MOLFETTA - Tanto tuonò che non piovve. Montecchi contro Capuleti, centrodestra contro centrosinistra, una vera e propria “guerra di religione” (anche a Molfetta) per il più classico vuoto spinto: il decreto sul riordino delle Province non sarà convertito in legge, adesso è definitivo. Scompare dall’agenda politica l’ennesima tempesta di sabbia estiva di alcuni politicanti locali. Proprio Quindici, negli ultimi articoli sull’argomento, aveva anche sospettato che questo decreto non fosse poi più convertito in legge e si stesse sollevando solo polvere: tanto rumore per nulla.
Questo è stato deciso all’unanimità dai partecipanti ai lavori della Commissione Affari Costituzionali del Senato, conclusasi nella tarda serata di lunedì alla presenza tra gli altri dei ministri Filippo Patroni Griffi (Pubblica amministrazione e semplificazione) e Piero Giarda (Rapporti con il Parlamento).
Pare siano davvero poche le possibilità di poter convertire il provvedimento a causa del numero eccessivo dei sub-emendamenti, pari in tutto a 140. In sostanza, in Puglia tutto resterà com’è: Molfetta resterà al suo posto, nella Provincia di Bari, che non sarà trasformata in Città metropolitana (tantomeno finirà nella Provincia di Foggia).
Gli “sciamani” della Città metropolitana o quelli che hanno gridato “al lupo al lupo” su un’improbabile accorpamento di Molfetta a Foggia preferiscono il silenzio, sull’argomento, perché sono state collezionate fin troppe figure barbine da entrambi i fronti.
Insomma, la montagna governativa, che sembrava dovesse schiacciare anche il Comune di Molfetta con l’accorpamento coatto alla provincia di Foggia o alla Città metropolitana di Bari, ha partorito solo un piccolo e insignificante topolino. Anzi, neanche quello. Con buona pace di qualche politicante locale che ha alimentato un polverone di vacuità, infestando anche gli organi di stampa, invece di discutere su problematiche serie. I comizi e le tavolate al Corso Umberto, i proclami in Consiglio comunale, le “vuvuzelas” mediatiche si sono dileguati come fumo cancerogeno nel nulla.
Anche i risicati attivisti locali del Movimento Cinque stelle (a livello nazionale sta gettando la maschera, rivelandosi peggio del berlusconismo, con autoritarismo e poca trasparenza del suo fondatore Beppe Grillo di fronte ai dissidenti) portano a casa l’aria fritta, considerata la richiesta al Commissario Prefettizio di un improbabile referendum.
Il Pdl ha depositato in aula al Senato le pregiudiziali di costituzionalità (evidenziate da molti organi istituzionali nazionali, tra cui l’Unione delle Province d’Italia) sul Decreto n.174 che prevedeva il passaggio da 86 a 51 Province, cui si aggiungono i 700 emendamenti portati in Commissione e i ricorsi presentati da alcune località sentitesi penalizzate dai criteri alla base del riassetto delle Province.
Un vero e proprio colpo mortale al decreto che scadrà alla vigilia della Befana, il 5 gennaio 2013: troppo poco per ultimare o riavviare questa difficilissima riforma.
«Il governo ha fatto quello che poteva - il laconico commento di Patroni Griffi -, ma la situazione non si poteva sbrogliare come del resto hanno confermato questa sera i capigruppo in Commissione». Con il Parlamento «il Governo ha fatto un buon lavoro fino alla spending review», ha spiegato deluso il ministro, «ma poi si sono imposti alcuni giochi in Parlamento».
Inoltre, le annunciate dimissioni di Monti dopo l’approvazione della Legge di Stabilità 2012 (un altro salasso in vista) hanno complicato maggiormente la situazione. È stato ancora una volta sbeffeggiato il Governo centrale (forse non completamente a torto, visto che il decreto era in odore di incostituzionalità), che auspicava una conversione del decreto in tempi brevi, mettendo le mani avanti in caso di mancata approvazione definitiva, con l’elenco di tutti i possibili malus derivanti da uno stop improvviso al riordino, quasi che le riforme fin qui introdotte abbiano avuto l’effetto salutare sperato o dichiarato.
Infatti, secondo un documento governativo, la mancata conversione del decreto di legge «potrebbe anche implicare un periodo d’incertezza per l’esercizio di funzioni fondamentali per i cittadini».
Anzi, «porrà una questione finanziaria legata dal problema dei mutui contratti dalle province con banche e soprattutto Cassa depositi e prestiti: a questi dovranno subentrare Regioni o Comuni o dovranno essere frazionati, altri problemi riguarderanno il trasferimento del personale, dei finanziamenti, dei beni immobili» (dipartimento delle Riforme del ministero della Funzione Pubblica).
Le città metropolitane restano istituite solo sulla carta, ma la loro operatività sarebbe ostacolata, secondo il Governo, da una serie di fattori, come la mancanza di definizione del sistema elettorale del consiglio metropolitano (è emerso il difetto di legittimità democratica di tale astruso organismo solo ora), l’incertezza sui rapporti tra sindaco del Comune capoluogo e sindaco metropolitano, le incertezze sui rapporti patrimoniali e finanziari. Nessuno ha ora il coraggio di dire ulteriori sciocchezze a Corso Umberto sull’argomento, compresa la follia dell’adesione alla provincia di Foggia o la creazione della nuova provincia di Molfetta. La tempesta di sabbia sembra passata.
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