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Scomparso Ignazio Salvemini, figura storica della marineria molfettese
15 aprile 2017

Figura storica della marineria molfettese della quale era il decano, Ignazio Salvemini è morto il 23 marzo scorso alla veneranda età di 103 anni. Chi lo conosceva sa bene che ne dimostrava venti di meno: fisico asciutto, andatura eretta, aspetto signorile, sempre sorridente. Salvemini era un personaggio a Molfetta, forse il marinaio per antonomasia, divenuto poi armatore con ben 7 pescherecci, ha avuto una vita movimentata, non facile, ma affrontata sempre con coraggio e sacrificio. Ha raccontato le sue esperienze a tutti coloro che hanno avuto il piacere di conoscerlo e incontrarlo. In un’intervista pubblicata nelle pagine della cultura della “Gazzetta del Mezzogiorno” 24 anni fa, il 15 ottobre del 1993, realizzata dal direttore di “Quindici”, il giornalista economico della “Gazzetta de Mezzogiorno” Felice de Sanctis ricordava così la sua esperienza di vita e lavoro dell’epoca: «Ogni improvvisazione poteva costare cara – racconta Ignazio Salvemini, 80 anni, magnificamente portati: ne dimostra al massimo 60, questo vecchio pescatore di Molfetta asciutto e dritto come un albero maestro -. Tutta la cultura marinara era frutto di esperienze degli antenati, tramandate di padre in figlio. Allora non c’erano bollettini meteorologici, si andava col vento, perché le barche erano a vela, le antiche bilancelle dalla vela latina». Quando il vento era buono, il capitano spediva il mozzo, casa per casa, a reclutare l’equipaggio. Il ragazzo partiva intorno alle 22.30, doveva fare in fretta: a mezzanotte si doveva salpare. Il capitano faceva la provvista del pane (allora non c’era tutto il ben di Dio che c’è oggi). Ogni pescatore si portava da casa una bottiglia di vino. E l’acqua? Niente minerale. Si raccoglieva a bordo nel «caratidde», un serbatoio in legno e doveva servire per tutto il viaggio. Poi la partenza in direzione del Gargano, per sfruttare il tempo favorevole. Ignazio Salvemini durante la seconda guerra mondiale si vide requisire il suo peschereccio “Littorio” (nome fascista imposto dal regime e poi cambiato al termine della guerra) dalle autorità militari italiane per essere utilizzato nel trasporto delle munizioni verso Alessandria d’Egitto e l’Africa per le truppe impegnate su quel fronte. E i pescherecci partivano sia da Molfetta che da Bari e Monopoli. I familiari dei soldati al fronte appro-fittavano di queste spedizioni, per affidare a Salvemini cibo e lettere per i loro cari. La traversata del Mediterraneo era pericolosa, raccontava Salvemini, perché la piccola imbarcazione doveva navigare a zig-zag per scansare possibili sommergibili nemici. Anche il pericolo di bombardamenti aerei era sempre in agguato: Salvemini e il suo equipaggio rischiavano la vita ogni volta. Dopo l’8 settembre del ’43 il peschereccio di Salvemini continuò l’attraversamento del Mediterraneo per portare in salvo molti soldati di Molfetta: sovraccaricava la sua imbarcazione che faceva la spola tra le coste africane e quelle pugliesi. Salvemini ha donato alle Associazioni “Eredi della storia” e a quelle combattentistiche di Molfetta, delle quali era orgoglioso socio, molto materiale storico dell’epoca (documenti, registrazioni, filmati), che oggi costituiscono una parte dell’archivio di questi sodalizi. Per ricordare quest’uomo che ha onorato la nostra città e che è stato orgoglioso lettore e abbonato di “Quindici” fin dal primo giorno e amico del nostro direttore, al quale, durante i suoi frequenti incontri, non faceva mancare mai consigli e suggerimenti dopo la lettura della rivista, pubblichiamo qui sotto l’articolo integrale della “Gazzetta del Mezzogiorno”, dell’ottobre del 1993, in cui è contenuta l’intervista integrale che parla non solo di Salvemini, ma della vita di tanti marittimi, delle loro storie, dei loro sacrifici e della vita rischiosa a bordo dei pescherecci, soprattutto costretti a difendersi dagli attacchi armati e dai sequestri delle motovedette della ex Jugoslavia. Una bella pagina e un omaggio a questi uomini che hanno reso grande e prosperosa Molfetta e la cui opera non va dimenticata. Il direttore Felice de Sanctis, che si onorò della sua amicizia, la redazione e i collaboratori di “Quindici” abbracciano affettuosamente i figli di Ignazio Salvemini, il prof. Biagio (Gino) con la moglie Annastella, l’avv. Giacomo (Mino) già candidato sindaco del centrosinistra, con la moglie Rossana de Gennaro (già collaboratrice di “Quindici”) e la prof. Dorotea (Tea) con il marito Giuliano Micelli.

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