Pietro Ingravalle e Natale Addamiano incontro dopo 40 anni
Suggestiva collettiva per la Galleria 54 Art Gallery, sotto la direzione artistica di Franco Valente. A esporre i pittori Natale Addamiano, docente presso l’Accademia di Brera, e Pietro Ingravalle, nato a Bisceglie, suo allievo per un breve periodo presso l’Accademia delle Belle Arti. Ingravalle torna a presentarsi al pubblico dopo una lunga pausa, in cui si è dedicato all’insegnamento del Disegno professionale. Il suo percorso l’ha veduto in passato conseguire importanti riconoscimenti, quali la borsa di studio conferitagli a Mantova, tra gli studenti delle Accademie d’Italia, e il Premio Silvio Dodaro. La sua poetica assume tratti ben definiti: l’artista demiurgo setaccia la realtà circostante, alla ricerca di oggetti caratterizzati dalla dismissione e dalla superfluità. Come foglie morte, la loro apparente inanità allo sguardo dell’uomo comune diviene fattore che scatena l’interesse dell’artista. Egli le ridefinisce in una composizione che mira non alla definizione di forme ben individuate, ma alla generazione di un’emozione estetica. A sostenere l’opera che assembla materiali vari, quali carte, tessuti, fili di ferro, perline, elementi in plastica è un profondo senso della bellezza, retaggio della tradizione, da cui affiorano il fondo oro tipico dell’arte bizantina o i profili di apollinea grazia. L’aspirazione all’armonia coesiste con la profonda convinzione che a dettar legge, nella modernità, siano il garbuglio gaddiano, lo gliuommero, il Caos. Ecco la spiegazione dei grovigli rivenienti dagli anfratti dell’Io o delle tele di ragno che qua e là ci sembrano intessute negli arabeschi senza titolo dell’Ingravalle. Tra questi, particolarmente affascinante ci appare Senzatitolo8, una storia del cosmo, in cui il profilo umano appare come aspirazione a una perfezione illusoria o come graffito indecrittabile nel frastuono universale. Emergono il dinamismo che rivela il transeunte in ogni cosa, lo sfacelo che si cela dietro le magnifiche sorti e progressive, la benjaminiana idea della storia come cumulo di macerie. Tutte suggestioni che si compongono in un’opera meritevole di notevole interesse.Reduce dalla mostra “Nodi quasi di stelle” presso la Galleria PoliArt Contemporary di Milano, Natale Addamiano conferma la propria vocazione al colore e al cielo. L’azzurro è estrinsecazione della tensione al divino, ma il nero non infonde sgomento; è semmai indice di panica e mistica comunione con il Tutto. I cieli stellati si apparentano ai buchi fontaniani, rispondenti a sequenze ritmiche regolari. Il paesaggio, astrazione della mente in fantasticheria, è frutto della contemplazione diretta, che determina un’emozione poi lasciata decantare e sedimentare in atelier. Ogni cielo sembra figlio della nostalgia di una dimora ch’è dappertutto proprio perché non si radica in alcun luogo. L’armonia siderale è generata dallo sguardo educato all’euritmia che s’interroga sul mistero dell’immenso. La luce è perennemente protagonista e scolpisce e rimodella plasticamente ogni elemento della composizione paesistica. Addamiano riesce felice anche nella resa dell’atmosfera, che contribuisce a fasciare di grazia onirica scenari che nulla hanno del bozzettismo o dell’oleografia, proprio perché felice coesistenza di fedeltà alla Natura dell’elemento sensibile e di astrazione psichica. Pertanto, ogni sua finestra spalancata sul Cielo è vessillifera di un tempo sospeso, che si riavvolge misticamente sul proprio eterno ritorno, scandito dal frangente, dalle lame d’acqua e dalle carole siderali, varchi di un infinito che si offre all’uomo.
Autore: Gianni Antonio Palumbo