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Quando i magi furono a Molfetta
15 gennaio 2022

Il cielo era terso. I Magi avevano appena consegnato i loro doni. Era rimasta nell’aria sospesa una stella luminosissima. I fenomeni celesti quella notte s’aggrumarono tutti nel firmamento. Una rapsodìa assordante. Così fu quella notte, credetemi! Stelle sospese, code di meteore, “lavandaie” celesti ovvero effetti di fate morgane ovunque, brillìo delle lucciole, arcobaleni notturni ed eclissi mai viste prima e tanto, tanto altro perché un uomo come me possa tenerle a mente. Frastornati il piccolo Re Melchior (di persiana provenienza), il Re degli Indi Gaspar e il Re di colore Etiope Balthasar, raccolta una manciata di paglia di quella divina mangiatoia, posatala nelle loro bisacce, si guardarono paghi della loro missione, salutarono il Bambino, nuovo Re della Terra, e si allontanarono coi loro cammelli ristorati. Nelle missioni divine l’arbitrio dell’uomo è assai ridotto, si ha l’illusione di una piena consapevolezza delle proprie azioni onde poi scoprire che quasi sempre si perde la memoria delle cose e delle cause dei fenomeni. I tre Re, da quel giorno chiamati romanticamente Magi nel viaggio di ritorno si chiesero più volte perché avessero deciso di portare Oro, Incenso e Mirra. Purtroppo in cuor loro conoscevano il significato simbolico di quegli alchemici elementi. Il viaggio di ritorno fu assai più faticoso di quello dell’andata. Col fuoco del sole accecante non vi furono stelle ad indicare la via. La stanchezza, l’arsura dei deserti, l’indecifrabilità del cielo li aveva fatti smarrire. «Mi chiedo cosa accadrà adesso! – s’interrogò Melchior –; nulla sarà come prima» gli rispose lesto Balthasar, «vero Gaspar?» rintuzzò il Re dalla pelle d’ebano: «il Pastore è giunto per guidare nella Luce gli armenti» laconicamente aggiunse quest’ultimo. Quando i cammelli non ne ebbero più furono lasciati al loro destino in una notte stellata d’Oriente. Per ringraziarli della loro sacra avventura i tre si fermarono e dettero loro una manciata di quella paglia Divina presa in prestito dalla mangiatoia del Bambinello. Quei santi quadrupedi si addormentarono, non si sa bene se sia stato un sogno comune o realtà c’è però chi giura di averli visti volare quella notte stessa, come aironi lucenti. Dormire in un deserto è cosa da pochi. Il vento notturno depose coperte di sabbia sui quei Re. La stanchezza era così forte che nemmeno il vento freddo poté svegliarli. Dormirono tre notti e tre giorni. All’alba del quarto giorno ecco giungere una mandria di cavalli già bardati, (chissà da chi e poi in un deserto!). I Magi capirono. Dio non li aveva abbandonati. Anzi, aveva disposto per loro una Santa Missione. Portare il Verbo e la Bellezza in Terre Nuove, inusitate. Furono in Libano poi in Siria, a cavallo sui loro destrieri chiamati con tre nomi ebraici ‘ÈMET (fedele), ‘AMAN (sicuro), BERÎT (patto). Senza fatica furono in breve a Bisanzio dunque nelle terre Macedoni sino poi ad imbarcarsi in un’arca di piccole dimensioni e per questo più veloce dove però s’imbatterono in un ‘orda di malvagi predoni. Ne scaturirono colluttazioni e ferimenti. I magi furono letteralmente spogliati dei loro tesori riamasti, delle loro vesti di broccato, dei loro luccicanti bracciali ed orecchini d’oro e rame. Capirono quanto si possa diventare ricchi quando ci si spoglia dei metalli. Il cuore è lo zaffiro più pregiato! Dovettero vestirsi indossando sacchi di juta che si mangiavano la pelle come morsi di ragni. Si lasciarono così il mare Mediterraneo ad est e sui loro cavalli proseguirono feriti sulle coste nostrane. Gli fu detto a Brindisi che a poche centinaia di chilometri c’era un accampamento chiamato Cala de’ moribondi nella città detta: “fatta di miele”. Lì si rifugiarono. Ci arrivarono quasi esanimi. Le ferite inferte dalle scimitarre furono terribili. Quando arrivarono i pochi abitanti mielfacti li accolsero con misericordia e felicità tanto erano aperti all’ospitalità. C’era un palmento, (posizionato dove ora campeggia tronfia la Basilica della Madonna dei Martiri), dove Melchior, Gaspar e Balthasar furono medicati. Immersero le loro gambe ferite, le loro braccia, i loro piedi nell’acqua marina, acqua portentosa e sale medicamentoso. Ne ebbero ristoro. I tre Re notarono che ovunque si poggiasse il loro sguardo c’erano gli ulivi. Molto somiglianti a quelli che avevano decantato nella terra di Gerusalemme. Fu qui che Gaspar ricevette una visione: il Bimbo Divino, diventato adulto, pregava nell’orto del Getsemani. In quello stesso istante anche Melchior si sentì girare la testa e sullo specchio d’acqua del palmento vide issarsi una Croce con un messaggio beffeggiante diretto al Re dei Giudei; Balthasar invece giurò d’aver visto gli ulivi grondare sangue avendo nei tronchi dodici grandi chiodi confitti. Capirono tutto. Sì, in quell’istante capirono tutto! L’oro che Gli avevano donato alludeva alla corona di un Re. Quel bimbo era pre-destinato al martirio. L’incenso invece era il simbolo di un sacrificio, di una trasmigrazione dell’anima e la mirra, resina che gli antichi Egizi usavano per imbalsamare era il simbolo dell’umana mortalità e della possibilità di eternizzare il Verbo. * * * Guariti nella Terra fatta di Miele. I tre re magi partirono. Non prima però d’aver lasciato sui giacigli sui quali avevano patito gli infami dolori la pagliuzza della Divina mangiatoia. «Qui in futuro si darà ristoro ai Mariti del mare» disse Balthasar, «Amen!» risposero Gaspar e Melchior, convinti anche loro che in quella Terra, la nostra, così simile a Gerusalemme e all’orto degli Ulivi sarebbero arrivati di lì a poco tanti Pellegrini, Santi, Poeti, Araldi del mattino e Testimoni di Pace. F.T. dedicato a don Tonino Bello

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