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Rose bianche d'inverno Il racconto
15 gennaio 2014

Rabbrividì nel cappottino leggero che aveva imprudentemente indossato, data la giornata ancora invernale, ma al mattino, quando era uscita per andare in ufficio c’era un pallido sole e il sentore di una primavera precoce, e poi le stava bene. Era consapevole dei suoi limiti: gli occhiali, che certo non mettevano in risalto i suoi occhi, non particolarmente grandi ma belli, la bocca larga che si apriva spesso al sorriso su una dentatura sana, i capelli naturalmente ondulati di un caldo castano chiaro con qualche filo bianco, una figura non particolarmente snella ma rassicurante nella sua conformazione mediterranea, la voce calda, una dizione senza inflessioni dialettali. Matteo nel pomeriggio in ufficio le aveva chiesto ancora una volta di uscire con lui, anche solo per una pizza o per un “aperitivo ricco” in un Pub frequentato prevalentemente da giovani, ma che a lei piaceva. Qualche volta ci andava con le amiche, abbastanza presto la sera, i ragazzi vi sarebbero affluiti molto più tardi, quindi il locale era tranquillo. Ancora una volta lei, con una punta di rimorso perché Matteo le piaceva veramente e stavano bene insieme, era rimasta nel vago. Accelerò il passo, anche se era piuttosto in anticipo. A casa non c’era nessuno, i familiari erano già usciti o non erano ancora rientrati, si tolse rapidamente il cappotto, entrò nella sua stanza e sedette alla scrivania, era la loro ora. Stava per battere i soliti tre colpetti sul muro quando udì la sua voce dall’altra parte della parete, parlava con qualcuno e in attesa che la linea si liberasse ripensò con tenerezza alla loro storia. Abitavano in due appartamenti contigui e le loro stanze avevano solo una parete a dividerli, si erano conosciuti incontrandosi per le scale, lei, la donna forte e sicura, senza alcuna particolare attrattiva, lui, molto più giovane, indiscutibilmente attraente, capelli neri ricci, portati corti, alto, occhi chiari, sorriso contagioso. Ne era innamorata? Non voleva chiederselo, le bastava sapere che la cercava, che lei era il suo punto di riferimento, quella a cui poteva confidare tutto. Si parlavano per telefono e sembrava che la parete che li divideva non ci fosse più, a volte parlavano per un’ora. Incontrandosi sul ballatoio un sorriso e un breve saluto bastavano a dirsi tante cose. Non riusciva a pensare di privarsi di quelle ore segrete, incantate, che le riempivano la vita e di accettare la corte di Matteo, una solida, rassicurante realtà. Bussarono, andò ad aprire e si trovò di fronte uno splendido fascio di rose bianche che coprivano quasi il garzone del fioraio a cui dette una generosa mancia e guardò col cuore che le batteva il biglietto che le accompagnava: “Quando ti decidi ad accettare il mio invito?” Erano di Matteo, mise le rose nel portafiori sorridendo con un senso di colpa e tornò in camera, tre colpetti al muro e lui l’avrebbe chiamata e l’incanto sarebbe ricominciato. Chiara le arrivò la voce di lui, ancora al telefono, rideva “…ma che ti salta in mente, …certo è una cara persona ma non c’è ragione di esserne gelosa…sì, diciamo una specie di zia…” Si bloccò raggelata, non c’era possibilità di equivoci. Appena la telefonata finì, fu lui a battere i tre colpetti sul muro. Lasciò suonare il telefono a lungo, poi la sua voce calda, complice: “ Ma che facevi, aspettavo la tua telefonata!” “Scusami, mi stavo preparando, vado fuori a cena con un amico, anzi penso che nei prossimi giorni sarò molto impegnata – disse con voce allegra – ci sentiremo appena possibile”. Lo sbalordimento di lui era percepibile. Le rose bianche splendevano nell’ombra, interruppe la conversazione e fece il numero di Matteo: “Grazie per le rose, illuminano la giornata invernale. …Hai detto stasera? Ma sì, a che ora passi a prendermi?”. Alle 20,30 era quasi pronta, Matteo le aveva telefonato che stava arrivando in macchina, aveva prenotato in un piccolo ristorante appena fuori città che a lei piaceva molto, ne avevano parlato una volta in ufficio. Il tubino nero che aveva indossato era un po’ datato ma le stava bene, mise la spilla antica che le aveva lasciato sua nonna e lo ravvivava, ancora un tocco di fard sulle guance e si guardò sorridendo allo specchio: era pronta per uscire. E per cominciare a vivere.

Autore: Rose bianche d'inverno
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