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Rotary Club Molfetta, la rivoluzione dell'informazione digitale Conferenza di Felice de Sanctis, giornalista economico della Gazzetta del Mezzogiorno e direttore della rivista mensile Quindici. L'avvento del «postfordismo dell'informazione» e la svalutazione della figura del giornalista: dal giornale cartaceo a quello online
02 novembre 2012

MOLFETTA - Dal vecchio registratore al moderno cd, dai dischetti alla più pratica pen drive, dal computer al tablet. Così cambia l’informazione dalla carta stampata a internet. È stato questo l’argomento trattato nel secondo incontro organizzato dal Rotary Club Molfetta che ha ospitato il dott. Felice de Sanctis, giornalista economico della Gazzetta del Mezzogiorno e direttore della rivista mensile Quindici e del quotidiano Quindici on line, presentato dal presidente del Club di Molfetta, Vito Valente.
Ciò che prima era soltanto fantascienza, oggi è diventato realtà. Viviamo nell’era del cyberspazio, un momento storico che ha visto mutare l’informazione e il modo di trasmetterla. Ne è esempio la grande quantità di giornali on line che permettono a chiunque di essere o improvvisarsi giornalista e di fare informazione senza la mediazione di un vero e proprio professionista della comunicazione.
Dunque, il rischio è che la figura del cronista possa scomparire a fronte della possibilità data dai giornali in rete di offrire un accesso diretto alle fonti eludendo in tal modo la mediazione giornalistica. Soltanto rivalutandone la professionalità e l’originaria funzione, questo declino potrebbe essere scongiurato. E poi ci si mettono anche leggi liberticide come quella attuale che prevede il pagamento di una cospicua somma pecuniaria anziché la reclusione, qualora all’interno del giornale si compiano delle irregolarità.
Conseguenza immediata sarebbe la chiusura dei piccoli giornali che non riuscirebbero a sobbarcarsi di un peso economico così forte che finirebbe soltanto per schiacciarli. Ma allora dove è finita la tanto proclamata libertà di stampa? Forse è solo una chimera visto che l’Italia si attesta soltanto al 75esimo posto nel mondo per libertà di stampa? In maniera dirompente l’avvento di internet se da una parte ha dato avvio ad una comunicazione in tempo reale, sorpassando la velocità che tv e radio detenevano nei confronti della carta stampata, dall’altra si attesta come «la patria della subcultura massificante e omologante».
Oggi vivere in un villaggio globale, come diceva Marshall Mc Luhan (studioso canadese delle comunicazioni di massa), comporta anche il confrontarsi con nuovi strumenti di trasmissione e divulgazione dell’informazione. In primis, la posta elettronica che permette di inviare file in maniera tempestiva, ma che pecca dal punto di vista della privacy. Di fatto, chiunque possiede un indirizzo e-mail è bombardato da spam e da pubblicità di ogni genere. Anche l’incessante sviluppo dei social media come Facebook e Twitter, ha dato la possibilità di mettersi in comunicazione con tutto il mondo in tempo reale, aprendo le frontiere della conoscenza e travalicando i confini dei territori nei quali siamo fisicamente presenti.
E tutte queste possibilità, complice anche il momento di crisi economica, non hanno fatto altro che allontanare il lettore dai giornali tradizionali, dirottandolo su un’informazione in rete che se da un lato non costa nulla, dall’altro è alquanto sommaria superficiale. Ma non si tratta solo di questo. A fare da attrattiva è anche l’opportunità data al lettore del giornale on line di poter interagire e interfacciarsi con lo strumento che sta utilizzando, diventando protagonista e non semplice fruitore.
E così il giornalismo cede il passo ad una informazione dal basso, quasi a presagire l’avvento di un «postfordismo dell’informazione» che immette sul mercato la notizia, per poi procedere solo in un secondo momento alla regolare verifica o correzione. È pur vero, però, che oggi anche la rettifica di una notizia ha ceduto il passo ad una velocizzazione della modifica rispetto alla lentezza tipica del giornale cartaceo. E allora oggi, il futuro dei giovani, è quello di crearsi nuove opportunità che guardino sempre in avanti perché – come ha spiegato il dott. de Sanctis – il progresso non si può fermare fermo restando un elemento cardine imprescindibile, ovvero il criterio della professionalità.
Se in passato canale preferenziale dell’informazione era il giornale tradizionale, il presente punta sulle potenzialità della rete. E se pure la carta stampata non scomparirà, diventerà un mercato di nicchia riservato a pochi.
 
© Riproduzione riservata
 
Autore: Angelica Vecchio
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Questo “mondo”, che oggi siamo soliti chiamare rete o cyber-spazio, proprio perché non è un “mezzo” ma un “mondo”, non mi lascia altra scelta se non quella di parteciparvi o starmene fuori. Il mio ipotetico sciopero privato non cambia nulla al fatto che, se tutta la vita, da quella occupazionale a quella privata, scorre sulla Rete, non disporre di un apparecchio che alla rete mi collega, mi esclude dal mondo, sia esso lavorativo sia esso privato. La mia libertà di acquistare o meno un computer è già stata soppressa. Ma il mondo che la rete diffonde non è la realtà del mondo e tantomeno l'esperienza che se ne può fare, ma solo il fantasma del mondo, quando non la sua alterazione dovuta al fatto che il mondo reale si svolge ormai in funzione della sua “trasmissione”. Se infatti non c'è mondo al di là della sua descrizione, la telecomunicazione non è un “mezzo” che rende pubblici i fatti, ma la pubblicità che concede diventa il “fine” per cui i fatti sono compiuti. L'informazione qui perde la sua innocenza, perché cessa di essere un resoconto per tradursi in vera e propria costruzione di fatti. E questo non solo nel senso che molti fatti non avrebbero rilevanza se la telecomunicazione non ne desse notizia, ma perché un enorme numero di azioni vengono compiute all'unico scopo di essere teletrasmesse. Oggi il mondo accade perché lo si comunica, e il mondo comunicato è l'unico che abitiamo. Se le nuove tecnologie, lungi dall'essere un indice di libertà come sostengono gli entusiasti fautori della rete, sono una “merce d'obbligo” o, come dicono gli americani, un ”must”, la loro mancanza mette a repentaglio la partecipazione a quell'unico mondo a cui ormai abbiamo accesso, che è poi il mondo della comunicazione. Ma in un mondo in cui da New York a Pechino, da Londra a Città del Capo non c'è persona più sospettabile di chi si permette critiche o anche semplici osservazioni nei confronti di questa rivoluzione tecnologica, allora, come è stato obiettato a Gunther Anders: “Chi critica deve sapere che disturba tutto il corso evolutivo dell'industria, quanto lo smercio del prodotto, o per lo meno ha l'ingenua intenzione di tentare una tale azione di disturbo. Ma poiché il corso dell'industria e lo smercio devono progredire in ogni caso (non è forse così?) la critica è sabotaggio del progresso e quindi appunto reazionaria. E' così l'idea illuministica di “progresso” che ha in vista un fine da realizzare (e che i fautori entusiasti delle nuove tecnologie confondono con lo “sviluppo”, che non ha in vista un fine ma solo l'autopotenziamento tecnologico) risorge, con questo fraintendimento, nei paludamenti più modesti, ma non meno insidiosi, che vanno sotto il nome di “nuovo”, mettendo così in scena un teatro da cui sono escluso i “critici che, per il solo fatto di volersi sottrarre al successo dell'applausometro che misura i consensi al “nuovo”, per ciò sono “reazionari”. In realtà la loro critica non ha il sapore del rifiuto, se è vero, che “il progresso tecnico non sempre è il meglio, anche se è inevitabile”. In questo strano gioco, la “memoria”, per la prima volta nella storia dell'umanità, ha a che fare non con il passato ma con il futuro, non dobbiamo, come sempre abbiamo fatto, dividerci tra fautori e denigratori delle nuove tecnologie, ma tutti insieme divenire attenti osservatori, almeno per evitare che la storia, che noi uomini abbiamo inventato, d'ora innanzi a nostra insaputa. (tratto da: I miti del nostro tempo - Umberto Galimberti)




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