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Quelle giovani donne alla ricerca delle trasgressioni possibili
15 giugno 2018

Sono passati 50 anni dal movimento di contestazione giovanile che fu il Sessantotto europeo. Un’immagine in particolare risveglia i ricordi: la folla enorme, la moltitudine di studenti in marcia a Parigi nel “maggio francese” e il grido “ce n’est qu’un debut, continuons le combat”, quale eco di una rivolta che dilagò in mezzo mondo e che vide protagonisti tanti giovani. Così fu per molti di noi: se si apparteneva a quella generazione era impossibile sottrarsi, nel bene e nel male, all’impegno richiesto da ideali che si diffusero rapidamente, contrassegnando la storia personale e collettiva di uomini e donne pronti a cambiare il mondo. Avevo poco meno di sedici anni, ero una studentessa del Liceo classico di Molfetta, studiosa e ben educata, come si confaceva ad una figlia di genitori che erano stimati professori. Da loro avevo ricevuto un’educazione liberale ma anche un fortissimo senso del dovere e dello studio: li avrei delusi se avessi sottovalutato il valore della cultura e della scuola come luogo di formazione. Poi però arrivò il vento della contestazione e tutto cambiò: in poco tempo, tra gennaio e giugno del 1968, il Liceo classico e scientifico di Molfetta diventò il luogo della ribellione. Si cominciarono a contestare il nozionismo dei programmi, il sapere cattedratico dei professori severi e noiosi, il perbenismo borghese e i tanti divieti imposti dalla società classista e meritocratica condizionata dal consumismo e conformismo dilagante. Così si diceva e così cominciammo a contestare. Ricordo “La Sveglia”, il giornale scolastico che diventò il nostro strumento di attacco alle istituzioni. Non c’erano mezze misure: si contestava tutto e tutti. Ricordo le assemblee studentesche, all’inizio con pochi rappresentanti che si riunivano in biblioteca, poi sempre più partecipate. Una volta il professore di filosofia Giovanni de Gennaro ci disse che i nostri erano soviet e questa parola ci inorridì ma lui forse era tra i pochi professori ad aver intuito la portata storica della rivolta studentesca e gli effetti di lunga durata che si sarebbero avuti anche sulla politica. Aveva tutte le carte in regola per stare tra noi: colto, socialista, studioso di marxismo e di Gaetano Salvemini, ma era pur sempre il professore in cattedra e rappresentava formalmente l’istituzione da combattere. Noi ci sentivamo alternativi e invocavamo più modernità, più libertà, più immaginazione e meno nozionismo. Altro che classici e filosofi del passato, volevamo sapere di contemporaneità e ci aggrappavamo alle nuove ideologie marxiste, libertarie, al pensiero di Marcuse, Simone De Beavoir, inneggiavamo a Che Guevara e a Martin Luther King, alla pace contro la guerra, alla solidarietà sociale, esaltavamo la classe operaia, il diritto di tutti allo studio… Io aderii al Comitato antifascista e antimperialista che, quale movimento studentesco di massa, a Bari era molto attivo e sosteneva il senso della lotta collettiva contro ogni possibile rigurgito fascista. Avevo anche tanti amici anarchici, altri vicini a quella che sarebbe stata la formazione politica del Manifesto e poi anche di Lotta Continua. Ma ora mi rendo conto di quanto fosse difficile capire e districarsi tra le diverse idee e i tanti movimenti. C’erano molte differenze e contrasti interni. Le aggregazioni erano spesso spontanee e non sempre consapevoli. Ci si lasciava coinvolgere. Avevamo abbracciato il bisogno di impegnarci per cambiare il mondo, ma ‘come fare’ era una domanda per la quale c’erano tante risposte. Avevo appena 16 anni. Ero una donna e già poter essere così attiva ed impegnata era una vittoria. Per le ragazze adolescenti di quegli anni i divieti erano rigidissimi: non si poteva uscire da sole, bisognava rientrare a casa presto e figurarsi se era permesso partecipare alle riunioni notturne! Era impensabile o disdicevole persino isolarsi o andare in macchina da sole con i ragazzi dell’altro sesso, pena una condanna morale a vita! Molte studiavano, ma il progetto di vita era pur sempre un buon matrimonio e un buon partito. A fronte di questo la trasgressione era inevitabile, diventava esaltante e razionalmente motivata ogni forma di ribellione e questo ci autorizzava a stare dalla parte della contestazione globale. Fu necessario fare autocoscienza tra donne per emanciparsi e avviare il ruolo attivo che le donne rivendicavano. Fu necessaria una presa di coscienza collettiva e personale per approdare negli anni successivi ai collettivi femministi e alla lotta di liberazione dai freni della società patriarcale e maschilista, che peraltro ancora oggi è dura da smantellare. Tra i ricordi più vivi ci sono soprattutto la rinuncia alle feste troppo borghesi, agli sport d’elite e ai vestiti troppo costosi, ci si abituò ai jeans e ai parka diventati poi un cult e un nuovo trend della moda consumistica. Ma a questo non riuscivamo ad opporci, il vestirsi e l’apparire omologati ci faceva sentire più forti e più coalizzati. Ricordo la partecipazione ad una manifestazione studentesca organizzata a Bari dagli universitari che avevano occupato la Facoltà di Lettere, eravamo presenti anche noi, studenti medi della provincia, come militanti antifascisti. Ci fu la carica della polizia forse perché la manifestazione non aveva l’autorizzazione in regola. Fummo costretti a scappare nei portoni e i passanti ci protessero, ma fu un momento di impotenza di fronte all’assurdità di quanto stava accadendo e forse il primo segno di quello che poi sarebbero stati gli anni degli attentati e degli episodi di terrorismo. Ma non lo sapevamo ed eravamo più che mai convinti di dover agire contro il sistema costituito. Alla fine anche nel nostro Liceo a Molfetta ci fu l’occupazione con i presidi notturni e fuori dal cancello i professori e i genitori che non capivano cosa facessimo e poi molti intellettuali di sinistra e anche di destra che impartivano direttive più o meno ascoltate. Molti amori sbocciarono e tante amicizie si fortificarono. Avevamo un progetto di vita in cui credere e per cui lottare e ne valeva la pena. Fu un momento totalizzante che ci attrasse in un vortice di attivismo ed aspettative e, anche se non tutto ci era chiaro, eravamo convinti che le istanze fossero giuste e che era una battaglia che non bisognava perdere. Oggi a cinquant’anni di distanza l’orizzonte di quelle istanze è lontanissimo, ma da quello che è stato il Sessantotto non si è potuto, ne si potrà mai più prescindere. E se i revisionismi e le critiche non possono annullare quello che è stato, la rimozione invece sì. L’invito di “Quindici” mi ha sfidata a riprendere lievi e offuscati ricordi di quei tempi e questo ri-pensare può valere un po’ di più della comodità dell’oblio. © Riproduzione riservata

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