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Si parla di psichiatria questa sera all'Università Popolare di Molfetta
22 maggio 2012

MOLFETTA – Questa sera alle ore 19.30 all’Università Popolare Molfettese ( Corso Umberto, 70) il dott. Cesario Schiraldi parlerà sul tema: “Le nuove frontiere della psichiatria.
Il dott. Schiraldi sarà presentato dalla presidente dell’Upm, prof.ssa Ottavia Sgherza.
 

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In occasione della prima Conferenza nazionale per la salute promossa da Umberto veronesi nel gennaio del 2001, siamo venuti a sapere che in Italia si suicidano dieci persone al giorno e altre dieci ci provano. Sono perlopiù donne e anziani che hanno fatto un deserto della loro speranza. A questi si aggiungono dieci milioni di “sofferenti mentali” che coinvolgono intorno al loro dolore un non indifferente numero di famiglie italiane. Si tratta di un dolore impalpabile, ma dallo spessore opaco e buio, che rende le vie d'accesso scarsamente praticabili e la speranza di una fine realisticamente remota. E' un quadro stretto e allarmante, non a tutti noto, perché il disagio mentale tende a nascondersi, a non farsi notare, a concedersi lo spazio stretto e non comunicativo della gestione personale. Del resto, basterebbe frugare nelle tasche degli italiani che vanno in macchina, in metropolitana, in ufficio, per trovarvi pillole antipanico (due milioni), ansiolitici (tre milioni), antidepressivi (cinque milioni), sonniferi a portata di mano per riuscire a reggere la qualità della vita che ci hanno costruiti, con un costo sociale equivalente a quello impiegato per le malattie cardiovascolari, e doppio rispetto a quello richiesto per la cura del cancro, giusto per citare le malattie a maggior incidenza sociale, quelle per cui si muore di più. Dunque in Italia, ma allargando l'orizzonte possiamo dire in Occidente, l'anima sta male, se è vero, come ci riferisce L'Organizzazione mondiale della sanità, che del miliardo di sofferenti psichici (un sesto dell'umanità), ben seicento milioni abitano i paesi industrialmente e tecnicamente avanzati, dove gli uomini sono sempre meno “soggetti” della loro vita e sempre più “funzionari” degli apparati che li impiegano e concedono loro le condizioni per vivere. Proposte alla loro cura ci sono in Occidente schiere sempre più numerose di psichiatri, psicologi e psicoanalisti che, a pagamento, cercano di ricostruire, nelle anime desertificate dal dolore, delle trame di senso. A questi vanno aggiunti preti, educatori, operatori sociali, e perché no, medici di famiglia, omeopati, maghi, praticanti di tecniche orientali o di ginnastiche terapeutiche, un esercito insomma che cerca di intervenire con lo strumento della comunicazione, sia verbale che somatica, a cui si aggiunge la chimica che si compra in farmacia per stare passabilmente bene, non avendo né tempo né voglia e forse neppure l'interesse o la capacità di sapere chi davvero si è. Alla base c'è quel deserto affettivo che è diventato il paesaggio dell'uomo occidentale e che la psichiatria rubrica sotto il nome di “depressione”.... Già Freud, considerando le richieste che la società esigeva dai singoli individui, a più riprese si chiedeva se alle volte: “Non è forse lecita la diagnosi che alcune civiltà, o epoche civili, e magari tutto il genere umano, sono diventati “nevrotici” per effetto del loro stesso sforzo di civiltà? Pertanto non provo indignazione quando sento chi, considerate le mete a cui tendono i nostri sforzi verso la civiltà e i mezzi usati per raggiungerle, ritiene che il gioco non valga la candela e che l'esito non possa essere per il singolo altro che intollerabile”. (Tratto da: I miti del nostro tempo – Umberto Galimberti).
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