Dopo il licenziamento di Mussolini e il proclama di Badoglio del 25 luglio 1943 col bluff «La guerra continua », al quale non credevano né Mussolini né Hitler, il 27 luglio l’alto comando germanico, dubitando della fedeltà dei malfermi alleati italiani, modificò l’Operazione Alarich, che prevedeva l’occupazione tedesca dell’Italia settentrionale fino a Pisa e Rimini. Il rinnovato piano militare includeva quattro iniziative principali: 1) estendere il controllo tedesco alla maggior parte dell’Italia facendo affluire nella Penisola nuove divisioni; 2) liberare Mussolini (Operazione Eiche); 3) occupare Roma e restaurare il fascismo (Operazione Student); 4) neutralizzare completamente l’esercito italiano e impadronirsi della flotta (Operazione Achse). Contemporaneamente era prevista l’Operazione Konstantin, per disarmare le forze italiane nei Balcani e nelle isole egee, e l’Operazione Siegfried, per occupare la Francia meridionale presidiata dai reparti italiani. Ancora alleati con i tedeschi, il 6 agosto il capo di stato maggiore generale Vittorio Ambrosio e il ministro degli esteri Raffaele Guariglia si piegarono alla richiesta di Joachim von Ribbentrop di far passare il Brennero ad altre 4 divisioni germaniche, che, sommate alle precedenti, salirono a 21 nella sola Italia. Recepito il vergognoso e ambiguo armistizio badogliano dell’8 settembre 1943, i tedeschi realizzarono con rapidità fulminea l’Operazione Alarich e i piani collegati. Tranne che per la flotta, tutti gli obiettivi furono raggiunti. Alla celerità germanica corrispose una totale inadeguatezza da parte italiana, che si tradusse in assoluta assenza di preparazione politica; in mancato accordo con gli anglo-americani sulle operazioni da compiere al momento dell’armistizio; in mancanza di ordini precisi alle truppe regie con un’imbarazzata perifrasi per non citare esplicitamente i tedeschi (il generico comando di Badoglio prescriveva: «ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza»); in scollamento fra i comandi superiori, i comandi intermedi e le unità subalterne, e nell’ignominiosa fuga di Vittorio Emanuele III e Badoglio da Roma. Tutto ciò fece sì che il Regio Esercito si disgregasse in Italia e all’estero e i pochi reparti rimasti compatti dopo l’8 settembre venissero travolti dai tedeschi in poco tempo nella più grande confusione per la mancanza dei necessari collegamenti. In particolare furono letali gli ordini contraddittori inviati alle forze armate. La “Memoria 44 OP”, inviata il 4 settembre dal capo di stato maggiore dell’esercito Mario Roatta, conteneva direttive, sia pure disorganiche, per una resistenza ai tedeschi, ma la sua applicazione era condizionata alla diramazione di un telegramma convenzionale, che non sarà mai inviato, tranne che nel Regno del Sud, l’11 settembre. A sua volta il “Promemoria n. 2” del gen. Ambrosio del 6 settembre sembrava smentire gli ordini precedenti. Infatti i comandi italiani erano lasciati liberi di assumere di fronte ai tedeschi l’atteggiamento ritenuto più adatto alla situazione, compresa la trattativa con le forze germaniche. In questo caos, il bilancio del crollo militare fu catastrofico: 40.000 furono i fucilati, i feriti e i caduti in combattimento e più di 20.000 i dispersi, senza dire dell’ingente bottino di armi, mezzi, equipaggiamenti e carburante venuto nelle mani delle truppe germaniche. I militari italiani che riuscirono a sfuggire ai tedeschi presero la via del ritorno verso le loro case, ma i più dei loro commilitoni, oltre 650.000 soldati e 22.000 ufficiali, vennero deportati in Austria, in Polonia e soprattutto in Germania. L’internamento nei campi di prigionia implicava giorno per giorno condizioni di vita tremende: lavoro duro, sottoalimentazione, fame, freddo, malattie, punizioni, maltrattamenti e umiliazioni, tanto è vero che morirono più di 33.000 prigionieri. Tra i deportati non mancarono soldati molfettesi. Finì nell’Austria meridionale il caporal maggiore Marino Pierro (Mario, secondo la banca dati del Ministero della Difesa), nato il 3 gennaio 1924 da Giacomo e Faustina Sallustio e imprigionato nello Stalag nazista XVII/B di Gneixendorf, villaggio presso Krems. Deceduto il 1° agosto 1944 a 20 anni, Pierro fu sepolto nel Cimitero Militare Italiano di Mauthausen. Tra i molfettesi morti in terra tedesca, tre andrebbero stralciati dalla lista dei prigionieri, in quanto, per la morte avvenuta prima dell’armistizio badogliano (se i dati dei decessi sono esatti), sembrerebbero piuttosto tre dei 170.000 lavoratori “liberi” civili, volontari o precettati per il lavoro in Germania. Si tratta di Damiano Binetti, nato il 23 aprile 1896 e deceduto il 5 gennaio 1943 a 46 anni, Nicolò Uva di Giuseppe e Maria De Trizio, nato il 1° gennaio 1901, morto a Kassel il 25 marzo 1943 a 42 anni e inumato cinque giorni dopo in prima sepoltura nel Cimitero di Kassel, e Francesco Annese, nato il 13 agosto 1894 e morto il 27 luglio 1943 a 48 anni. Tutti e tre sono stati alla fine sepolti nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Francoforte sul Meno. Gli altri molfettesi, invece, furono militari o civili militarizzati catturati per essere internati in Germania. Il primo, Ignazio Minervini di Sergio, non arrivò neanche in terra tedesca. Era garzone di cucina sul Palermo (ex greco Athinai), un vecchio piroscafo di 2897 t per trasporto di materiali noleggiato dal Regio Esercito, che negli ultimi mesi era stato impiegato sulle rotte Patrasso-Brindisi e Valona-Brindisi. Il giovane Minervini fu catturato dai tedeschi il 9 settembre 1943 e morì in prigionia nello stesso giorno, forse per un tentativo di fuga, come accadrà al genovese Oronzo Ciparolo, carbonaio del Palermo, deceduto in Albania il 25 settembre cercando di scappare dalla reclusione. Il marittimo Sergio Mezzina, nato a Molfetta il 26 luglio 1896 da Vincenzo e Natalizia Minervini, era invece imbarcato sul piroscafo da carico di 1259 t Aprilia dell’armatore Achille Lauro di Napoli, quando il 16 settembre 1943 fu catturato col resto dell’equipaggio a Salonicco dai tedeschi. Fu internato con numero di matricola 82579 nel campo di prigionia Oflag (Offizier-Lager) IX-A presso Spangerberg, nell’Assia nord-orientale, campo destinato solitamente agli ufficiali inglesi e francesi. Deceduto il 25 novembre 1943 a 47 anni, il marinaio fu sepolto nel cimitero del lager e successivamente traslato nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Francoforte sul Meno. Una sorte analoga ebbe il marittimo Giovanni De Cesare, nato a Molfetta il 30 settembre 1911 da Giuseppe e Vincenza Chiarella. Ventenne, aveva iniziato il servizio di leva a Pola presso la scuola del CREM (Corpo Reale Equipaggi Marittimi). Poi si era imbarcato come comune di 1a classe in una compagnia del battaglione San Marco sull’incrociatore pesante Trento, inviato col cacciatorpediniere Espero in Estremo Oriente dal febbraio al giugno del 1932 a scopo dimostrativo durante la 2a guerra sino-giapponese. Poi aveva navigato sul vecchio esploratore Libia e, al rientro in Italia, aveva concluso il servizio militare a Taranto dopo 28 mesi. Sposatosi, mentre la moglie era in attesa di una bambina, si era poi imbarcato come fuochista sul piroscafo da carico di 1348 t Corso Fougier, appartenente all’armatore Mario Zoboli di Genova. Il cargo il 5 luglio 1942 era stato requisito dalla Regia Marina a Sant’Antioco, in Sardegna, e l’equipaggio militarizzato e poi destinato ai rifornimenti tra il Pireo e l’isola di Suda e altri porti dell’Egeo. Il Corso Fougier fu catturato dai tedeschi a Patrasso il 9 settembre 1943 e l’equipaggio venne internato in Germania. Durante la prigionia, De Cesare fu obbligato a imbarcarsi sul piroscafo da carico di 6094 t Johann Schulte, già Ioannis Chandris delle linee greche Chandris, dal 1941 preda di guerra dei tedeschi e in séguito in servizio nel Mare del Nord tra Emden e Wilhelmshaven. Il 28 gennaio 1944 il cargo urtò una mina rilasciata da un aereo inglese e affondò nel corso inferiore del fiume Weser. Recuperato, il corpo del trentaduenne De Cesare fu inumato nel cimitero di Wilhelmshaven l’11 febbraio 1944. Per intervento del Commissariato generale Onoranze Caduti in guerra, il 21 febbraio 1958 le sue spoglie vennero traslate nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Amburgo. Riportati in Italia per interessamento della famiglia, i suoi resti dal 30 gennaio 2005 riposano nel sacrario del Cimitero monumentale di Molfetta. Alla sua memoria sono state attribuite la croce al merito di guerra e la medaglia d’onore agli italiani internati nei lager nazisti. Di altri prigionieri molfettesi deceduti in Germania si conosce ben poco. Il marò cannoniere Domenico Antonio Centrone, nato il 19 febbraio 1920 da Cosimo e Angela Spagnoletti, catturato e aggregato alla Wehrmacht, morì a 23 anni per un’incursione aerea alleata il 29 gennaio 1944 e fu sepolto nel Cimitero principale di Francoforte sul Meno. Il soldato Giuseppe Mazzola di Francesco e Lucia Rosa Gigante, nato il 28 giugno 1915, perì a 28 anni durante la prigionia il 16 febbraio 1944 a Dahn. Il militare Giuseppe Camporeale di Michele e Virginia Tattoli, nato il 22 gennaio 1916, morì a 28 anni per malattia il 26 febbraio 1944 in un lazzaretto di riserva della Sassonia. Inizialmente fu inumato nel Cimitero Militare Italiano di Zeithain, poi venne traslato nel Cimitero comunale di Molfetta. Il soldato Antonio Pappagallo fu Leonardo e Anna Rosa Magarelli, nato il 21 giugno 1918, morì a 25 anni il 30 aprile 1944 e fu sepolto prima nel Cimitero comunale di Igel e poi nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Francoforte sul Meno. Il soldato Corrado Pellicani di Nicola e Filomena Giancaspro, nato il 9 maggio 1923, morì a 21 anni a Eutritzsch, sobborgo di Lipsia, il 29 maggio 1944. Fu sepolto nel Cimitero della Trinità di Lipsia e in séguito traslato in Italia. Il soldato Giuseppe Giovine fu Giuseppe e di Pasqua Facchini, nato il 14 marzo 1912, risulta deceduto a 32 anni il 17 giugno 1944 a Ebelsbach, in Baviera, e inumato prima nel Cimitero comunale di Eltmann e poi nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Francoforte. La guardia di finanza Pietro Lazzizzera di Mauro e Susanna Tedesco, nato il 25 marzo 1922, perì a 22 anni il 19 giugno 1944 e fu sepolto prima nel Cimitero occidentale di Oberhausen e in séguito nel Cimitero comunale di Molfetta. A sua volta, il fante Basilio Abbatangelo di Giuseppe e Luigia Capurso, nato il 18 ottobre 1920, morì a 21 anni per malattia a Wasungen il 24 luglio 1944. Fu seppellito nel Cimitero comunale di Wasungen e poi nel Sacrario Militare dei Caduti d’Oltremare di Bari. Angelo Farinola, nato il 27 febbraio 1919, venne meno a Magdeburgo il 5 agosto 1944 a 25 anni e dopo essere stato inumato in terra germanica, fu traslato al Sacrario Militare del Verano di Roma. Il soldato Giambattista De Robertis di Vito e Lucrezia Armenio, nato l’8 ottobre 1911, appartenente al 129° reggimento di fanteria della brigata Perugia, fu fatto prigioniero dai tedeschi in Albania e morì a 32 anni il 26 agosto 1944 nell’ospedale di riserva di Lauterhofen nel distretto di Oberpfalz. Fu sepolto prima nel Cimitero comunale di Lautherhofen e poi nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Monaco di Baviera. Il marittimo Luigi Morolla, nato il 12 marzo 1893, fu catturato sul Polcevera, piroscafo da carico di 2609 t del compartimento marittimo di Genova, obbligato il 9 settembre 1943 da Stukas tedeschi a rientrare nel porto di Basiliki presso Patrasso, mentre tentava di dirigersi verso Brindisi. Il marinaio morì in prigionia a 51 anni a Repelen-Baerl il 27 agosto 1944 e venne inumato nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Monaco di Baviera. Anche il 1945, purtroppo, fece registrare altri decessi di prigionieri molfettesi in Germania. Il fante Vito Allegretta di Leonardo e Dorotea Brunetti, nato il 10 luglio 1924, morì di pleurite a 20 anni il 2 gennaio 1945 nello Zweiglager (sottocampo) dello Stalag VI del villaggio di Fullen e venne sepolto prima nel Cimitero Militare Italiano di Gross Fullen e poi nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Amburgo. Il marittimo Michele Pisani di Giacomo e Carmela Introna, nato il 16 novembre 1896, s’imbarcò con la qualifica di «giovanotto» sul piroscafo da carico di 5430 t Caterina Gerolimich, che allo scoppio della guerra, dal 10 giugno 1940, rimase bloccato a Dublino, in Irlanda. Il piroscafo il 16 agosto 1943 fu acquistato dal governo irlandese e rinominato Irish Cedar. Sembrerebbe che a un certo punto si sia dato alla fuga, ma che alla fine sia caduto nelle mani dei tedeschi. Infatti morì in Germania a 48 anni il 25 febbraio 1945, inumato prima nel Cimitero Dahlenstrasse di Rheydt e poi nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Monaco di Baviera. Il tenente colonnello Nicolò Fontana, nato il 26 giugno 1900, morì a 44 anni l’11 marzo 1945 e venne sepolto nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Amburgo. Il marittimo Giuseppe Porcelli di Vito e Maria Soriano, nato il 19 gennaio 1923, perì il 9 aprile 1945 a 22 anni e fu inumato prima nel Cimitero comunale di Idstein, nel circondario rurale di Rheingau-Taunus-Kreis in Assia, e poi nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Francoforte sul Meno. Disponiamo di qualche notizia in più per Bartolomeo Spadavecchia, nato il 4 maggio 1921 da Antonio e Maria Concetta Immacolata Rigioni. Da civile per professione faceva il panettiere. Come militare aveva la qualifica di marò cannoniere. Fu fatto prigioniero dai tedeschi sull’isola di Lero nel Dodecaneso dopo la resa italiana del 16 novembre 1943 e deportato nel campo di concentramento di Buchenwald (matricola n. 47450). Trasferito prima a Dachau e poi a Natzweiler, fu nuovamente rinchiuso nel Lager di Dachau il 2 aprile 1945 (matricola n. 147450). Arrivati in zona gli americani, Spadavecchia fu ricoverato nell’ospedale militare statunitense di Dachau, dove si spense a 24 anni il 30 maggio 1945. Inizialmente fu sepolto nel Cimitero del Lager di Dacau, poi fu traslato nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Monaco. Ritenuto un disperso ancora in vita dai famigliari, fu cercato mediante un annuncio con foto sulla Domenica del Corriere del 9 aprile 1950 da Concetta Spadavecchia, domiciliata a Molfetta in Via Goffredo Mameli, 11. I resti del marò sono stati rimpatriati nel 2003 e collocati nel sacrario del Cimitero monumentale di Molfetta. Terminata la seconda guerra mondiale in Europa, l’aviere Gaetano Totagiancaspro di Angelo ed Elisabetta Mezzina, nato il 25 febbraio 1918, morì a 27 anni il 26 settembre 1945 nell’ospedale italiano del campo di prigionia Oflag II-A di Prenzlau, nel Brandeburgo. Fu inumato nel Cimitero urbano di Prenzlau e poi traslato nel Sacrario Militare dei caduti d’Oltremare di Bari. Altri prigionieri molfettesi morirono in Polonia. Il nocchiero Corrado Amato di Vincenzo e Girolama Piccinno, nato il 29 aprile 1922, perì a 22 anni a Toszek, nel Voivodato della Slesia, il 5 agosto 1944. Riposa ora nel Cimitero Militare Italiano d’onore di Bielany, frazione di Varsavia. Il soldato Paolo Minervini fu Vincenzo e di Anna Armenio, nato l’11 giugno 1921, spirò a 23 anni il 20 marzo 1945 a Dirschau, l’attuale Tczew, nel Voivodato della Pomerania, restando sepolto in Polonia. Il marò cannoniere Francesco Bavaro di Mauro Lorenzo e Angela Maria Piergiovanni, nato il 15 giugno 1918, fu internato a Stutthof presso Danzica (oggi Sztutowo), in un campo di concentramento a cui dal 1944 fu aggregata una fabbrica aeronautica che sfruttava la manodopera coatta. Il marò perì a 26 anni il 3 maggio 1945 per un bombardamento aereo alleato. Non si conosce il luogo della sepoltura. La stragrande maggioranza di questi molfettesi rifiutò di collaborare col regime nazi-fascista, ma se la guerra è stata crudele con tali uomini, la pietà gli riservi almeno l’omaggio di un “giorno della memoria”.
Autore: Marco I. de Santis