Quando i migranti eravamo noi: mai più stragi
Chi tra noi non si è indignato di fronte all’ultima strage di migranti? Chi non ha espresso solidarietà a per la perdita di quasi 400 vite? Chi non avrebbe impiegato il proprio tempo per cercare di strappare una vita, anche una sola, alla morte? Chiunque, sull’onda dell’emozione avrebbe dato il proprio contributo. Eppure è passato un mese dalla strage di Lampedusa, solo uno e l’ennesima ma non ultima strage, quella col maggior numero di morti accertati non appare più nelle notizie dei Tg, sulla carta stampata e sui media. Ma quante sono le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo alla ricerca di un futuro migliore o semplicemente di sfuggire alla morte per fame o guerre? E’ stato stimato che dalla fine degli anni Ottanta ad oggi sono circa ventimila le persone perite nel Mediterraneo. Non è sufficiente indignarsi, occorre rimboccarsi le maniche ed essere cittadini attivi e propositivi, non è più ammissibile nascondersi dietro un dito o affermare “ma io, da solo,non posso fare nulla; tanto decidono sempre tutto loro”. Per questo la cittadini attivi di Molfetta si sono riuniti attorno ad un folto gruppo di associazioni (A.D.I.S.C.O., A.G.E.S.C.I., A.P.S.-Passi da Ciclope, Azione Cattolica, Casa dei Popoli , C.N.G.E.I., Comitando-La strada della partecipazione continua, Libera, Masci, T.E.S.L.A.) partecipando numerosi alla manifestazione “Mai più stragi” il giorno 7 novembre scorso alla Fabbrica di San Domenico dove è stato proiettato il film documentario “Mare chiuso”. Il film di Andrea Segre e Stefano Liberi racconta i respingimenti in acque internazionali dei barconi sovraccarichi di esseri umani verso la Libia, effettuati dalla Marina Militare Italiana a seguito del trattato di amicizia e cooperazione Italia–Libia firmato dal presidente del Consiglio dell’epoca Silvio Berlusconi e da Gheddafi e ratificato a Roma nel 2009. La pellicola è un j’accuse nei confronti di un Paese civile che consegnava, in ottemperanza al trattato, profughi nelle mani della Marina libica, destinati ad essere rinchiusi nelle prigioni ove venivano torturati. Questa prassi è terminata nel 2011, allo scoppio della guerra in Libia, quando tutti i Paesi, compresa l’Italia, hanno preso le distanze dalla Libia, con la quale avevano intrattenuto rapporti commerciali e di cooperazione. Gli esuli imprigionati sono riusciti ad evadere. Alcuni hanno raggiunto i campi profughi dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) in Tunisia, in attesa del riconoscimento di status di rifugiato politico, altri hanno voluto tentare nuovamente la via del mare per raggiungere clandestinamente l’Italia. Su un barcone viaggiavano in 72 tra uomini, donne e bambini. Solo nove sono riusciti a raggiungere il nostro Paese, alcuni dei quali hanno presentato ricorso contro i respingimenti in Libia effettuati dall’Italia alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo. La Corte ha condannato l’Italia ad un risarcimento del danno morale subito da ciascun ricorrente. Un film che lascia storditi per il dolore inutile sopportato da coloro che lo hanno subito, al termine della proiezione i rappresentanti delle associazioni organizzatrici col Sindaco Paola Natalicchio, Ibrahim Abbas di ETNIE e Karim Boudhair immigrato tunisino in rappresentanza della folta comunità straniera presente nel territorio, hanno dato vita ad un dibattito teso alla revisione della legge Bossi-Fini. Le associazioni intendono sensibilizzare iniziative pro-abrogazione dalla legge Bossi-Fini del reato di clandestinità, costituzione di corridoi umanitari per eliminare il traffico di essere umani, implementazione del diritto di asilo europeo, concessione della cittadinanza ai figli, nati in Italia, dei migranti, sostegno alle associazioni che, nel sud del mondo, si attivano affinché vengano eliminate le cause di povertà o guerre che causano il flusso delle migrazioni clandestine. Non è retorica ricordare che il nostro recente passato ha visto gli italiani, uomini e donne, lasciare il proprio paese per migrare, per andare alla Merica in cerca di fortuna, molto spesso trovandola. Il boom economico ha fatto sì che la povertà patita durante la guerra e nel dopoguerra, fosse dimenticata, ma un benessere apparente seguito da questo lungo e non concluso periodo di crisi economica, ha fatto sorgere, in molti, diffidenza nei confronti di cittadini extracomunitari rei, a parere dei suddetti, di rubare lavoro agli italiani, senza soffermarsi sulla condizione di esiliati. Il sindaco di New York Bill De Blasio, fresco di elezione, nel suo primo discorso, non ha dimenticato di ringraziare i cittadini del paese di origine dei suoi nonni Sant’Agata de’ Goti (Benevento), poi, in conclusione ha abbracciato la moglie afro-americana ed i loro figli. Un esempio da seguire, un monito verso coloro che guardano con distacco e diffidenza l’immigrato e la sua mercanzia, salvo poi servirsene approfittando del suo stato di bisogno. Ed un augurio che è anche speranza: che quello stesso immigrato un giorno diventi il sindaco di una metropoli e dopo la sua elezione ringrazi Molfetta per l’accoglienza e le opportunità offerte.