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“Partiti e democrazia. Una sfida globale”, dibattito giovedì a Molfetta
01 luglio 2014

MOLFETTA - Partiti e democrazia. Ha ancora un senso legare i due termini o non siamo piuttosto in una fase post- partitica in cui il vero tema è come esprimere al meglio una leadership personale autorevole ma non autoreferenziale, carismatica ma non autoritaria? ha ancora senso un partito “massimo possibile” o non serve piuttosto un organismo “minimo indispensabile”? Qual è lo stato di salute della democrazia italiana? E’ tanto diverso da quello delle democrazie europee? Come porre un argine all’onda populista e antipartitica che attraversa il vecchio continente? come far vivere la politica con i finanziamenti privati?

Di questo e di tanto altro si discuterà giovedì pomeriggio a Molfetta alle ore 19 al Giardino di via Mammone nel centro storico, in occasione della presentazione dell’ultimo numero della rivista Left Wing “Partito”. Saranno presenti e si confronteranno rappresentanti dell’associazione Articolo18 – che ha organizzato con Left Wing l’appuntamento - accademici e politici del Partito Democratico nazionale e regionale.

“Crisi della forma partito, crisi della politica e crisi della democrazia sono tre cose che si tengono in un nesso strettissimo” – ci conferma Francesco Verducci senatore PD e coordinatore della corrente dei “Giovani turchi”. “La democrazia è in crisi perché ha tradito il patto sociale fondamentale, la promessa di dare ai figli maggiori e migliori possibilità rispetto ai padri – continua Verducci. “Noi non ci rassegniamo alla supremazia dell’economia finanziaria sull’economia della produzione e sulla stessa democrazia. Sentiamo che c’è una nuova trincea da espugnare, una riconquista democratica da mettere in atto per costruire una democrazia dei partiti in cui questi ultimi siano soggetti collettivi capaci di radicamento e di mobilitazione e con una forte cultura politica”. “Per troppo tempo - conclude il senatore PD - la sinistra è stata culturalmente subalterna ai principi liberali. Crediamo che sia cominciata una nuova stagione, che sia venuto il momento di ripensare la democrazia e di rifare i partiti per salvare l’Italia. Con coraggio, innovazione e orgoglio”.

Intervengono: Paola Natalicchio, Sindaco di Molfetta; Francesco Verducci, senatore PD - Coordinatore Rifare l’Italia; Liliana Ventricelli, deputato PD; Francesca D’Ulisse, dipartimento esteri PD; Pierpaolo Treglia, segretario GD Puglia; Paolo Borioni, storico Fondazione Brodolini; Onofrio Pappagallo, storico Fondazione Gramsci - vicepresidente “Articolo 18”.

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Ai tempi della nostra barbarie, quando i Franchi e i Germani, i Bretoni e i Longobardi, e i Mozarabi spagnoli, non sapevano né leggere né scrivere furono istituite in Europa certe scuole, o università, composte quasi tutte di ecclesiastici, i quali, non sapendo altro che il loro gergo teologico, insegnarono quel gergo a quelli che vollero impararlo. Le accademie degli umanisti vennero solo molto tempo dopo: esse disprezzarono lo sciocchezzaio della scolastica, ma non sempre osarono levarsi contro le scuole, perché vi sono delle sciocchezza che vengono rispettate, essendo legate a cose rispettabili. Gli uomini di lettere, che abbiano reso i più grandi servigi a quel piccolo numero di esseri pensanti che vive sparso sul nostro globo, sono letterati isolati: i veri sapienti, chiusi nei loro studi, che non sono andati ad argomentare sui banchi delle vecchie università, e non si sono accontentati di dire le cose a metà nelle accademie. E costoro sono stati quasi tutti perseguitati; perché la nostra miserabile specie e così fatta, che quelli che camminano sulle vie battute gettan sempre sassi a quelli che insegnano le strade nuove. Eccovi Cartesio obbligato a lasciare la patria, Gassendi calunniato, Arnaud forzato a trascorrere i suoi ultimi giorni in esilio: tutti filosofi, trattati come gli Ebrei trattavano i loro profeti. La più gran sventura di un uomo di lettere non è forse d'essere oggetto della gelosia dei suoi confratelli, vittima di intrighi, disprezzato dai potenti del mondo; ma di essere giudicato dagli sciocchi. Gli sciocchi vanno molto più in là, qualche volta: soprattutto quando il fanatismo si unisce alla balordaggine, e lo spirito di vendetta al fanatismo. E un'altra grande sventura dell'uomo di lettere né, di solito, non poggiare su niente. Un borghese compera una piccola carica, ed eccolo sostenuto dalla sua corporazione: se riceve un'ingiustizia, trova subito chi lo difende. Ma l'uomo di lettere non ha sostegni. E' un po' come i pesci volanti: se si innalza un poco, gli uccelli lo divorano; se si immerge sott'acqua, se lo mangiano i pesci. Ogni uomo pubblico paga il suo tributo alla malignità; ma è pagato a sua volta in soldi e onori. L'uomo di lettere paga lo stesso tributo, senza ricevere niente: egli è sceso nell'arena per il suo piacere. Si è condannato da solo alle belve.


Una patria è un composto di parecchie famiglie; e siccome di solito si sostiene la propria famiglia, per amor proprio e quando non ci sia un forte interesse contrario, così per la stessa qualità d'amor proprio sosteniamo la nostra città o il nostro paesello, che noi chiamiamo la nostra patria. Più questa patria ingrandisce, e meno la amiamo, perché l'amore troppo suddiviso s'indebolisce: è impossibile amare con gran tenerezza una famiglia troppo numerosa, che non riusciamo nemmeno a conoscere. L'uomo chye arde dall'ambizione di diventare edile, tribuno, pretore, console, dittatore, crede di amare la patria, ma ama soltanto se stesso. Ciascun uomo vuol essere sicuro di poter dormire in pace a casa sua senza che un altro si arroghi il potere di mandarlo a dormire altrove; ciascuno vuol essere sicuro dei suoi beni e della sua vita; e siccome tutti formulano così gli stessi desideri, l'assieme di questi interessi particolari diventa l'interesse generale: quando facciamo voti per la repubblica, in realtà facciamo voti per noi stessi. E' impossibile che ci sia sulla terra uno Stato che da principio non si sia governato a repubblica: è lo sviluppo naturale della natura umana. Quando noi Europei abbiamo scoperto l'America, abbiamo trovato tutti quei popoli divisi in repubbliche; non c'erano che due regni in tutta quella parte del mondo; su mille nazioni, ne abbiamo trovate soltanto due sotto il giogo. Ora, è meglio vivere in una patria ordinata a monarchia o in una repubblica? Son quattromila anni che si discute su questo punto. Se domandate ai ricchi, essi preferiscono tutti una repubblica aristocratica; se interrogate i poveri, vogliono la democrazia. A preferire la monarchia ci sono soltanto i re. Come è possibile dunque che quasi tutta la terra sia governata dai re? Domandate ai topi che decisero di attaccare un campanello al collo di un gatto. Ma in verità, la ragion vera è, come è stato detto più volte, che gli uomini assai di rado son degni di governarsi da sé. E' triste che spesso per essere un buon patriota bisogni diventare nemico del resto degli uomini. Catone il vecchio, quel modello di cittadino, ripeteva sempre in Senato: “Questa è la mia opinione: che si debba distruggere Cartagine”. Essere buon patriota significa augurarsi che la propria città si arricchisca col commercio e diventi potente con le armi. Ora è chiaro che un paese non può guadagnare se un altro non perde, e che non si può vincere senza fare degli infelici. Tale è dunque la condizione umana: che augurarsi la grandezza del proprio paese sia augurare il male dei propri vicini. Un uomo che preferisse che la sua patria non fosse mai né grande né più piccola, né più ricca né più povera, sarebbe un cittadino del mondo. (Voltaire)


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