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Regionali a Molfetta. L'analisi Pd: città pronta a voltare pagina politica
14 aprile 2010

MOLFETTA - Soddisfatti dell’elezione di Nichi Vendola, «espressione del giudizio positivo dell’elettorato verso le politiche concrete e virtuose dell’amministrazione regionale di centrosinistra nel quinquennio 2005-2010». Soddisfatti della riconferma, come consigliere della Regione Puglia, di Guglielmo Minervini (col premio di maggioranza), di cui è stato apprezzato il lavoro per Molfetta e per l’intera Puglia. Una nomina ottenuta «entro il perimetro della politica, non della compravendita dei voti», nonostante la pluralità di candidati molfettesi di centrosinistra.

Giovanni Abbattista (nella foto, a destra di Minervini), segretario e coordinatore generale del PD, ha introdotto la conferenza stampa del PD sull’analisi del risultato delle elezioni regionali con la consapevolezza che per Molfetta «è concreta la possibilità di una svolta politica»: il PD primo partito della coalizione di centrosinistra, secondo in assoluto, dietro al Pdl, a Molfetta. Città che «esprime il 24% delle preferenze al PD, percentuale tra le più elevate nella provincia di Bari»: una coalizione di centrosinistra che «con il 53% batte nettamente la coalizione di Rocco Palese, ferma al 40,53%».
Insomma, un successo che a Molfetta sembra manifestare nuove prospettive politiche. «Un voto di sfiducia – così come lo ha interpretato il segretario del PD Abbattista – verso chi governa oggi la città e un candidato (Antonio Camporeale, ndr) controfigura del sindaco Azzollini».
Una bocciatura per il sindaco e tutta la sua compagine, ha ribadito Guglielmo Minervini: si è palesato il rifiuto «della inadeguatezza amministrativa, della cattiva progettualità di un governo cittadino che ha ricoperto di fango il governo regionale – a quanto pare, l’unico Comune in tutta la Regione Puglia – con accuse di ostruzionismo politico, senza cercare mai una collaborazione produttiva».
Per il PD una favorevole occasione di fiducia da parte dei cittadini, nonostante un eccessivo astensionismo, secondo l’avv. Abbattista, collocabile nel centrodestra.
La Puglia diventa, dunque, un vero e proprio «laboratorio politico», quella «anomalia italiana» e «osservata speciale» che, di fronte al potere della Lega nel Nord Italia, deve saper «trasformare in valore positivo il legame con il territorio e la sua apertura all’esterno».
Dunque, presentare un governo dell’alternativa non solo a livello nazionale, ma anche a livello cittadino attraverso processi di sviluppo virtuoso ed autonomo: così Guglielmo Minervini e i rappresentati del PD molfettese si sono impegnati ad una «forte attività di opposizione e a una elaborazione alternativa al governo di centrodestra», superando le proprie insufficienze comunicative e organizzative, palesante negli anni precedenti, demolendo la «disinformazione di destra e creando una più concreta coalizione di centrosinistra».
Alla conferenza stampa hanno partecipato anche i consiglieri comunali del Pd, Pino de Candia e Mino Salvemini.
 
 
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Autore: Marcello la Forgia
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Vedo e leggo che si continua nell'errore "storico", parlando e scrivendo del "comunismo". Quell'"idea" sociale rivoluzionaria iniziata e mai terminata: una "rivoluzione incompiuta". Possiamo parlare di una sua continuità o è stata conservata soltanto come una forma esteriore, come un guscio ideologico che nasconde realtà che non hanno nulla in comune con le alte aspirazioni del 1917? Lo "stalinismo" soffocò quell'idea, anche se la parola "comunismo" viene tutt'ora scritta e pronunciata ad ogni contrasto ideologico. "Il "comunismo" è diventato lo scudo delle politiche e dei regimi totalitari che, niente hanno a che fare con quell'idea rimasta in embrione e, forse, morta definitivamente con l'avvento delle società dei consumi: il vitello d'oro del benessere di massa quale alternativa al fallimento delle fedi di massa. Con la caduta del Muro di Berlino.......il capitalismo ha mostrato il suo vero volto: siamo tornati indietro, viviamo un moderno Medioevo, nella civiltà della tecnica, della moda, della tecnologia avanzata, eppure.......l'ultimo decennio ha visto acutizzarsi il senso dell'incertezza: le persone avvertono con sgomento il venir meno di importanti garanzie, devono pensare da sè al futuro, preoccuparsi delle proprie chance sul mercato del lavoro, della formazione dei figli e della sicurezza della vecchiaia. E sempre più spesso i cittadini si mobilitano contro tutto ciò che ai loro occhi appare come una minaccia destabilizzante, e, chiedendo protezione alle istituzioni, chiedono anche di fatto limitazioni alla libertà, tanta anelata nel corso del Novecento. Il Mondo ci fa paura!!!! Necessitiamo di una "rivoluzione "culturale", di un nuovo sistema e modo di vivere.

Dibattito interessante, alcuni spunti sono meritevoli di seri approfondimenti e mal si prestano ad interventi "veloci" sul forum. Solo una riflessione sul seguente passaggio di FR ".."il capitalismo selvaggio" (la shocck economy insomma), è venuto fuori da quando l'URSS si è dissolta.." Non mi pare proprio, per le seguenti ragioni: 1)Prima del crollo dell'URSS, nei domini comunisti esisteva un'economia da rapina dell'URSS a carico degli stati vassalli (il grano Ucraino, la mano d'opera - a buon mercato - della Polonia, le migrazioni interne forzate, le produzioni economiche imposte dall'URSS sugli stati vassalli). Situazione tipica di un capitalismo selvaggio (di tonalità rossa) 2) Il resto del mondo si divideva tra mondo capitalista (mondo occidentale) e Paesi cd “in via di sviluppo” – sostanzialmente non allineati, al cui interno erano collocati i due paesi più popolosi del mondo: Cina e India. Anche in questa parte del mondo era presente un Capitalismo NERO e selvaggio. 3)Il commercio internazionale era “governato" dal WCTO (al cui interno non erano presenti, né la URSS, né la Cina). 4)Non esisteva, nelle forme attuali la libera circolazione dei capitali, delle merci, delle Persone e, soprattutto delle “INFORMAZIONI”. 5)Con il crollo dell'impero Sovietico, quasi tutti i vincoli che impedivano la libera circolazione di TUTTO e di TUTTI, sin sono allentati. Quando gli steccati ed i recinti sono stati abbattuti TUTTO ha iniziato a circolare, in diversi casi, PURTROPPO, senza regole e tutela per le situazioni e le popolazioni più deboli. Il problema, caro FR, non mi pare che sia rappresentato dal Capitalismo in sé (la produzione della ricchezza) quanto dalla mancanza di regole e dall'assenza di forme e norme a tutela dei più deboli; in altre parole dalla mancata definizione della “finalizzazione della ricchezza prodotta”.

La globalizzazione, è bene ricordarlo, è una forma estrema di capitalismo che non ha più alcun contrappeso. La lotta di classe dunque scompare non tanto perchè i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori siano diventati pacifici, ma perchè i conflitti si sono spostati dai problemi interni della produzione alle strategie mondiali delle imprese transnazionali e delle reti finanziarie. Anche il mivimento ecologista si trova in una situazione analoga; difende la natura, la terra, attacca coloro che distruggono l'ambiente e propugna l'idea di uno sviluppo sostenibile, ovvero sostiene gli interessi di coloro che sono molto lontani, nello spazio o nel tempo, per far sentire la propria voce. Ma si scontra con la resistenza degli Stati e ha ottenuto risultati limitati. Quando si parla di globalizzazione, è necessario introdurre categorie generali, e quella di classe non lo è abbastanza. Peraltro è più frequente sentir parlare di umanità e di generazioni future o di nazioni povere piuttosto che di una categoria sociale definita. La novità è dovuta al fatto che a essere in competizione tra loro non sono più i paesi tra loro paragonabili, come avveniva quando la Gran Bretagna, la Germania, gli Stati Uniti o la Francia si facevano concorrenza e stringevano accordi economici e politici di apertura sui mercati, ma paesi ricchi più o meno socialdemocratici, e paesi in cui i salari sono più bassi e i sindacati inesistenti (e dove, all'ocorrenza, è disponibile un vasto bacino di lavoro forzato). E' un nuovo elemento con cui bisogna fare i conti. Gli interventi dello Stato non devono più servire a mantenere in vita imprese non competitive o a fornire garanzie a determinate categorie sociali per ragioni politiche e contrarie a ogni razionalità economica. La resistenza dei paesi europei di fronte a questa trasformazione è ancora notevole. Per i governi la difficoltà aumenta nel momento di elaborare interventi a sostegno degli individui che non riescono più a trovare un lavoro.








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