Pesce pazzo? Quello locale è buono
Rischio possibile solo per il prodotto di allevamento
La sindrome di mucca pazza, tra i suoi effetti, ha avuto quello di far crollare i consumi di carne. Gli italiani hanno così riscoperto il pesce: spigole, orate e sogliole hanno invaso le tavole dei consumatori, facendo registrare un vero e proprio boom dei consumi ittici, con un incremento del +15% rispetto allo scorso anno.
Fin qui tutto bene, ma si può davvero essere sicuri del pesce che finisce nei nostri piatti? Quali sono le garanzie per i consumatori di non trovarsi a mangiare una bella spigola allevata con antibiotici, nutrita con mangimi di dubbia provenienza e cresciuta in vasche pulite con sostanze tossiche, se non addirittura cancerogene?
Se è vero, infatti, che la produzione italiana per la maggior parte è garantita, altrettanto non si può dire per quella che arriva dall’estero - più del 60% del pesce che finisce sulle nostre tavole - dove regna, soprattutto per gli allevamenti dei paesi extra-europei, una totale deregulation.
La garanzia di un prodotto “di qualità” in alcuni casi è assolutamente aleatoria. Inoltre, al momento dell’acquisto, non è sempre possibile distinguere il prodotto nostrano da quello proveniente da altri paesi.
Ma quali sono i problemi più rilevanti? In primo luogo, in molti dei paesi extra-europei importatori vige un regime da far-west, in cui è consentita qualunque frode, purché venga garantito il profitto economico.
Si utilizzano antibiotici nella fase larvale del pesce che conseguentemente finiscono nel piatto del consumatore; vengono adoperate, per la disinfestazione delle vasche, sostanze come il furaltadone, il furazolidone (tossici), il verde malachite (nocivo per esposizione acuta con gravi rischi per la salute se ingerito, inalato o portato a contatto con la pelle), la formalina.
Negli impianti di maricoltura (ne è un esempio l’allevamento di Bisceglie, visibile anche dalle nostre coste) per la protezione delle reti potrebbero essere utilizzate vernici antifouling, che contengono stagno, altri metalli pesanti e Pcb (Policlorobifenile), notoriamente cancerogeno; spesso si adoperano mangimi scadenti, in alcuni casi vere e proprie concentrazioni di veleni.
E il consumatore come può difendersi? Acquistando pesce locale, non importato e pescato in mare aperto. Possibilmente al riparo dalle bombe all’iprite.
Massimiliano Piscitelli