Recupero Password
Quella volta che Monicelli disse a Quindici: non ho più forza, non ho più niente da dire
15 dicembre 2010

Lo avevamo incontrato due anni fa, a Bari, per un festival del cinema per ragazzi. Era arrivato infreddolito, chiuso in un cappotto fuori moda e con una coppola forse troppo grande per la sua testa. Ci aveva raccontato della vecchiaia, dei progetti che non c’erano, di quell’unico film che aveva girato in Puglia, La ragazza con la pistola, a Polignano a Mare. Un altro successo. Perché Mario Monicelli era così, coniugava lo straordinario successo dei suoi film all’alto valore culturale, sociale, comunicativo e narrativo di un’ Italia che, come lui, non l’ha raccontata nessuno. E aveva inventato un genere, per farlo. Un genere che, dietro il cinismo, non aveva mai smesso di coccolare, in ogni pellicola. Quella maniera di raccontare l’Italia appassionandosi ai suoi vizi, alle sue inguaribili debolezze, ma che rivelavano tutta la forza di un popolo che oggi sembra persa. Oggi, che Monicelli ha scelto di andarsene così, come era da lui, quasi facendo un’ultima supercazzola alla morte prima che venisse a prenderlo, Quindici ripropone le parole che il cineasta viareggino disse in quell’occasione, resa così speciale per chi le raccolse. Aveva ancora il desiderio che il cinema italiano tornasse a dire la verità sulla Nazione: “speriamo che questo festival che comincia adesso dia una ventata di novità al cinema italiano, che credo ne abbia bisogno, perché non racconta l’Italia com’è, quella autentica. Racconta delle storielle che lasciano il tempo che trovano. Alcuni autori sono un po’ più attenti, ma in generale non è così. Speriamo che questo festival dia un buon inizio”. Nel cinema del presente non vedeva eredi. “Gli eredi non ci sono mai da nessuna parte, ognuno fa quello che vuole, per conto suo. E’ presunzione pensare di avere degli eredi, nessuno ha eredi, nasce per conto suo”. L’autore di capolavori come Amici miei, I soliti ignoti, La grande guerra, l’Armata Brancaleone, e molti, molti, molti altri, aveva parlato anche della Puglia: “ho girato tutta la Puglia, è un set ancora molto vario, pieno di luci, di colori, di vari paesaggi, cose di ogni genere. In fondo la Puglia è abbastanza presente nel cinema”. In quei giorni riapriva il teatro Petruzzelli, e Monicelli lo descrisse come “un grande avvenimento, e anche se non vi ho mai lavorato, l’ho visto quando era in piedi…Ho una certa età”. Il regista toscano era a Bari per il Mediterrante, festival itinerante del cinema e dei linguaggi per i ragazzi: per la rassegna lui, l’autore che più di tutti è riuscito, gelosamente, a conservare il bambino interiore, la voglia di non crescere e non prendersi mai sul serio, con quella filosofia di vita sognata ma impossibile, raccontata in Amici Miei, non era un testimonial qualsiasi. Gli chiedemmo quale fosse il suo rapporto con l’infanzia. “Ho fatto un film, L’ armata Brancaleone, che è un film per ragazzi. Poi non so quanto ho fatto sopravvivere il ragazzo che sono: certo, i ragazzi sono quelli che bisogna spingere perché facciano cose che parlino soltanto di divertimento, che raccontino le cose. Il cinema per ragazzi è difficile, se ne fa pochissimo, infatti”. E poi, si parlò del suo, di cinema. Era di due anni prima il suo ultimo lavoro, Le rose del deserto. Una volta disse che non aveva paura di morire, quanto di non lavorare più. Quella volta ci disse parole che, rilette oggi, assumono tanta importante: “no, adesso non ho paura neppure di non lavorare più, perché non lavoro più da due anni, e sto bene. Non faccio più film, non lavoro più ma è una scelta, perché non me la sento, non ho più forza. E poi, insomma, ho detto tutto quello che avevo da dire, non c’è ragione di ripetersi”. Dopo, ci fu un momento che poco aveva a che fare con i ruolo di cronista, e molto con quello dell’ammiratore, che davvero non riusciva ad essere trattenuto all’interno, non quella volta. Monicelli autografò una foto di scena, quella degli schiaffi alla stazione di Firenze, di Tognazzi, Noiret e soci. Tra le più belle mai viste, dicemmo. Rispose, con una faccia che è ancora difficile decifrare quanto inducesse alla reale meraviglia e quanto al narcisismo: “ma come, tu non eri neanche nato…”. Magari Mario Monicelli realmente non ha capito cosa rappresentava anche per le nuove generazioni, per chi si accosta al cinema e alla vita vera, ad un Paese che sente sempre meno suo, e vedeva, fotogramma dopo fotogramma, uno spirito, una maniera di interpretare la vita, inimitabili ma così desiderati. Tentare adesso di spiegare cosa è stato per noi Monicelli, nella sfera più intima, anno dopo anno, ad ogni età in maniera diversa, sarebbe inutile, perché troppo banale, lungo e noioso. Come il suo cinema non è stato mai.

Autore: Vincenzo Azzollini
Nominativo
Email
Messaggio
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2025
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet