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Rapsodia Il racconto
15 gennaio 2004

Leggero e, per certi versi, divertente, questo racconto, benché si svolga in un cimitero, è tutt'altro che funereo. Spesso sappiamo di un legame indissolubile che unisce una coppia vissuta insieme per tantissimi anni. Un legame tanto forte che neanche la morte riesce a spezzare. (d.a.) Credetemi, è successo proprio così. Io ero in raccolto silenzio davanti alla tomba di mia madre. Triste, sì, ma certo non stravolto quando lui è arrivato. Vecchio, claudicante, con uno sguardo da cane bastonato, una seggiola e una custodia per strumenti sottobraccio. Mi indirizzò un sorriso mesto, come si fa tra compagni di sventura, e accennò un saluto. Subito portò la sua attenzione alla tomba a fianco di quella sulla quale stavo pregando. La fotografia ovale mostrava una donna anziana, dai capelli bianchi e dal viso minuto e dolce. Pareva che nella vita trascorsa non avesse fatto altro che sorridere. Il vecchio ormai non faceva più caso a me. Depose con cura la custodia sulla lastra di marmo bianco, poi sistemò la seggiola e con un sospiro di sollievo si sedette. “Sa”, spiegò quasi a volersi scusare, “non riesco a stare a lungo in piedi”. E davanti ai miei occhi sorpresi aprì la custodia e ne trasse fuori con la massima delicatezza un violino. Lo osservò attentamente, soffiò via alcuni invisibili granelli di polvere indi lo poggiò sulle spalle e afferrò l'archetto. Stava per iniziare a suonare quando si fermò. Per la seconda volta si girò verso di me che lo stavo osservando con gli occhi sgranati e, quasi fosse suo dovere: “Sa, per trent'anni a quest'ora ho suonato il violino alla mia cara Marta. A lei piaceva molto”. Poi tossì piano, si rigirò verso la foto della vecchia. E cominciò a suonare. Stranamente non un pezzo struggente o triste come chiunque si sarebbe aspettato, ma probabilmente una rapsodia, non saprei dirlo con certezza, io me ne intendo poco di musica. Era dolce e bello, molto bello. E lui lo eseguì con maestria. Fu quando finì che la mia mente fu sconvolta. Perché si udì un applauso. Lento ma chiaro. Mi guardai intorno. Eravamo assolutamente soli. Il vecchio aveva le mani occupate dal violino e dall'archetto. Allora incredulo sollevai le mie mani fissandole. Erano ferme, ben distanti l'una dall'altra. Eppure udivo distintamente l'applauso provenire da… Spalancai la bocca mentre un brivido gelido mi irrigidiva le membra. Non riuscivo neanche a respirare. Il vecchio si alzò, rimise con cura religiosa il violino nella custodia e ripiegò la seggiola. Aveva il volto raggiante. Con un leggero inchino verso la tomba disse: “Grazie, cara, grazie. Troppo buona”. Poi mi rivolse un breve cenno di saluto e, mentre l'applauso si spegneva, si allontanò com'era venuto. Zoppicando. Donato Altomare (I racconti di Donato Altomare si possono trovare presso la libreria Corto Maltese, via M. di Savoia, 106, Molfetta)
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