (nella foto: Antonello Zaza, Beppe Zanna e Gianni Porta), dopo la figuraccia nell’ultimo Consiglio comunale da parte dell’opposizione.

«Far mancare il numero legale - dice Rifondazione in un suo comunicato stampa - non avrebbe comportato la caduta del sindaco Azzollini, come erroneamente fatto intendere nelle cronache, e il conseguente commissariamento».
«Mancando il numero legale venerdì scorso non si sarebbero approvati gli organi collegiali indispensabili per il funzionamento dell'attività istituzionale, tra cui ad esempio le commissioni consiliari permanenti che per legge devono dare un parere preventivo obbligatorio prima che il bilancio arrivi in Consiglio Comunale - spiega Rifondazione in una nota stampa -. E quindi non approvare queste commissioni avrebbe significato riconvocare il consiglio per riapprovarle e ritardare ulteriormente la discussione sul bilancio su cui vi sono tensioni».
Eppure, mancando il numero legale, il Consiglio comunale si sarebbe potuto convocare la settimana successiva e, quindi, non si sarebbe inceppata la macchina amministrativa. Anzi, a quel punto, sarebbe stata anche più accettabile e comprensibile la presenza dell’opposizione in consiglio per reggere il numero legale, dopo aver certificato numericamente che il sindaco non ha più la maggioranza. E invece Rifondazione si spinge sino al punto da mettere in dubbio che il vicesindaco Pietro Uva abbia rassegnato le dimissioni nelle mani del sindaco (il sindaco ha dichiarato che le dimissioni non sono state protocollate). Una “difesa d’ufficio” anche dell’anomala posizione ufficiale assunta dal sindaco. Ecco perché la giustificazione di Rifondazione appare infondata. Anzi, controproducente, dopo gli insulti ricevuti, la cancellazione di ogni potere propositivo e decisionale per i consiglieri comunali, il disprezzo politico e le offese personali in consiglio.
Un vero e proprio controsenso politico per i «duri e puri» (nelle filastrocche, però, più che nella realtà), come la cera sotto il cerino, che non giova all’opposizione di fronte all’opinione pubblica. Perché la stampella devota che l’opposizione ha concesso alla maggioranza e al sindaco Antonio Azzollini è un grave errore che non può essere in nessun modo giustificata o rimedia con comunicati o tardive prese di posizione che hanno tutto il sapore dell’arrampicata sugli specchi.
Il dato politico, per Rifondazione«è che, al di là di imprecise notizie stampa sulle dimissioni (ma Quindici ha avuto la conferma personale proprio da Uva, ndr), vi è uno scontro interno alla maggioranza che ruota attorno all'approvazione del bilancio preventivo 2012 che il 2 luglio in giunta ha registrato le assenze ufficiali degli assessori Uva e Magarelli - continua la nota stampa -. Azzollini teme la discussione su questo bilancio perché è l'occasione in cui tutti i nodi possono venire al pettine e gli equilibri saltare. È stato ritardato per settimane a seguito di frizioni interne alla maggioranza e difficoltà tecnico-contabili nella sua redazione. Ebbene, far mancare l'altro ieri il numero legale non avrebbe comportato la caduta del Sindaco Azzollini, come erroneamente fatto intendere nelle cronache, e il conseguente commissariamento, tutt'altro».
«In parole povere dare più tempo al Sindaco per ricompattare i suoi sull'unico argomento in cui nel caso di mancanza di numero legale il Sindaco deve dimettersi veramente e andare a casa facendo posto al Commissario, veramente e non per gioco. Se l'Amministrazione teme come la morte questo bilancio, poiché la discussione interna alla maggioranza si è bloccata su questo argomento, è ovvio che nessuna opposizione razionale dovrebbe ritardare il momento di affrontare il bilancio - continua Rifondazione -. Le contraddizioni in seno al governo Azzollini vanno fatte esplodere, non certo ritardate e solo nella discussione quanto prima del bilancio sapremo se i mal di pancia di alcuni assessori e consiglieri significheranno la fine dell'era Azzollini o saranno stati solo posizionamenti per ricontrattare il “prezzo” all'interno della maggioranza, come insegna l'episodio delle false dimissioni di Uva».
Probabilmente, il dato politico reale è un’altro: da un lato le diatribe interne alla maggioranza (pure riconosciute da Rifondazione), dall’altro un’opposizione forse non ancora pronta a fronteggiare l’emergenza di crisi al buio e incapace di invitare Azzollini ad assumersi le sue responsabilità proprio nel momento più propizio. Per di più, quello di «evitare il commissariamento» è un’affermazione del consigliere Mino Salvemini (Pd), non di Quindici, che sicuramente qualcuno ha voluto equivocare per difendersi e motivare le proprie decisioni politiche.
Oltre alla delusione politica e al disappunto di alcuni militanti dei partiti di centrosinistra presenti in consiglio, alcuni componenti dell’opposizione hanno recitato il mea culpa a microfoni spenti per l’occasione malamente buttata alle ortiche. Troppo tardi, la frittata era ormai cotta e mangiata.
E a nulla servono più i comunicati in puro stile notarile da cui si evince chiaramente che dal dire (in piazza) al fare (in consiglio) c’è un oceano di vacuità politica quando forse, non anche, qualcosa di altro. Non è un mistero che la “governance azzoliniana” abbia toccato i vertici di tutti i lidi politici, dall’estrema destra all’estrema sinistra, anche quelli più insospettabili e molto fintamente rivoluzionari, in spregio della buona fede di molti militanti di quelle forze politiche. 
Un’ultima annotazione: sarà che i politici vedono l’episodio diversamente e che il loro atteggiamento fosse finalizzato ad una strategia politica: ne prendiamo atto. Ma una cosa è certa: sia i giornalisti di “Quindici” sia il pubblico presente hanno avuto tutti la stessa impressione: lo abbiamo verificato alla fine del consiglio. Hanno ragione i politici o i cittadini, o forse è semplicemente un difetto di comunicazione del centrosinistra? Ma questo non può essere imputato alla stampa: non siamo ancora in grado di leggere nel pensiero, quando avremo anche questo… potere, potremo raccontare la verità ancora prima che i politici possano aprire bocca.
Del resto siamo stati gli unici a registrare questa anomalia dell'opposizione e anche questo è un fatto incontestabile.
Comunque i processi alle intenzioni sono inutili da una parte e dall’altra. Restano i fatti, forse il centrosinistra dovrebbe andare a lezione da Berlusconi in materia di comunicazione, questo è l’unica capacità che riconosciamo all’ex presidente del consiglio.
 
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D'abitudine “le idee della classe dirigente” tendono ad essere “le idee dominanti di un'epoca”. In certe epoche queste idee favoriscono uno studio più o meno obiettivo della storia, e il pensiero politico si arricchisce di conseguenza; in altre agiscono come fattori potentemente inibitori. Nell'uno e nell'altro caso nessun gruppo dirigente e nessuna società, se è soltanto poco più che civilizzata a metà, può funzionare senza possedere qualche forma di consapevolezza storica che la soddisfi; e questa soddisfazione non ci sarà senza che la maggior parte dei membri dei gruppi dirigenti e della società al di fuori di essi siano convinti che la loro visione del passato, specialmente del passato recente, non è soltanto un tessuto di falsità, ma corrisponde a fatti e ad avvenimenti autentici. Nessun gruppo dirigente può vivere di solo cinismo. Statisti, capi politici e anche la gente comune hanno bisogno di possedere il sentimento soggettivo della giustizia morale di ciò che essi rappresentano; ciò che è moralmente giusto non può basarsi su distorsioni o su falsificazioni storiche. E sebbene le distorsioni e persino le pure falsificazioni siano penetrate nel modo di pensare di ogni nazione, la loro reale efficacia dipende dal fatto che la nazione le accetti come verità. Nell'Unione Sovietica la crisi morale degli anni seguenti all'era di Stalin consiste in un profondo turbamento della consapevolezza storica e politica della nazione. Dopo il ventesimo congresso la gente si è accorta di quanta parte di ciò che credeva fosse stata fabbricata con falsificazioni e miti. I russi (e non solo) vogliono conoscere la verità, ma la via per raggiungerla viene sbarrata. I loro governanti hanno detto che l'intera storia della rivoluzione è stata praticamente falsificata; ma non hanno aperto agli occhi della gente la via della verità. Per dare ancora qualche esempio: l'ultimo grande scandalo dell'era di Stalin, la cosiddetta congiura dei medici, è stata ufficialmente denunciata dicendo che l'accusa era fondata su dati falsi: ma chi aveva architettato quest'accusa? Stalin ne era il solo responsabile? E a quale fine mirava? Questi interrogativi sono tuttora senza risposta. Khrusciov ha fatto capire che all'Unione Sovietica potevano essere risparmiate le grandi perdite sofferte nell'ultima guerra, se non fosse stato per gli errori e gli sbagli di calcolo di Stalin. Il patto nazi-sovietico del 1939, ufficialmente, è ancora tabù. La gente è stata informata sugli orrori dei campi di concentramento e sulle confessioni prefabbricate e forzate con le quali le “grandi purghe” erano state presentate al pubblico. Ma le vittime delle “purghe”, tranne poche eccezioni, non sono state riabilitate. Nessuno conosce con precisione il numero dei deportati nei campi di concentramento e quanti di loro morirono, quanti furono massacrati e quanti sopravvissuti. Questa congiura del silenzio nasconde le circostanze della collettivizzazione forzata. Ciascuna di queste domande è stata posta, ma nessuna di esse ha ottenuto risposta.
……………………per circa trent'anni la propaganda stalinista parlò dei miracoli che il socialismo andava facendo nell'URSS. Gli appassionati e gli ingenui credettero. La grande maggioranza dei lavoratori occidentali restava dubbiosa, teneva in sospeso il suo giudizio o si formava opinioni negative. Resiconti sulla povertà sovietica, sulle carestie e sul terrore alimentavano lo scetticismo. Le grandi purghe e il culto di Stalin, zelantemente difesi da tutti i partiti comunisti, suscitavano disgusto. Poi moltitudini di soldati americani, britannici e francesi vennero a contatto dei loro alleati sovietici nella Germania e nell'Austria occupate: e ne trassero le loro conclusioni. Finalmente nel 1956, ci fu il trauma delle rivelazioni di Khrusciov. Molti milioni di lavoratori occidentali, un anno dopo l'altro, hanno meditato queste esperienze e hanno concluso che “il socialismo non funziona” e che “la rivoluzione non conduce a nulla”. Molti sono piombati in uno stato di apatia politica, molti si sono riconciliati con lo “status quo” sociale dell'Occidente che i “boom” del dopoguerra e le provvidenze assistenziali hanno reso un po' più tollerabile. Gli intellettuali che avevano creduto nel socialismo sovietico, hanno finito per denunciare “il dio che li aveva delusi”. Il mito del “socialismo in un solo paese” aveva così fatto nascere un mito ancora più ingannevole, un mito colossale, sul fallimento del socialismo. Questa doppia mistificazione ha finito per dominare una buona parte del pensiero politico occidentale e ha grandemente contribuito a quel ristagno ideologico in cui tuttora vive il mondo, un secolo dopo il 1917. Ma avendo accuratamente considerato tutte le circostanze obiettive e avendo tenuto conto di tutte le effettive attenuanti, in che modo lo storico riassumerà le sue conclusioni? Engels, parlando dell'esclusiva egemonia francese nella rivoluzione borghese e delle sue disastrose conseguenze, e avendo senza dubbio analizzato con cura le circostanze obiettive di qiell'epoca, riassunse il suo giudizio in queste poche parole chiare e piene di significato: “Tutto questo – egli disse -, divenne inevitabile a causa della stupidità e della vigliaccheria delle altre nazioni”. Forse un futuro Engels dovrà pronunciare lo stesso verdetto sull'epoca nostra?













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