MOLFETTA - È sempre più caotica e magmatica la situazione della politica locale. Il centrodestra ha perso pezzi pregiati questa estate (in particolare, le dimissioni del vicesindaco e assessore all’Urbanistica Pietro Uva con tutto il suo gruppo consiliare, Molfetta in Azione), ma ha riacquistato Carmela Minuto, pur continuando a navigare tra vari balbettii politici.
Peggiore la situazione nel centrosinistra, con Rifondazione Comunista decisa a camminare da sola e gli altri partiti (Pd, Udc, Sel) «in cerca d’autore»: secondo indiscrezioni, il prossimo candidato sindaco si starebbe plasmando sui tavoli di concertazione, tra proposte e “convitati di pietra”. Fino a qualche mese fa si pontificava sulle primarie (l’Udc era uscito persino con un manifesto), ma a quanto pare le scelte di alcuni partiti sarebbero altre.
Su questa confusionaria situazione, un cittadino di Molfetta ha voluto esprimere il suo parere (riportato di seguito) su alcune questioni politiche locali: dall’assenza di una classe dirigente adeguata per la gestione comunale all’accattonaggio del voto, dal concetto di “politica” e alle sue forme degenerative e clientelari.
Si stanno avvicinando le elezioni, ma l’aria che si respira è sempre la stessa. Molti fanno politica esternando proposte anche durante i Consigli comunali, senza collegare, in alcuni casi, la bocca al cervello. Alcuni scrivono di fatti ed argomenti senza sapere niente dei primi e in molti casi senza conoscere e/o approfondire i secondi. Altri ancora, utilizzando soprattutto negli ultimi tempi “la rete”, lanciano anatemi, inviti al cambiamento con particolare attenzione alle nuove generazioni.
Al momento opportuno (elezioni), però, preferiscono rimanere comodamente a casa, invece di votare, sempre che non sia preferibile andare al mare o in campagna quando la giornata è bella. In molti casi, si corre al seggio per dare la preferenza al parente o all’amico o, peggio ancora, a chi fa l’ultima promessa o “favore” (il più delle volte scambiamo per favore quello che in una comunità normale è un nostro diritto).
L’unico risultato certo sinora ottenuto (e di questo ovviamente siamo tutti responsabili) è un evidente deficit di classe dirigente, con i più disinvolti che continuano imperterriti nelle loro malefatte. Per salvarci almeno l’anima e sottrarci alle nostre responsabilità diciamo che “la Politica è sporca”, dimenticando volutamente ciò che amava dire un vecchio saggio: “tutti devono mettere le mani sulla Repubblica per evitare che le mani le mettano quelli che le hanno troppo lunghe”.
La Politica è analisi corretta e razionale di situazioni reali con individuazione di possibili soluzioni che tendono a soddisfare l’interesse generale (il bene comune), anche mediando tra interessi legittimi contrapposti nella rigorosa osservanza delle leggi vigenti (condivisibili o meno). Per questo Einaudi ripeteva: “conoscere per deliberare”.Il dramma è che nella nostra città alcuni pretendono di deliberare “senza sapere di che cosa stanno parlando”, ma alle elezioni riescono ad ottenere centinaia e centinaia di preferenze.
Questo è il vero vulnus. Al contrario fare politica significa studio ed impegno costante. La democrazia (governo del popolo) si realizza compiutamente quando ogni cittadino, per un periodo della propria vita, si pone al servizio degli altri, mettendo a disposizione di tutti le proprie conoscenze, le proprie esperienze ed i propri saperi. È in sintesi il concetto di responsabilità. “Non chiederti mai cosa può fare per te la Repubblica, ma chiediti sempre cosa puoi fare tu per la Repubblica”.
Quando questo dovere di responsabilità collettiva si affievolisce o viene a mancare del tutto diamo spazio a tutte le forme degenerative della politica, di cui tutti siamo responsabili. Un’immediata e attuale conseguenza di questo generale disinteresse verso Res Publica è che i partiti o meglio i gruppi di potere che albergano nei partiti pretendono di decidere per tutti, per cui sentiamo o leggiamo che la massima democrazia si raggiunge con l’apertura dei “tavoli” dove i capi bastone o loro delegati discutono dei profili del candidato sindaco (come se si trattasse di una sflilata di moda) che preliminarmente deve avere il gradimento del capo e del suo ristretto gruppo di potere in quanto quest’ultimo deve esclusivamente autoconservarsi.
Siamo, quindi, costretti ad assistere alla folle corsa dei vari pretendenti che fanno a gara per dimostrare chi è il più fedele al capo pur di ottenere la agognata designazione che poi sarà ratificata dal “tavolo”. Forse le primarie sarebbero il modo più opportuno oggi per scegliere il candidato, anche se potrebbe restare un sogno per i cittadini».
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