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Paola Natalicchio: l’immobilismo mascherato di Minervini
15 settembre 2019

La politica molfettese si sta facendo sempre più incandescente e “accondiscendente” verso le lobby economiche, soprattutto in vista delle prossime elezioni regionali. L’amministrazione di destracentro “ciambotto” fatta con gli ex sergenti di Azzollini e delle loro liste civiche capeggiate da Saverio Tammacco, sindaco ombra che ora ha anche commissariato Minervini, ha deciso di sposare la filosofia del “liberi tutti”, come “Quindici” più volte ha sottolineato. Si ha l’impressione che il messaggio che si vuole far passare sia quello del rifiuto delle regole a prezzo di voti e consensi per conquistare un seggio alla Regione. Cosa fa l’opposizione di sinistra, come intende reagire a questo andazzo che vede nell’edilizia il punto di forza della speculazione sempre di casa a Molfetta, dove il cemento e il mattone hanno rappresentato e rappresentano il vero cancro del mancato sviluppo della città. Ne abbiamo parlato con l’ex sindaco Paola Natalicchio, oggi consigliere comunale di opposizione di Sinistra Italiana. Paola Natalicchio, com’è andata l’estate politica della nostra città? Come sta evolvendo la “stagione Minervini” vista con gli occhi dell’opposizione? «Mi pare evidente che siamo in una stagione di grande “immobilismo mascherato”. È spuntata una rotonda a via Ruvo (programmata con il nostro PUMS e già presente nel nostro piano delle opere pubbliche), è stata rifatta la scalinata delle Monacelle, sono stati ripiantati (finalmente) i fiori freschi a Corso Umberto, è stata inaugurata la fontana alla Stazione (fatta con i soldi del Porto, una cosa vergognosa di cui nessuno parla). La Cinecittà dei piccoli lavori pubblici è sempre all’opera e maschera l’immobilismo totale sulle questioni strategiche sul piano economico e di visione della città. Al di là del marketing e dei biglietti gratis ai concerti e alle giostre, è tutto fermo: il Porto Commerciale e quello turistico, il Parco di Mezzogiorno, il digestore anaerobico, il Pulo e il Museo del Pulo, solo per fare alcuni esempi. Piccolissimo cabotaggio, dappertutto, ma nessuna aspirazione di promuovere un cambiamento “longitudinale”, che abbia a che vedere col futuro della città. Dopo più di due anni di governo, che seguono a un anno di commissariamento, il bilancio è sinceramente imbarazzante». Quali sono le politiche assenti che la colpiscono di più? «Per il terzo anno consecutivo Molfetta è rimasta senza un Piano delle Coste, con il sindaco che ci ha fatto commissariare dalla Regione, dopo la campagna elettorale permanente sulla “centralità della risorsa mare”. Una cosa inammissibile. Per il terzo anno consecutivo il settore dell’urbanistica ha completamente abbandonato la pianificazione: ritardi allucinanti sull’adeguamento del Piano Regolatore Generale al Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR), nessuna intenzione di avviare una Pianificazione Urbanistica Generale e – la cosa più grave e inaccettabile – la definitiva manomissione del Piano Regolatore Generale di Dino Borri, quello approvato dal sindaco Guglielmo Minervini». Ma lei non era contro il Piano Borri? Oggi lo difende? «Il fatto che io fossi “contro il Piano Borri” è una delle tante leggende metropolitane che si sono dette sul mio conto. Quel Piano si è mostrato ottimo nella tenuta, per anni, ma è stato approvato prima dell’approvazione del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) e della pianificazione regionale sui vincoli paesaggistici (PPTR). La mia posizione è stata sempre chiara: adeguare intanto il PRG agli strumenti sovraordinati e lavorare a un Piano Regolatore Generale in riduzione, perché – non certo per colpa né di Guglielmo né di Borri – le previsioni demografiche dell’inizio del 2000, vent’anni dopo, si sono rivelate errate. La nostra popolazione non solo non è cresciuta, ma è diminuita e viaggia sotto i 60.000 abitanti. Continuo a pensare che serva una grande inchiesta sul bisogno di casa, sull’equilibrio tra edilizia privata, convenzionata e popolare e che realizzare l’intero PRG così come era stato pensato vent’anni fa, sia una scelta sbagliata, centrata solo sul punto di vista dei proprietari e che non tiene conto dei bisogni ambientali e di tutela del territorio. Purtroppo, però, mentre tutti inneggiano al Green New Deal e sostengono la rivoluzione ecologica di Greta a parole, dire queste cose a Molfetta rimane una eresia. Pagheranno i nostri figli, un conto ben più salato dei famosi diritti edificatori». Perché la giunta Minervini, secondo lei, sta “manomettendo il PRG di Dino Borri”? «Due esempi lo dimostrano con tutta evidenza. Il primo, emblematico, arriva questo mese di nuovo in Consiglio Comunale ed è la questione Maxi- Comparto. Una maxivergogna, perché il PRG prevedeva la tipologia a villetta in tutta l’area (che coinvolge la parte posteriore di Madonna delle Rose e una porzione adiacente a Villaggio Belgiovine. Uno scenario, quindi, a bordo lama) e invece il duo Mastropasqua-Minervini (dietro il quale c’è un altro duo, quello Ancona-Mancini e dunque il grande capo Saverio Tammacco) propone, anzi dispone, l’edificazione di palazzine pluripiano. Palazzine a bordo lama, solo perché se si facessero le villette bisognerebbe accettare di ridurre il consumo di suolo, in ragione dei vincoli idrogeologici e paesaggistici. Per eludere i vincoli si cambia la tipologia, facendo scempio del nostro paesaggio, con alto tradimento dello spirito di equilibrio del PRG vigente. Secondo esempio: il PRG prevedeva vincoli precisi sulle ristrutturazioni nelle zone A2 e B1 (tra cui rientra, ad esempio, il Viale Pio XI), cioè quelle semi centrali. In quelle zone gli ampliamenti e gli interventi previsti dal piano casa erano impossibili da realizzare, sempre per tenere maglie strette sul piano dell’impatto e preservare il valore di alto pregio delle zone interessate. Bene, arriva in consiglio comunale una delibera di “deregulation” di questi vincoli. Senza dimenticare il PIP3». Cosa c’entra adesso il PIP3? «Il PIP3 è l’ampliamento ulteriore della nostra zona di insediamenti produttivi. Insomma della nostra già megalitica zona industriale. Il PIP3 era una vecchia idea di un altro duo, quello Antonio Azzollini-Rocco Altomare. Noi lo fermammo. Lo lasciammo decadere. L’impatto ambientale di quella estensione, in zona ad alto rischio idrogeologico, sarebbe stato davvero ardito e per noi non sostenibile. Ora la giunta Minervini, dopo il can can della ZES, non può tradire le promesse elettorali fatte a suon di video, manifesti e comunicati stampa agli imprenditori che sono già disorientati dal perdurare del blocco del Nuovo Porto Commerciale. Arriva in consiglio comunale, quindi (udite udite) il Pip4, che non è altro che un mini-PIP3. Si stralciano, sempre in barba a una pianificazione generale e ragionata, le aree “fattibili” del PIP3 e si rimette in piedi una ulteriore speculazione in un’area già gravata da tante criticità, rinnovando il vincolo agli espropri di aree che potevano restare agricole. Lo sapete che la zona industriale è priva di un sistema di depurazione ad hoc? Cosa sta facendo questa amministrazione per evitare il continuo scarico illegale di residui di lavorazione industriale in mare? Nulla. Se non allargare ancora la zona industriale, senza un’ottica complessiva che tenga conto degli equilibri ambientali e paesaggistici del territorio. Ma nessuno ne parla. Troppe sigle, troppe complicazioni. Il conflitto sull’urbanistica, su cui è caduta la nostra amministrazione, sembra essere finalmente sedato a suon di provvedimenti che accontentano i grandi elettori e preparano il campo alla campagna elettorale per le prossime regionali». A proposito, lei si candida alle prossime elezioni regionali? In molti se lo aspettano, dopo gli oltre 5 mila voti di preferenza alle scorse europee in provincia di Bari. Conti alla mano, avrebbe molte chance di fare la consigliera regionale, se solo accettasse di appoggiare Michele Emiliano. «No, non mi candido. Lo avevo annunciato a Quindici già nello scorso numero e lo ribadisco. Proprio in queste ore sto ripartendo per Roma. Torno al giornalismo a tempo pieno, con buona pace di chi ha cercato per anni di allontanarmi dall’arena politica. Non sono molto a mio agio in questa stagione dei bis. Né il Conte bis, né l’Emiliano bis mi fanno sentire a casa. Qualcuno dice che mi sto radicalizzando, ma sinceramente io mi sento sempre nello stesso posto. Non sono buona per tutte le stagioni, questo sicuramente. Io mi trovavo bene nella stagione del 2013: Italia Bene Comune, Vendola e Bersani e, a Molfetta, la grande alleanza tra il meglio del civismo e il meglio dei partiti progressisti cittadini. Quando torneranno le primavere piene, tornerò in politica con l’energia di un tempo. Adesso mi sembra di vivere una eterna mezza stagione di affarismo politicizzato, clientele e grandi alleanze che diventano fabbrichette di piccoli favori. Non fa per me. Ovviamente resto in consiglio comunale e sto partecipando attivamente alla vita di una neonata associazione di cittadini attivi, Civico 65. Riparto dal basso. Ho appena 40 anni, il maltempo politico passerà. Intanto continuo a lavorare e a scrivere, grazie a una nuova collaborazione con il settimanale L’Espresso di Marco Damilano, che mi onora moltissimo». Non voterà Michele Emiliano alle prossime regionali, quindi? «Voto nel Lazio, sono di nuovo residente a Roma dal 2016. Certamente, se si candiderà, sosterrò convintamente Nico Bavaro come consigliere regionale. È il segretario regionale di Sinistra Italiana. Un precario della mia generazione che conosce molto bene i problemi della Puglia. Sarò al fianco di Nico, se accetterà la sfida di portare la voce delle sinistre in consiglio regionale. Continuo a pensare che potevamo cercare un altro candidato presidente. La mia distanza da Michele Emiliano, lo sanno anche le pietre, è siderale. Operazioni come quella dell’alleanza tra Tommaso Minervini e le destre trasformiste camuffate da civismo e guidate da Saverio Tammacco sono state pensate e benedette da lui. Emiliano è un mercante in fiera. Io, nel mio piccolo, una delle ultime allieve di Norberto Bobbio e Lorella Cedroni. Siamo filosoficamente incompatibili, prima ancora che sul piano delle scelte ci separa l’idea che abbiamo della politica». Lei cita Norberto Bobbio e poi scende in piazza con i centri sociali e i movimenti nelle manifestazioni sulla muraglia e sulla presentazione del libro di Roberto Maroni. È una socialdemocratica o una estremista? «Sono una sincera socialdemocratica. E penso che la democrazia senza partecipazione e senza l’ambizione radicale di abbattere le diseguaglianze e promuovere i valori della solidarietà e dell’accoglienza, semplicemente, non esista. La manifestazione sulla Muraglia Bene Comune ha scandito un principio fondamentale: sì alla città pubblica e alla difesa dei nostri beni comuni e spazi pubblici, no alla privatizzazione della città, alle guardie armate e agli orari di entrata e di uscita nei luoghi pubblici. Sull’altra manifestazione, quella di protesta contro Roberto Maroni, sono molto amareggiata per le critiche ricevute anche da ex compagni di strada come Giulio Germinario e Giulio Calvani che l’hanno liquidata come un raduno di intolleranti. Ho avuto la percezione che qualcuno abbia voluto fare caricatura della nostra protesta, che era assolutamente pacifica, nonviolenta e mirata a contestare i circa 3mila euro di patrocinio dell’Amministrazione e il pensiero anti meridionalista e anti-accoglienza di Maroni, che è stato segretario della Lega Nord prima di Salvini e ha usato i 49 milioni della truffa leghista sui rimborsi truccati. Non abbiamo certo contestato la sua persona o il suo diritto a presentare un libro, ma le sue scelte. Non abbiamo fatto altro che leggere in piazza Mazzini le pagine del “Libro nero della Lega” di Giovanni Tizian e ci siamo pacificamente spostati a Piazza Municipio, peraltro sotto una pioggia battente, solo per leggere un volantino di protesta che avevamo elaborato collettivamente con il Comitato “Molfetta Non Si Lega” e per srotolare uno striscione. L’intervento dei carabinieri è stato deciso. Un attrito assolutamente evitabile, che ha portato a cinque denunce molto pesanti (e il numero in queste ore potrebbe salire) contro attivisti il cui unico scopo era esprimere il proprio pensiero in assoluta assenza di violenza, minacce e nel pieno rispetto delle forze dell’ordine. Una pagina tristissima di repressione che ancora mi lascia sgomenta, tanto che ho evidenziato più volte ai carabinieri che spero di essere denunciata anche io come i miei compagni di piazza. Ero lì e ho fatto le loro stesse cose: espresso il mio pensiero, diverso da quello di Roberto Maroni e del sindaco che lo ha invitato in città. Tutto questo non è reato. E se è diventato reato, preferisco affrontare anche io un procedimento insieme a tutti gli altri. E questa è socialdemocrazia, non estremismo. Davvero». © Riproduzione riservata

Autore: Felice de Sanctis
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