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Quella legalità dimenticata È inammissibile la tolleranza totale, come accade ora. Una società cresce e si sviluppa coltivando il rispetto delle regole
15 luglio 2008

Rispetto della legalità, è questo, tra gli altri, uno dei problemi più importanti e irrisolti della nostra Italia e in particolare della nostra città. Forse perché sottovalutato o, peggio, rimosso da chi dovrebbe garantirlo. E il mancato rispetto della legalità si manifesta nel mancato rispetto delle regole da quelle della circolazione stradale all'abusivismo commerciale (negli ultimi tempi sono sorte bancarelle di frutta in ogni angolo, senza rispetto di regole igienico-sanitarie: dove sono i Nas tanto rigorosi nei controlli dei negozi provvisti di regolare licenza?), fino ad arrivare all'evasione fiscale, che trova la sua legittimazione nel cattivo esempio che è arrivato negli ultimi anni da chi si è posto ai vertici dello Stato, ma ha considerato l'evasione quasi una necessità, se non un dovere. Il rispetto delle regole e la cultura della legalità sono il modo migliore per risolvere relazioni e conflitti sociali. La legalità è un fondamento dello Stato di diritto in cui sono le leggi non la forza a regolare ogni cosa. Ma i cattivi esempi contribuiscono a far sì che il diritto stenti ad entrare nella vita dei cittadini e l'assenza di una cultura giuridica ha ridotto la legalità a mero concetto filosofico portando la regressione dei rapporti sociali alla dimensione pregiuridica dei rapporti di forza. Questo è avvenuto anche perché pretendere il rispetto della legalità significa prendersela con i «forti» e i ricchi, allora si è preferito lasciar perdere e colpire vigliaccamente i più deboli. Si ha l'impressione, a volte, di regredire verso le società di tipo settecentesco in quelle monarchie assolutistico- feudali, dove i nobili, i ricchi e i mafiosi dell'epoca, non solo non pagavano tasse, ma si chiudeva spesso un occhio sulle loro attività illegali, mentre il povero, alla minima infrazione, veniva duramente punito. In realtà il concetto andrebbe invertito: tanto maggiore è la posizione sociale di un soggetto, tanto maggiore è la sua responsabilità rispetto agli obblighi sociali e all'osservanza di quelle regole di convivenza, freno all'indisciplina, al disordine, all'anarchia. Per comprendere come il rispetto delle regole sia fondamentale nel funzionamento di una società o di una comunità è sufficiente l'esempio di un incrocio stradale. Le regole di precedenza, nella loro semplicità, esprimono bene il concetto: se tutti tentassero di passare per primi, non passerebbe nessuno e vi sarebbero scontri frequenti, solo il rispetto della regola sulla precedenza permette ad ognuno di transitare senza rischi. La base della regola risiede nell'affidamento reciproco del suo rispetto da parte di tutti. Questa norma elementare si è perduta perché non viene data più importanza a una cultura ampia e condivisa di rispetto delle regole, senza delle quali scompare la base stessa della convivenza civile; la giustizia non può funzionare se non esiste l'intimo convincimento che essa debba funzionare. Lo stesso fondamento della Costituzione risiede nel principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e nella tutela dei diritti fondamentali, valori che vengono meno quando non esiste la cultura della legalità. Dunque alle leggi non si obbedisce, esse vanno osservate. «La differenza tra obbedienza e osservanza – ha sostenuto un illustre giurista - si esprime nella distinzione tra passivo atteggiamento di soggezione al comando imposto dalle leggi e condivisione del valore espresso dalla regola che la legge esprime con il proprio comando imperativo. L'idea oggi imperante che le regole si possono piegare alle esigenze del momento (il che vuol dire alle esigenze di chi abbia la forza economica, politica e mediatica di piegarle a proprio tornaconto) rappresenta la negazione del diritto e della legalità e la regressione delle relazioni sociali alle condizioni pregiuridiche della guerra». Oggi il rispetto della legge sembra essere assente dalla coscienza del cittadino sia nei suoi rapporti con la Pubblica amministrazione, sia nei suoi rapporti interpersonali. Insomma, si avverte un cambiamento del «clima sociale» e gli esempi non mancano. Quando si tollera che sul lungomare si possa bivaccare e gettare i rifiuti in mare, si arriva poi al disprezzo delle regole di pulizia, fino al punto da gettare in mare anche i cassonetti simbolo della raccolta dei rifiuti. E nessuno fa nulla. Stesso discorso della presenza di macchine in doppi, tripla fila con l'impianto stereo a tutto volume che impediscono la circolazione e assordano passanti e residenti. Quindici conduce da anni questa battaglia, ma la risposta è sempre la stessa: i vigili sono pochi e vengono anche minacciati, non si può mettere a rischio la loro incolumità. Ma questo significa rinunciare all'esercizio dell'autorità: allora si rinunci anche a ricoprire incarichi pubblici, se non si è in grado di far rispettare la legge. Stesso discorso vale per le bancarelle alimentari più o meno abusive che spuntano come funghi, di cui abbiamo già parlato. Nessuno chiede la «tolleranza zero» verso chi non rispetta le regole, ma è inammissibile la tolleranza totale, come accade ora, sia da parte degli amministratori, sia da parte delle forze dell'ordine, che pure si sforzano di fare quello che possono. Esiste un problema di sicurezza? Ebbene, si rafforzino gli organici. Non si possono sottovalutare la microcriminalità e il bullismo, che sono anticamera della grande criminalità e soprattutto sono fenomeni che danneggiano la qualità della vita civile di una comunità, che è stanca di subire soprusi, che deve accettare in silenzio, in mancanza di chi possa tutelarne i diritti. Questo sul fronte sociale. Sul fronte politico assistiamo a un'amministrazione messa su con molta difficoltà. Il sindaco Antonio Azzollini si è dovuto barcamenare tra appetiti e voglie di potere per poter acquietare una coalizione rissosa che ha ritardato la formazione della giunta, fino al punto di nominare gli assessori (garantendo loro uno stipendio) ma senza deleghe. Una cosa assurda! E poi, abbiamo assistito ai «capricci» di chi non voleva l'assessorato, ma la presidenza dell'Asm, dove aveva dato cattiva prova in passato. E il sindaco ha ceduto anche a questi. Non sono segnali positivi nell'ottica del rispetto della legalità e delle regole, di cui parlavamo prima. Ma anche la minoranza oggi si ritrova nella scomoda posizione di chi ha subìto le accuse di sconfitta elettorale per la presenza di gruppi eterogenei e provenienti dal centrodestra e poi, al momento di eleggere i rappresentati della minoranza al vertice del consiglio comunale, subisce anch'essa la pressione di chi pretende una nomina. Il Partito Democratico è ancora in una fase organizzativa a Molfetta, ma deve chiarire le sue posizioni, senza lasciare nell'ambiguità il rapporto con l'Udc. I dissensi nei corridoi non servono, occorre chiarezza nei rapporti fra partiti e consiglieri comunali, senza fantasmi o scheletri nell'armadio. Solo così potrà sperare in un recupero di consensi e avviare una nuova prospettiva politica, anche col centro, ma in modo chiaro e trasparente.
Autore: Felice de Sanctis
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