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Serata in onore di Eduardo De Filippo all'Upm di Molfetta con Mimmo Amato
17 dicembre 2014

MOLFETTA - Eduardo o Edoardo? Qual è la versione corretta del nome di De Filippo? Lo spiega il professor Mimmo Amato, che a trent’anni dalla scomparsa del grande artista, ha voluto organizzare una serata in suo onore, dedicandola, ma soprattutto dedicandosi, in particolar modo alla sua poesia. Amato ci informa dunque che il nome originale è Eduardo e che durante il Fascismo è diventato Edoardo, poiché il governo ha voluto cambiare tutti i nomi che in qualche modo richiamassero quelli stranieri: Eduardo infatti era più vicino al nome inglese Edward, ergo, andava modificato. A prescindere da quale sia il nome corretto, la fama del poliedrico artista non cambia, così come non ne viene assolutamente intaccata la sua bravura.

Notevole l’impresa del prof. Amato, Introdotto dalla presidente dell'UPM, prof.ssa Ottavia Sgherza (foto), da pugliese,  di mantenere il dialetto napoletano originale per interpretare le poesie; napoletano senza il quale le opere perderebbero molto probabilmente la maggior parte del loro effetto, del loro colore, del loro stesso significato; un dialetto che certamente è il miglior tramite per descrivere la città, o meglio, la realtà, in cui è parlato, Napoli.

Si è scelto di organizzare questa serata all'Università Popolare Molfettese, perché Eduardo ha dato la sua originale interpretazione agli uomini del ‘900, grazie ai suoi ruoli di drammaturgo, attore, regista, poeta e sceneggiatore  e perché, nel suo lavoro, la statura di drammaturgo non contrasta con quella familiare, questo è ciò che ci ricorda Amato. E si comincia proprio da una scena di vita di famiglia, con la lettura di una lettera di Natale alla madre, di carattere comico, di cui ammetto di aver compreso poco, poiché al napoletano bisogna “farci l’orecchio”, e dopo il primo, forse un po’ traumatico impatto, diventa naturale capirlo, come si suol dire, è internazionale.

L’Eduardo poeta è imperniato sul pessimismo, vissuto non come alienazione dal mondo circostante, ma come partecipazione alla vita, le cui brutture sono raccontate con ironia. A tal proposito è stata letta la poesia “Io vulesse truva’ pace” (Vorrei trovare pace). Ma la poesia non è sempre fine a sé stessa, anzi, è servita anche come aiuto per la stesura delle opere teatrali; è il caso di “La gatta d’ ‘o palazzo” (La gatta del palazzo) e “Tre ppiccerille” (Tre bambini) i cui toni e argomenti sono poi confluiti nella commedia “Filumena Marturano” del 1946. La gatta del primo componimento si aggira per il palazzo cercando di soppiatto qualche boccone di cui approfittare, ma non è ladra, vuole solo nutrirsi, infatti non si cura della mille lire che avvolge il boccone e la lascia sul tavolo; allo stesso modo Filumena non punta ai soldi di Don Domenico Soriano, desidera soltanto la pace e la serenità per i propri figli. Il secondo componimento, quello sui tre bambini, è invece una specie di fotografia, una pittura, che rappresenta i tre figli di Filumena e a quest’immagine poi, seguiranno gli eventi della commedia.

La poesia di Eduardo esprime una farsa disincantata dei personaggi di Napoli, ladruncoli, vittime, prostitute, aguzzini e “tant’altra umanità” che l’autore va cercando nei tribunali e nei Bassi, i quartieri più poveri della città. Ad esempio in “O’ camion” (Il camion), passo della famosissima commedia “Napoli milionaria”  descrive la vita fuorilegge di un uomo che, alla fine del secondo dopoguerra per sopravvivere ha cominciato a dedicarsi al contrabbando. Sempre dalla stessa opera il professor Amato ha estratto anche “Adda passà a nuttata” (Deve passare la nottata), pezzo in cui, sfruttando al meglio la sua mimica facciale e l’espressività della sua recitazione, ha riprodotto il dolore e l’ansia di una famiglia, la cui figlioletta è gravemente malata e l’unico modo per curarla è una medicina introvabile in tutta Napoli. La medicina verrà poi portata da un amico di famiglia e tutto ciò che resta da fare è aspettare che la bambina superi la notte. Il pezzo è un invito a reagire di fronte alle difficoltà della vita; così come la maggior parte delle poesie è contro l’ipocrisia, l’avidità, le differenze sociali, e tratta del nichilismo dell’essere umano.

Dopo “Napoli milionaria” Edoardo decide di passare al teatro drammatico, a differenza del padre, Eduardo Scarpetta  e del fratello Peppino che hanno consacrato tutta la loro vita alla commedia. E’ anche il periodo del neorealismo poetico, a cui Amato fa riferimento con la poesia “Il colore delle parole”, che Neruda avrebbe definito un’ode alle parole,  e in cui De Filippo evidenzia la grande forza che hanno, tanto da smuovere le montagne.

Figure importanti della sua vita sono anche le donne, come Filumena e Amalia  sul palco, la mamma Luisa nella vita privata, morta nel ’44. Ma anche la figlia Luisella,  la sorella Titina e la moglie, venute a mancare prematuramente e segnando l’esistenza di Edoardo. Le delusioni ricevute dal Comune di Napoli, come la promessa della costruzione di un nuovo teatro del quale sarebbe stato il direttore,  gli hanno fatto rifiutare la laurea ad honorem offerta dall’Università di Napoli, mentre ha accettato quelle dell’Università di Roma e di Birmingham.

Non poteva ovviamente mancare la citazione di un passo tratto da “Vincenzo de Pretore”, un ladruncolo che si trova ad un certo punto davanti al Signore e gli chiede il permesso di accedere al Paradiso, grazie all’intercessione di San Giuseppe, del quale ha chiesto la protezione in vita.

© Riproduzione riservata

Autore: Rossana Petruzzella
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