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Sotto il sacco: la mostra di Antonio Squeo
15 ottobre 2011

nuova amministrazione, formata da persone di provata fede democratica e difesa dai socialisti, operò perché fosse abolita la cinta daziaria, istituì la tassa progressiva, aprì una farmacia municipale, iniziò un’inchiesta sulle opere pie che permise di scoprire in un monte di beneficenza alcuni disordini gravissimi. Opera quest’ultima di grande importanza, quando si pensi che le Opere pie in Molfetta avevano 40.000 lire di rendita, senza alcun tipo di controllo. Queste riforme non potevano non creare molti malcontenti di cui approfittò la vecchia guardia repubblicana che, per riconquistare il potere, deliberò le dimissioni di alcuni consiglieri. Nelle elezioni parziali del 17 luglio 1904 i socialisti non riuscirono a confermare il successo di due anni prima. Il sindaco Picca e gli otto assessori, seguiti dai due consiglieri socialisti e da due democratici, si dimisero lasciando il Comune in mano ai 22 repubblicani della vecchia guardia e a 5 monarchici. Sindaco fu nominato Vito Balacco. © Riproduzione riservata L’esistenza, quando meno ce lo aspettiamo, si presenta nella sua più assoluta infondatezza. Si fa sentire come un vuoto incolmabile, costitutivo, che pervade i gangli più intimi del nostro stesso essere, quando ogni funzione, ogni azione e bisogno e gli oggetti più radicati nella nostra esistenza cadono nell’insignificanza. Lì l’esistenza è nuda, e si traduce in un’angoscia totalizzante, obliante, in cui si rischia di sprofondare inesorabilmente, di perdere se stessi e di essere risucchiati dal nulla. L’unico appiglio di fronte all’infondatezza che caratterizza essenzialmente la nostra stessa esistenza sono quelle abitudini, quelle consuetudini, quei riti, a cui la vita può aggrapparsi, per trovare un fondo solido su cui poggiarsi, fuggendo velocemente dall’angoscia annichilente. Sono quei riti che Antonio Squeo ha rappresentato, nella mostra “Sotto il sacco”, dal 20 Agosto al 3 Settembre, presso la galleria Art in progress a Molfetta, a cura dell’associazione di promozione sociale Modus vivendi. Antonio Squeo ha fissato nei suoi scatti volti di uomini “che si gravano d’enormi carichi per alleviare il peso indicibile del vuoto; […] che esibiscono smisurati falli incandescenti per dissimulare il gelo della loro impotenza”. Sono candele enormi quelle portate dai fedeli nella processione di Sant’Agata, a Catania, causa di dolori, di fatiche, ma attorno alle quali si snoda un teatro di suppliche e preghiere, rituali e folclore, a cui tutti devono aderire. E’ il teatro dell’esistenza. Fragile come un uomo che, al di fuori di quelle fatiche quotidiane, di quei riti assurdi, resterebbe solo a cospetto dell’inconsistenza della sua stessa natura, la quale si sgretolerebbe senza possibilità di ricomposizione. Sicura, fiera, allo stesso tempo, come i fedeli della processione di Sant’Agata, come chi crede di servire l’unico principio su cui si fonda ogni verità. Quella verità che dà forma al nostro mondo, e in cui si dà il tempo, facendo corrispondere a sé i comportamenti, le azioni, i riti e le passioni. Quella verità è la stessa scena che fa da sfondo ad ogni nuova rielaborazione, a ogni nuovo tentativo di rimescolamento, di ribellione. Dietro una luce si muove l’esistenza, e in quella luce ogni cosa acquista significato. Al di fuori di quell’apertura c’è il vuoto, l’esistenza gettata e poggiante solo su se stessa. In quella luce, fra le candele fioche, nella processione dei mille riti quotidiani che fanno la stoffa della vita, l’uomo si muove sicuro, in bilico, sospeso fra l’essere e il nulla.

Autore: Giacomo Pisani
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