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Sergio Bucchi a Molfetta: Salvemini “pazzo malinconico” Le celebrazioni del sessantesimo anniversario della morte del grande storico antifascista
10 novembre 2017

 MOLFETTA - Ci sono momenti, insperati eppure attesi, voluti e desiderati, in cui comunità che pensavano di essersi “perse”, si ritrovano in un inaspettato senso di orgoglio unitario. Ci sono persone, cittadini che attendono da tempo segnali di antichi valori di unità, solidarietà, condivisione. E poi ci sono città, amministrazioni comunali che si fanno carico di queste mute e troppo spesso inascoltate richieste.  E’ quello che è accaduto in una sera di novembre, che ha visto l’Aula consigliare di Palazzo Giovene essere gremita di cittadini di ogni fascia di età in occasione delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario della morte di Gaetano Salvemini. E deve essere stato un bellissimo colpo d’occhio per i relatori della lectio magistralis  “Democrazia e dittatura nel pensiero di Gaetano Salvemini”. Alla presenza del Sindaco Tommaso Minervini e dell’Assessore alla Cultura Turismo e Affari Generali Sara Allegretta,il  prof. Vito Antonio Leuzzi, direttore dell'Istituto Pugliese per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea e il prof. Sergio Bucchi ,docente associato dell’Università La Sapienza di Roma, hanno guidato i presenti un excursus sulla figura dello storico e politico Gaetano Salvemini.

Il prof. Leuzzi ha ricordato l’orgogliosa appartenenza di Gaetano Salvemini alla città di Molfetta, pur essendo stato eletto nel collegio comprendente le città limitrofe. Leuzzi ha citato le parole di Salvemini, il quale sosteneva che essere democratico è rimanere persona umile, non sentirsi un dio. Il suo è stato un percorso di testarda testimonianza di meridionalista, delle regioni meridionali che hanno scritto le pagine dell’Europa migliore, che ha saputo mantenere la schiena dritta, che è stata sostenuta da gente umile, pescatori, agricoltori che non hanno esitato a manifestare in favore e sostenere le idee di Salvemini.

“Chi siete voi?. Siamo una mezza dozzina di pazzi malinconici manipolo di visionari innamorati del socialismo”. Con queste parole il prof. Bucchi ha preso la parola incominciando dalla fine, incominciando da un articolo di Salvemini del 1953 che sarà pubblicato postumo a cura di Beniamino Finocchiaro, intitolato “La pelle di zigrino” , omaggio a Balzac, in cui fascisti, neofascisti, gesuiti, neogesuiti, aspiravano a nuove ritrovate energie necessarie alla sopravvivenza politica. Liberismo, democrazia e socialismo sono parole ricorrenti nel lessico salveminiano. Il liberismo si ottiene attraverso la conquista di tutte le libertà. La democrazia è un’estensione di tutte le libertà personali e politiche. Un regime libero non può essere democratico, ma un regime democratico deve essere libero.

Salvemini visse come un fallimento il prosieguo delle sue idee riformatrici. Si schierò contro gli stessi riformisti al quale gruppo egli stesso apparteneva. Un giorno, in Francia, partecipò, in incognito, ad  una riunione di intellettuali italiani in esilio, guidata dal giovane Gobetti. Salvemini fu colpito dalla carica critica di Gobetti il quale affermò che Salvemini  aveva un’idea utopistica del socialismo. Salvemini affermò: “Mi pareva un elogio funebre ante cadaveris”. Furono parole che lo misero in crisi per non essere riuscito ad elaborare una posizione rivoluzionaria di passaggio dal marxismo alla democrazia.

A nulla valsero i riconoscimenti esteri, la docenza nelle migliori università come quelle di Harvard. Rimase profondamente critico, molto, troppo, di quella criticità, senso di inadeguatezza, di incompiuta opera che solo le grandi menti e le grandi personalità avvertono.

© Riproduzione riservata

Autore: Beatrice Trogu
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