A queste elezioni europee Molfetta ha avuto un proprio candidato al Parlamento, l’ex sindaca Paola Natalicchio. La sua lista “La sinistra” non ha superato il tetto del 4%, per cui non è riuscita ad eleggere alcun deputato. “Quindici” ha fatto un’analisi del voto con la stessa Paola, in questa intervista a tutto campo che parte dalle elezioni Europee per attraversare le Regionali e arrivare fino alle prossime Comunali. L’ex sindaco non si è sottratto ad alcuna domanda, anche quelle scomode. Paola Natalicchio partiamo con l’analisi del voto. La lista La Sinistra è stata un disastro: 1,7%. Lei ha preso, però, 12 mila preferenze e a Molfetta è stata la prima degli eletti. Che sapore ha questo risultato? «Un sapore amaro, inevitabilmente. Avevamo l’impressione che la lista potesse andare molto meglio. Avevamo messo in campo un progetto mai così chiaro, che aveva al centro la difesa dei diritti sociali, la questione ambientale, l’allargamento dei diritti civili e una proposta seria su immigrazione e accoglienza. Ci siamo sentiti a lungo l’unica forza credibile per fare argine all’esplosione del populismo salviniano e all’implosione dei Cinque Stelle. Invece, sostanzialmente, la gente non ha votato oppure ha votato Pd». Come mai, secondo lei? «Abbiamo cambiato simbolo per l’ennesima volta. Io ho perso molte preferenze perché scrivevano il mio cognome accanto al simbolo del Pd o dei comunisti di Marco Rizzo. Non è stata fatta una adeguata campagna di comunicazione nazionale per pubblicizzare il simbolo. E il progetto è stato messo in piedi troppo tardi. Dovevamo prima fare una lista guidata da Luigi De Magistris. Avevamo fatto una bellissima assemblea a fine 2018 al Teatro Italia, a Roma. Sembravamo a un passo dal lanciarla e poi il sindaco di Napoli si è tirato indietro. Poi dovevamo fare una lista unica “rossoverde”, guidata da Elly Schlein. Ma nel gioco dei veti incrociati (con un no dei Verdi proprio su Sinistra Italiana, per via del caso Ilva) è saltata anche questa. Si è parlato di candidature popolari come Mimmo Lucano, Michela Murgia, Cecilia Strada. Saltate anche queste. È chiaro che l’attrattività del progetto non è mai decollata». E lei perché si è candidata, allora? «Perché non si poteva disertare l’appuntamento delle europee. Non era ammissibile, non era giusto. Sono elezioni difficilissime: sei regioni, le preferenze da segnare sulla scheda. Ma avevo voglia di schierarmi, in un momento così duro e nero per il Paese. Ed essere arrivata prima di Salvini, Berlusconi, Meloni e Fitto a Molfetta mi ha sinceramente riempito di orgoglio». Lo rifarebbe, insomma? Nonostante non sia stata eletta? «Certo che lo rifarei. È stata una campagna elettorale utile e piena di senso. Ho girato il Mezzogiorno d’Italia con la macchina: 12mila chilometri in otto settimane. Ho incontrato moltissime vitalità. Una sinistra diffusa e non interconnessa, che aspetta solo di essere chiamata a raccolta da un progetto nazionale credibile. Alle Europee non siamo riusciti a proporlo, ma resto convinta che esista uno spazio politico da ricostruire a sinistra del Pd. Anzi, più che a sinistra direi “in basso”. In relazione forte, sistematica con i territori, i movimenti, l’associazionismo, il Terzo Settore, la cosiddetta “sinistra sociale”. Continuerò a spendermi in questa direzione. Non possiamo fermarci adesso». Parliamo di Molfetta. Qualcuno dice che poteva prendere qualche voto in più.
«Si può sempre fare di più. Ho investito molto su Molfetta, in questa campagna. Nel 2017 mi candidai al consiglio comunale, chiudendo con meno di 500 preferenze. Sono entrata in consiglio, ma ho un ricordo amaro di quella campagna. L’ombra delle dimissioni era ancora nell’aria. La gente mi chiamava “Schettino”, ripeteva che avevo abbandonato la nave che affondava. Provavo a spiegare che non era così, a ricordare le ragioni della crisi tremenda del 2016: la maggioranza spaccata, una parte del PD di traverso, sulle questioni dell’Urbanistica in particolare. Ma la città non aveva accettato la mia scelta. Era arrabbiata con me. E non aveva nemmeno accettato che non mi fossi ricandidata a sindaco subito dopo. Io ero molto provata, avevo il bambino piccolo, avevo fatto molte rinunce nei tre anni precedenti: non me la sentii. Questa volta è stato molto diverso. Mi sono sentita accolta, ascoltata, rispettata, benvoluta. Le tre iniziative pubbliche (l’apertura di campagna a piazza Mazzini, la presentazione del programma in Sala Turtur e la chiusura del 24 maggio a Piazza Municipio) sono andate molto bene. Potevo fare di più sul “porta a porta”. Mettermi a chiedere i voti telefonata per telefonata, con le liste contatti alla mano. Ho puntato su una campagna pubblica, in città, per strada. Qualcosa che potesse riaprire un dibattito diffuso. Chi ha visto a Molfetta Elena Gentile o Raffaele Fitto? Nessuno. Detto questo, penso che il 12% per la lista sia uno dei risultati più alti d’Italia. Siamo stati la quarta forza politica dopo Cinque Stelle, Pd e Lega. Abbiamo staccato Forza Italia e Fratelli d’Italia e anche la candidatura di Michele Abbaticchio, sostenuta da molti consiglieri comunali vicini al sindaco, non è decollata. È andata bene. Sono stata sostenuta da un gruppo di attivisti straordinario, di altissima qualità. Abbiamo lavorato bene, serenamente. E il rapporto con la città si è riaperto. In valori assoluti sono gli stessi voti di Gano Cataldo del 2014. Allora la lista prese il 4% nazionale. E Gano era sostenuto dal sindaco di allora (che ero io), dal presidente della Regione di allora (Nichi Vendola), dal sindaco attuale, Tommaso Minervini, e da consiglieri del calibro elettorale di Nicola Piergiovanni. Penso che il risultato non sia propriamente paragonabile. La forza di Sel in Puglia, di cui Gano era allora segretario regionale, era pazzesca. Sinistra Italiana oggi è ben altra cosa, nonostante il generosissimo lavoro del segretario regionale Nico Bavaro, che mi è stato davvero vicino in queste settimane e che ringrazio di cuore, insieme alla ex parlamentare Annalisa Pannarale». I quartieri in cui si è affermata di più sono la 167 e i quartieri di nuova espansione. Come se lo spiega? «Ha risposto molto bene anche Levante e il centro città. Ma effettivamente i risultati dei quartieri di espansione e della 167 sono stati molto buoni. Credo che ci sia un voto generazionale: in zona abitano molte giovani coppie che hanno preso casa oltre via Berlinguer e via Spadolini e che stimano il mio lavoro, si ritrovano nei temi proposti. Credo anche che siano i quartieri più delusi dall’attuale amministrazione. Noi completammo le urbanizzazioni primarie, in zona. Organizzammo eventi. Demmo dei segnali. Oggi ci sono molte promesse non mantenute e molto abbandono. Dallo stato di pericolo del Ponte Schiva Zappa, al degrado di Lama Martina, al parco mai nato, fino all’isola ecologica costruita senza preavviso e, per quel che riguarda la 167, il degrado del Parco di via Achille Salvucci o l’ennesima opera inutile del Grande Teatro. Continuerò a occuparmi di queste e altre questioni come consigliera comunale». Rifondazione Comunista a Molfetta non l’ha votata. Ha proprio affisso dei manifesti proponendo tre preferenze ai cittadini. Come a dire: non votate Natalicchio per nessuna ragione. Perché? «Sono molto amareggiata di questo. Rifondazione era in maggioranza con me tra il 2013 e il 2016. Ha governato la Asm, con la presidenza di Antonello Zaza. Nel 2017 il mio partito, Sinistra Italiana, sostenne Gianni Porta come candidato sindaco. Lavoriamo insieme in consiglio comunale. Sinceramente inspiegabile la posizione di boicottare la mia candidatura con indicazione di voto su Ivana Palieri come terzo nome sulla scheda. Io non ho fatto manifesti proponendo i tre nomi. Chi voleva votare anche Eleonora Forenza, l’europarlamentare uscente di Rifondazione, poteva farlo. Credo nel voto libero e convinto. Loro, evidentemente, nel voto “di partito”, un po’ controllato e militarizzato. Non ero di Rifondazione, non mi hanno votata. Un derby sinceramente inspiegabile». Cambia qualcosa nei rapporti tra lei, Gianni Porta e Antonello Zaza? «Nei rapporti personali no. Né in consiglio comunale. Presenteremo insieme un ordine del giorno su Mercatone Uno nel prossimo consiglio comunale, per dire. Certamente si marca una diversità nel modo di fare politica. E certamente sono molto delusa, direi risentita per questo comportamento. L’opposizione al Governo Minervini resta però una priorità e non possiamo spaccarci. Certo, per le future campagne elettorali devo dire che una ferita si è aperta». L’ha sostenuta, però, e molto convintamente Bepi Maralfa, insieme a Domenico Gagliardi e a un gruppo legato ad Area Pubblica. Le ha fatto piacere? «Moltissimo. E penso che con Area Pubblica il dialogo debba continuare più intensamente di prima. Siamo a metà mandato, l’Amministrazione Minervini scricchiola. È tempo di iniziare a pensare a costruire una alternativa di governo in questa città. E se penso alla ricostruzione di una proposta civica, democratica, credibile non possiamo non partire da una stretta alleanza con il movimento che si è riaggregato attorno alla mia azione in consiglio in questi primi due anni, agli attivisti che sono stati protagonisti nel comitato elettorale in queste otto settimane e a Bepi e al suo gruppo, con cui i rapporti sono sempre stati splendidi e gli obiettivi di fondo sono comuni». E il candidato sindaco sarà lei o Bepi Maralfa? «Stiamo andando molto avanti con la fantasia. I candidati sindaci li decidono i percorsi di partecipazione. E ci sono nella società civile molfettese sicuramente risorse all’altezza del compito. Di certo noi non siamo tornati a vita privata e continuiamo a batterci per una Molfetta giusta, della legalità e all’altezza dei bisogni dei cittadini. E di certo, per tornare alla metafora del derby, io e Bepi giochiamo e giocheremo nella stessa squadra. La gente non ne può più di divisioni inutili. E noi stessi nel 2016 siamo caduti per le divisioni del centrosinistra. Ne siamo stati vittime. Si riparte dall’unità. E da un’idea semplice: l’interesse pubblico prima di tutto. La Molfetta dei diritti e non dei favori. Delle opere utili e non degli sprechi. Della cura e della bellezza e non dell’abbandono. Della cultura diffusa e non dei contributi a pioggia. Delle politiche sociali avanzate e non del ritorno al Comune come bancomat assistenzialistico. Della difesa dell’ambiente e non della nuova cementificazione selvaggia con i palazzoni del Maxicomparto a bordo lama al posto delle villette. Il fallimento dell’amministrazione Minervini- Tammacco-Caputo è sotto gli occhi di tutti. Anche il PD si pentirà presto di essersi prestato a questa alleanza innaturale e puramente opportunistica, che non sta lasciando un segno di cambiamento in città ma solo monumenti, opere inutili (come la pedana-solarium della discordia, ultima della serie) e promesse tradite». Ultime due domande: con 4.926 preferenze in provincia di Bari (contro le 3.781 di Forenza, per dire) si candiderà alle prossime elezioni regionali? «Anche questa è una fantasia. Con Michele Emiliano presidente è praticamente impossibile che questo accada. E temo che si stia procedendo inesorabilmente verso l’Emiliano bis. In tal caso, impossibile vedermi in prima linea. Non sarebbe serio. La mia opinione sull’operato della giunta Emiliano è nota. E non cambia per un posto in Consiglio Regionale. Non sono in cerca di poltrone. Ho tanti difetti, ma non quello dell’opportunismo politico. Se avessi voluto fare scelte di convenienza, sarei entrata nel PD quella famosa estate della visita a Molfetta di Debora Serracchiani. Tutti allora urlarono al complotto, all’accordo segreto tra me e Renzi, addirittura per salvare Azzollini dall’arresto per il caso Porto. Si disse che mi ero venduta. Si disse e si dice di tutto. Ma il PD non è un partito che fa per me. Sulle grandi scelte come ambiente e grandi opere la distanza è siderale. Tornando alla domanda, se in ottica anti Salvini la sinistra dovesse sostenere Emiliano o partecipare alle primarie con Emiliano, non sarei di sicuro nelle condizioni di impegnarmi». E con il risultato importante tra Giovinazzo, Terlizzi, Ruvo, Bisceglie e Corato si candiderà alle prossime elezioni politiche? «È una domanda prematura. Certo questo rapporto fortissimo con i comuni vicini mi ha molto onorato. È frutto di una relazione autentica, continuativa con queste città e anche con alcuni amministratori locali come i consiglieri comunali locali di sinistra e di alcune liste civiche. Con loro a fine giugno svolgeremo a Ruvo una due giorni di riflessione: analisi del voto e rilancio. Una “intercomunale”, come l’abbiamo chiamata. Per tornare alla domanda, non è chiaro se per le politiche si vota a marzo, a settembre o fra tre anni. Io credo nell’importanza di occupare le istituzioni, certamente. Ma più di tutto, io mi candido a collaborare a ricostruire un soggetto politico forte e credibile che abbia una identità diversa da quella del Pd, che proponga un altro modello di crescita, di consumo e che abbia un’altra idea di economia e di mondo. Non possiamo essere né la Sinistra del 3% di LeU né quella dell’1,7 delle ultime europee. Serve uno scarto forte. In termini di idee, di proposte, di rinnovamento della classe dirigente, di offensiva politica. E certamente dovremo ricostruire una famiglia politica in grado di contrastare Salvini-Meloni-Berlusconi. Non ricostruire il Pd, non solo. La questione è più complessa e si gioca anche fuori dal Pd. Per amore del territorio, non smetterò certo di fare politica proprio adesso». © Riproduzione riservata