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Quando il potere osanna il profeta lo annulla
15 aprile 2018

Vediamo qualche sequenza. 20 giugno 2017. Papa Francesco è stato pellegrino a Bozzolo e a Barbiana, sulle orme di due parroci, don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, “che hanno lasciato una traccia luminosa, per quanto «scomoda», nel loro servizio al Signore e al popolo di Dio… Credo che la personalità sacerdotale di don Primo sia non una singolare eccezione, ma uno splendido frutto delle vostre comunità, sebbene non sia stato sempre compreso e apprezzato… A voi e ai Vescovi dico: siate orgogliosi di aver generato “preti così”, e non stancatevi di diventare anche voi “preti e cristiani così”, anche se ciò chiede di lottare con sé stessi, chiamando per nome le tentazioni che ci insidiano, lasciandoci guarire dalla tenerezza di Dio. Se doveste riconoscere di non aver raccolto la lezione di don Mazzolari, vi invito oggi a farne tesoro. Il Signore, che ha sempre suscitato nella santa madre Chiesa pastori e profeti secondo il suo cuore, ci aiuti oggi a non ignorarli ancora. Perché essi hanno visto lontano, e seguirli ci avrebbe risparmiato sofferenze e umiliazioni”. Sulla tomba di don Milani il Papa ha affermato: “non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo Vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco –, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa”. 10 maggio 2018. Il Papa si recherà a Nomaldelfia, nella diocesi di Grosseto, dove incontrerà la Comunità fondata da don Zeno Saltini. Questo sacerdote, inquieto e tenace, nel 1948 istituì una cittadella popolata da oltre 600 minori provenienti da brefotrofi e orfanatrofi. È tuttora incardinata sul principio della “fraternità”. Infatti, non esistono né proprietà privata dei beni, né retribuzione del lavoro. In tal modo realizza «una via più rapida e più solida per arrivare a una civiltà veramente umana e divinamente cristiana”. 20 aprile 2018. Papa Francesco viene a Molfetta. Se capita qui è perché anche don Tonino non sempre è stato compreso. Ci sono prove che, sia in vita che in questi venticinque anni, il vescovo è stato talvolta “snobbato”, anche nella sua chiesa. Il papa forse viene a pregarci di non continuare a farlo. Viene pure a chiederci di rivitalizzare le tensioni e le strutture da lui volute, ora svuotate per asfissia di inquietudine per la città, gli ultimi, la violenza delle relazioni. Ci viene ad indicare che la santità di don Tonino è stata la sua quotidiana occupazione per il malessere della città e darle gioia. Per i molfettesi è difficile immaginarlo con l’aureola. Per noi è stato talmente compagno di strada che ogni azione a renderlo sovrastante e distante ci offenderebbe e lo snaturerebbe. Ci riesce anche difficile capire un processo di beatificazione che sembra in ritardo rispetto a quello che la gente ha già decretato. Ma Francesco ci rasserena: lo spirito del popolo corre più veloce della congregazione dei santi e costruisce il futuro grazie a quella quotidiana cura, non mediante santini. Francesco viene a Molfetta come a casa sua, dove risente la scomodità che non sfianca neanche lui. Dove usa quasi le stesse parole e i medesimi gesti del nostro vescovo. Dove trova che qualcosa è stata dimenticata, ma non tutto è andato perso, perché moltissimi lo pregano come testimone che Dio esiste. E glielo dice non il potere, che ora sembra inchinarsi, ma questa gente che freme di toccare la sua veste bianca. Francesco, con questa coerenza e coesione con don Tonino, don Primo, don Lorenzo e don Zeno, all’insegna del Vangelo e solo di esso, rinfranca il popolo e ne rivitalizza la memoria. Quello di Molfetta gli restituirà certamente ciò che conserva in segreto e rivede in lui: la carezza di un vescovo entrato nella sua bottega, nella stanza dell’ospedale, nella casa di accoglienza senza delega a nessuno, nella fabbrica minacciata di chiusura, tra le nuove generazioni che imparano a coltivare i «sogni che si avverano », nei laboratori dove si ricerca la nonviolenza, per le strade bombardate dalla guerra e dalla economia di sopraffazione. Ora il Pontefice torna sul porto delle partenze a riproporre gli orizzonti di liberazione del mondo e della chiesa a lui carissimi e già sentiti da don Tonino. Viene a constatare che il suo popolo non ha timore di ascoltare quello che lui ha detto il 28 marzo scorso: “per me è un onore essere chiamato rivoluzionario”. Pure don Tonino aveva iniziato il suo progetto pastorale così: “C’è da augurarsi che nessuno ritenga «innocue» queste tracce: è qui che si dovrà scatenare l’urto del rinnovamento”. A Francesco sta a cuore che il profeta non venga annullato e che la profezia di don Tonino non diventi narrazione retorica, convenzionale, sterilizzata in segni del potere, cerimoniali, orgoglio campanilistico, monumenti d’occasione. © Riproduzione riservata

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