MOLFETTA - In occasione della terza edizione del «Maggio Molfettese», il Panathlon Club di Molfetta ha organizzato la conferenza «Lo Sport e l’Unità d’Italia», tenutasi nella Sala Turtur a Molfetta. Relatore della serata, il prof. Angelantonio Spagnoletti, docente di storia moderna presso l’Università degli Studi di Bari e consigliere del Panathlon Club, presentato da Marianna Nappi, presidente della F.I.D.A.P.A. (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) e da Lillino de Robertis, presidente del Panathlon Club (nella foto con Spagnoletti e Nappi).
Il prof. Spagnoletti ha subito aperto la conferenza citando un’opera di Huizinga Johan intitolata «Homo ludens», per dimostrare come l’attitudine dell’uomo al gioco attraversi tutta la storia dell’umanità, faccia parte del bagaglio culturale dell’uomo stesso. «Non esiste solo l’homo faber, l’uomo che lavora», ha precisato il relatore, «esiste anche l’homo ludens, l’uomo che gioca, che si dedica ad attività non legate al mondo del lavoro e a necessità impellenti».
Fino alla metà del ‘700 lo sport, meglio definito come gioco, è caratterizzato dall’assenza di regole, ma, nella seconda metà del secolo interviene un grande cambiamento nel concetto di gioco legato alla Rivoluzione industriale, che significa non solo concentrazione di manodopera nelle grandi città, introduzione del tempo di fabbrica, alienazione dell’operaio considerato una semplice macchina, inquinamento, ma significa anche invenzione del tempo libero degli operai. «I “padroni del tempo”» ha chiarito il prof. Spagnoletti, «concedevano il tempo libero agli operai non per spirito filantropico, ma perché necessitavano di operai che, dopo essersi riposati e svagati, potevano tornare a lavorare al meglio delle loro forze». È proprio in questo periodo che nasce il termine “sport”, derivato dal latino “de portare” .
In Inghilterra la pratica dello sport incontra subito un terreno fertilissimo. Il modello di sport inglese è esclusivamente aristocratico, nasce e si diffonde soprattutto nei college, dove venivano educati i rampolli dell’aristocrazia inglese. Il Duca di Wellington, dopo aver sconfitto Napoleone nel 1815, nella celebre battaglia di Waterloo, affermò compiaciuto che la vittoria di Waterloo era stata preparata sui campi da gioco di Hilton, uno dei più grandi college inglesi. Il sistema pedagogico vigente in questi college attribuiva molta importanza all’attività fisica, questa serviva infatti a dare all’allievo una piena consapevolezza di sè e del proprio corpo e ad inserirlo in un sistema di regole che andavano sempre rispettate. Il modello di sport inglese è finalizzato a formare una classe dirigente in grado di esprimersi con disciplina e autocontrollo sui campi di battaglia.
Un altro modello di sport che si diffonde in Europa in questo periodo è quello tedesco. Nel 1806 Napoleone sconfigge l’esercito prussiano nelle battaglia di Jena, il popolo tedesco cade sotto l’egemonia francese, ma questa situazione di difficoltà fa emergere un forte desiderio di riscatto, aiutato anche dalla concezione particolare dello sport presso il popolo sconfitto. L’uomo greco della Grecia classica, noto per l’armonia, la compostezza, la forza, la bellezza del suo fisico, diviene per il popolo tedesco quasi l’immagine di un dio da emulare. Per questo tutto il popolo inizia a dedicarsi all’esercizio dell’attività fisica, e lo fa nelle grandi piazze delle città, nasce cosi il «Turnen platz», la ginnastica nelle piazze, mirante a trasformare il cittadino in soldato, senza rispettare alcuna regola.
In Italia il modello inglese viene accolto molto favorevolmente soprattutto dagli esponenti nobiliari; si diffonde rapidamente l’arte equestre, il ballo, l’equitazione, mentre, il modello tedesco viene depotenziato. Lo sport diventa un sistema volto a creare “il processo di costruzione di una nazione”. Nei primi anni dell’800 si assiste alla nascita della prima società sportiva di tiro a segno, che unisce l’aspetto sportivo a quello della preparazione militare. Molte società sportive, come rammenta il prof. Spagnoletti, ancora oggi si chiamano “Pro patria”. Nel 1863 nasce il C.A.I. (Club Alpino Italiano), fondato da Quintino Sella, gli italiani dovevano fortificare il proprio corpo scalando le vette alpine e dovevano conoscere le montagne della loro patria. In questo stesso anno l’Italia rivendica il possesso di tutto l’arco alpino, rendendo evidente il significato politico di questa istituzione.
Nel 1868 nasce in Italia la prima Federazione Sportiva Italiana, e dopo dieci anni la ginnastica viene introdotta nell’insegnamento delle scuole elementari. Nel 1993 nasce a Milano il T.C.C.I. (Tourning Club Ciclistico Italiano). Lo scopo del T.C.C.I. è quello di favorire l’uso extraurbano della bicicletta per conoscere attraverso lo sport il proprio paese. Lo sport in Italia è strettamente legato al patriottismo e trova il suo emblema visivo nella maglia azzurra che indossano i nostri sportivi, che, come ha ricordato il relatore, fu indossata per la prima volta nel 1911 in una partita di calcio contro l’Ungheria.
Lo sport quindi, organizzando gli italiani in associazioni e squadre, nel corso della storia ha rafforzato l’identità del popolo italiano. «Lo sport, infatti, contribuisce, insieme alla cultura, alla lingua, alle tradizioni, a creare una nazione», la conclusione del prof. Spagnoletti.
Al termine della serata è stato consegnato il «Premio Giornalistico Tonino Gioia» che lo scorso anno fu assegnato a Francesco del Rosso, redattore di "Quindici, a Marianna La Forgia, corrispondente sportiva per La Gazzetta del Mezzogiorno e collaboratrice per il Sole 24 ore Sud, che, dimostrando un grande ottimismo, ha concluso sperando che lo sport dei nostri giorni possa avvicinarsi sempre di più al modello inglese, smussando l’agonismo eccessivo e la competizione smisurata, che spesse volte induce i nostri sportivi a commettere in campo atti indecorosi.
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