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Peccato non corra come una lepre. Quanta violenza sugli animali  
15 luglio 2007

Lepre di mare, bue di mare, fegato di mare o addirittura pucchiacchia di mare sono solo alcuni dei numerosi nomi con cui viene identificata la Aplysia depilans. Questo animaletto, assolutamente innocuo, è diventato la vittima preferita dei bagnanti che si divertono ad infliggergli ogni tipo di sofferenze. Così, come ogni estate, le lepri di mare si avvicinano alla costa, nelle acque calde e basse per nutrirsi e riprodursi, ignare dell'eccidio che i molfettesi preparano loro. Forse perché non gridano attirando l'attenzione, forse perché non hanno difese contro l'uomo che non è loro predatore naturale, forse perché i loro colori non sono belli e sgargianti come quelli delle parenti Aplysia punctata e fasciata, tutti si sentono autorizzati a far loro ciò che più li aggrada, rendendo la spiaggia, e in particolare la “prima cala”, un orrido mattatoio. Quindi la scena cui si assiste facilmente può essere così riassunta: mentre l'instancabile brucatore “pascola” tranquillo tra le alghe, il ragazzo sfaccendato e irrispettoso lo estrae dall'acqua stritolandolo, lo appoggia sullo scoglio rovente e assolato e inizia una vera e propria opera di vivisezione o tortura, visto che le due parole si equivalgono. Dapprima osserva la lenta disidratazione della lepre al sole, poi visto che questa compie solo dei lenti movimenti, passa a punzecchiarla con assi di legno appuntiti (che ci fanno in spiaggia?!). Infine il colpo di grazia: la mano afferra il povero animale lo scaraventa in aria facendogli fare un alto volo che si conclude col sordo tonfo del corpo sullo scoglio… Ma quel che è peggio è che il tutto si svolge sotto gli sguardi indifferenti e menefreghisti di signore tutte concentrate a prendere il sole, di mamme e papà, di altri ragazzi e dei suoi amici che, non solo non lo fanno desistere, ma gli suggeriscono spunti per ulteriori torture. Nasce allora naturale la domanda del perché di tutto ciò. Questo ragazzo, alquanto crudele, non è certamente un seguace di Cartesio (per il quale gli animali sono cose che non provano sensazioni) di cui, forse, conosce a malapena il nome, ma piuttosto una persona dotata di un certo grado di insensibilità e ignoranza. Già, perché il più delle volte, questa riveste un ruolo determinante. Pochi sanno, infatti, che i molluschi sono animali evoluti e muniti di cervello, organi di senso e sistema nervoso; perciò sono dotati di una certa intelligenza e capaci, come l'essere umano, di provare dolore. Probabilmente, se costoro avessero conoscenze maggiori del mondo naturale, si avrebbe di questo più rispetto. E'di fondamentale importanza salvaguardare gli animali tutti, perché gli equilibri naturali già seriamente compromessi, potrebbero collassare a causa di queste inutili stragi, che assumono proporzioni rilevanti (si consideri che solo alla “prima cala” la media di vittime giornaliere è di tre che però va moltiplicato per i tre mesi estivi). Poi, biologicamente parlando, uccidendo le lepri di mare che sono consumatori primari, ossia erbivori, diminuirà il numero dei consumatori secondari (carnivori), per arrivare anche ai pesci di cui ci cibiamo. Inoltre, indipendentemente dall'intelligenza dell'animale in questione, che potrebbe essere il più insulso del mondo, lo si dovrebbe lasciare comunque illeso, perché se esiste, vuol dire che ha avuto successo dal punto di vista evolutivo e la natura, giudice più autorevole dell'uomo, lo ha ritenuto degno di popolare il mondo. Così, per dicotomia, oggi si assiste per un verso al perpetrarsi di scene che si possono definire di sadismo, dall'altro all'elaborazione dei diritti degli animali da parte del filosofo Tom Reagan. Ma già alla metà dell'800 un capo indiano disse: “Cos'è l'uomo senza gli animali? Se tutti gli animali se ne andassero, l'uomo morirebbe di malinconia, perché qualunque cosa accada agli animali, presto succede anche all'uomo. Tutte le cose sono collegate […] La terra non appartiene all'uomo. L'uomo appartiene alla terra…”
Autore: Serena Minervini
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