Recupero Password
Ricordi di Gaetano Salvemini: una testa dura di Molfetta
09 settembre 2023

MOLFETTA - Ogni anno a Molfetta, ormai per tradizione secolare, l’otto settembre è una giornata di festa, dedicata alla Madonna dei Martiri che fa da compatrona della città insieme a San Corrado. La data in questione possiede un altro motivo di orgoglio per noi molfettesi, perché proprio durante la festa patronale del 1873, la nostra città diede i natali a Gaetano Salvemini.

Storico brillante e meridionalista intransigente, fu ferreo oppositore del giolittismo prima e del fascismo poi. Gaetano Salvemini nasce a Molfetta, in via Cifariello, l’8 settembre 1873 da Ilarione Salvemini ed Emmanuella Turtur.

Tra le figure di spicco nella sua infanzia c’è zio Mauro Giuseppe, un prete borbonico che insegna al piccolo nipote i primi rudimenti del latino. Salvemini frequenta per otto anni il ginnasio-liceo del seminario molfettese, fino al conseguimento del diploma avvenuto nel 1890.

All’età di diciassette anni, Salvemini vince una borsa di studio salvifica: sessanta lire al mese che gli avrebbero consentito di frequentare l’Università di Firenze. Tra le mura della facoltà di Lettere, che egli frequenta, conosce molti docenti universitari, nonché maestri di vita, decisivi nella crescita di Salvemini. Tra gli insegnanti chiave per la maturazione del giovane ricordiamo: l’antichista Achille Coen; i filosofi Augusto Conti e Felice Tocco; il paleografo Cesare Paoli e sopra tutti il modernista Pasquale Villari, con il quale stringe un legame di profondo rispetto e sincera amicizia.

Conseguita la laurea nel 1895, il ventiduenne molfettese inizia ad insegnare in molte città italiane: tra il 1895 e il 1901 è presente nei licei di Faenza, Firenze e Lodi e nel ginnasio di Palermo. Nel 1897 sposa a Firenze la molfettese Giulia Maria Minervini e nel 1901, avendo partecipato al concorso per la cattedra di Storia moderna dell’Università di Catania, fu collocato al secondo posto nella graduatoria degli “eleggibili” ed ebbe l’accesso allo straordinariato per la cattedra di Storia moderna nell’Università di Messina. All’alba del Novecento in Sicilia conosce un senso di pienezza spirituale che lo porta all’assoluta felicità.

Tutto viene stroncato nel dicembre del 1908 quando a Messina il terremoto porta via a Salvemini la moglie, i cinque figli e la sorella.

Cinque anni dopo, docente all’Università di Pisa, nell’ottobre 1913 partecipa alle elezioni politiche candidandosi come socialista indipendente e sfidando nel collegio di Molfetta-Bisceglie il candidato repubblicano Pietro Pansini.

Le elezioni a Molfetta, come tutto il Sud, si svolgono tra manganellate e revolverate e Salvemini vede per questo la sua vittoria sfumare, nonostante le folle oceaniche, divenute poi celebri, che lo assistono ad ogni comizio.

Durante la successiva tornata elettorale, a luglio 1914, viene eletto come consigliere provinciale in Terra di Bari ma da lì ad un anno l’Italia entra in guerra, alla quale Salvemini prende parte per un breve periodo; successivo è il matrimonio con Fernande Luchaire nel 1916.

Alle elezioni politiche del novembre 1919 si prende la rivincita e risulta eletto tra le file dei Combattenti. Alle elezioni del 1921 fa un passo indietro e rinuncia alla candidatura col PSI, preferendo l’impegno per lo studio e l’insegnamento di Storia moderna a Firenze fino all’arresto del luglio 1925 per la diffusione del giornale antifascista clandestino

<<Non Mollare!>>. Fortunatamente un’amnistia per i fascisti, fa scarcerare anche il prof. Salvemini, che decide di cercare rifugio al di fuori dell’Italia, dove ormai era un nemico acerrimo del fascismo.

Dal 1925 al 1949 continua ad insegnare in varie Università e conduce una vita da fuoruscito tra Francia, Inghilterra e U.S.A., insegnando dal 1932 alla Harvard University di Cambridge nel Massachusetts, facendo comunque sentire la sua voce di oppositore – sia pur a distanza – del regime.

Nel 1949, durante gli anni della ricostruzione post-bellica, fa ritorno in Italia all’età di settantasei anni dove è costretto a continuare con l’insegnamento di Storia a Firenze per qualche anno, fino alla soglia degli ottant'anni, quando i problemi legati alla vecchiaia non gli consentono più di condurre il suo lavoro. Continua a scrivere per <<Mondo>>, <<Il Ponte>> e <<Critica Sociale>> fin quando non esala l’ultimo respiro il 6 settembre del 1957 a Sorrento.

<<Non si ritorna senza un battito di cuore alla scuola che vi accolse adolescente, e fece di voi un uomo, e poi vi riprese insegnante, e poi doveste dividerne col pianto nell’anima, ed ora vi ritornate dopo lunga frana di eventi>>. Così il prof. Gaetano Salvemini il 16 novembre 1949 all’Università di Firenze riprende l’insegnamento di Storia moderna, lasciata ventiquattro anni prima a causa delle leggi fasciste.

Salvemini confessa che da giovane, prima di arrivare all’Università di Firenze, possedeva un bagaglio intellettuale lacunoso, che però venne colmato da un profondo bagaglio morale, legato agli insegnamenti dei Vangeli, ai romanzi pedagogici di Jules Verne e all’armonia della “Geometria” di Euclide, esempio di ordine e chiarezza.

Ottenuta la già citata borsa di studio, Salvemini riesce a stento a reggere le spese universitarie ma con profonda gratitudine sa di aver scampato un triste destino: <<Senza quelle sessanta lire, avrei dovuto tornarmene al <<mio paese>> primo maschio fra nove fratelli e sorelle, a diventare prete – ché questo era nell’Italia meridionale di allora il destino dei ragazzi non analfabeti e non stupidi delle famiglie povere>>.

A Firenze il giovane molfettese entra a contatto con un nuovo mondo, il suo primo anno nella città fiorentina lo ricorda come un <<annus mirabilis>> per evidenziare l’ambiente stimolante e vivifico che lo circondava: <<A diciassette anni tutti i mondi sono innanzi a voi. Basta stendere la mano>>.

L’Università di Firenze accoglie Salvemini da adolescente e lo cresce come uomo, fino a prenderlo in veste di insegnante, lasciando quindi un segno indelebile nella vita del molfettese. Tra i suoi maestri conserva ricordi unici ed esemplari di Cesare Paoli, al quale è legato il ricordo della primissima pubblicazione; Achille Coen, che lavora per <<educare il loro(alunni) spirito>> e infine Pasquale Villari, che insegna al giovane Salvemini <<a non essere una mummia>>. Con quest’ultimo si era creato un vero legame di amicizia e rispetto, infatti, anche se non mancavano mai i battibecchi, l’armonia tra i due si ritrovava sempre: <<Una volta mi disse che avevo la testa dura. Ma rispettò sempre la libertà di quella testa. Credo di dovere a lui se ho fatto sempre altrettanto coi miei alunni: e più le teste sono dure e più mi piacciono>>.

La sua cocciutaggine, definita da Beniamino Finocchiaro <<testardaggine salveminiana>>, è stata un’arma che lo ha sempre caratterizzato nelle sue lotte politiche, in particolare riguardo il problema della Questione meridionale legata al suffragio universale, tema non prioritario nel PSI di inizio Novecento. Il medievista molfettese sosteneva che l’analfabetismo meridionale non poteva essere un ostacolo al suffragio universale, anzi riteneva che, se proprio fosse necessario possedere competenze specifiche per esprimere un voto, tutti gli elettori avrebbero dovuto passare un complicatissimo esame di sociologia prima di recarsi alle urne.

Così Salvemini evidenzia l’insensatezza di privare del diritto di voto i poveri analfabeti: <<L’analfabeta non sa tradurre le sue idee dal dialetto alla lingua letteraria, ma sa ragionare a voce, e sa difendere i suoi interessi, e molti analfabeti hanno mille volte più buon senso di parecchi dottori>>.

La riforma elettorale era dunque la madre di tutte le riforme per Salvemini affinché il Meridione potesse entrare veramente nelle decisioni politiche del Regno e vivere un sostanziale riscatto. Il PSI ha sempre accantonato l’idea di dare priorità assoluta al suffragio universale per timore che i contadini meridionali, ignoranti e analfabeti, potessero votare quello che diceva il prete. Questa ostinazione nel perseguire le sue idee e la volontà di rifiutare le logiche di partito (favorevoli soltanto agli operai del Nord) fanno del prof. Salvemini un socialista critico non allineato, sempre fedele al suo Meridione, pure a costo di andare contro tutti e tutto.

Per noi molfettesi conservare gelosamente il ricordo di Salvemini è un dovere sociale: una mente brillante sempre al servizio della sua terra e dei poveri contadini che la abitavano. Un esempio per tutti i giovani per la sua cocciutaggine – che poi era determinazione – nel raggiungere i propri obiettivi rimanendo fedele alle proprie idee, a costo di non essere allineato con nessuno: sintomo di profondo impegno civile e di amore sincero e disinteressato per la sua Molfetta.

Andrea Innominato

© Riproduzione riservata

 

 Bibliografia di riferimento

 

  1. Tagliacozzo e S. Bucchi (a c. di), Gaetano Salvemini, Socialismo, Riformismo, Democrazia, Editori Laterza, Bari, 1990
 

  1. Salvemini, Movimento socialista e questione meridionale, Feltrinelli, Milano, 1963
 

  1. De Gennaro (a c. di), Giornate Salveminiane e mostra documentaria, Mezzina, Molfetta, 1992
 

  1. I. de Santis (a c. di), Gaetano Salvemini: una vita per la democrazia e la libertà, nuovocentrostampa, Molfetta, 2010
 

  1. Finocchiaro, Il potere scomodo, Dedalo, Bari, 1991
 

  1. Bortone e L. Mercuri e E. Tagliacozzo (a c. di), Salvemini una vita per la libertà, Tipografia Tappini, Città di Castello, 1971.
Nominativo
Email
Messaggio
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2024
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet