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Ora e sempre Resistenza a Molfetta, celebrato il 25 aprile. Il discorso del sindaco Paola Natalicchio La vergogna di una strada intitolata dal centrodestra a Giorgio Almirante torturatore e fucilatore di partigiani
26 aprile 2016

MOLFETTA – Celebrata anche a Molfetta la festa del 25 aprile, data della liberazione dal nazifascismo da parte dei partigiani e delle forze alleate.

Nella giornata delle Resistenza c’è stato il solito corteo con la partecipazione delle autorità civili e militari, le rappresentanze delle associazioni combattentistiche e dei partigiani. Il corteo si è concluso nella villa comunale con il presidente del consiglio comunale Nicola Piergiovanni e il sindaco di Molfetta Paola Natalicchio.

Dopo la deposizione della corona di alloro al monumento ai caduti, il sindaco Natalicchio ha pronunciato il discorso celebrativo soffermandosi in particolare alla conquista del voto per le donne, al referendum e alla fine della monarchia che aveva consegnato l’Italia ai fascisti di Mussolini e alla stesura della Costituzione democratica. Il sindaco ha ricordato la Resistenza che ci fu anche a Molfetta o alla quale parteciparono i valorosi partigiani molfettesi. Ha messo in evidenza come non ci sia un “fascismo buono” e uno cattivo, ma come Mussolini sia stato la dannazione dell’Italia. Ha criticato chi, in passato, l’amministrazione di destra, ha intitolato vergognosamente una strada a Giorgio Almirante, torturatore e fucilatore di partigiani (ma Molfetta ha anche il disonore di aver intitolato una strada a Craxi, sarebbe opportuno cancellarle entrambe, ndr).

Paola Natalicchio ha concluso il suo discorso di alto profilo, mettendo in evidenza che la Resistenza continua con i partigiani del nostro tempo, quelli che si battono per l’accoglienza e per contrastare le diseguaglianze sociali e civili, per costruire un Paese più giusto, libero, non xenofobo, razzista e fascista.

Ecco il testo integrale del discorso del sindaco di Molfetta:
«Cara Molfetta,

sono passati 71 anni dalla Liberazione dell'Italia dalle forze nazifasciste che l'avevano avvilita, infestata, degradata per venti lunghissimi anni. Il 25 aprile di 71 anni fa il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia proclamò l'insurrezione dei partigiani su tutti i territori ancora occupati. I partigiani attaccarono tutti i presidi fascisti e nazisti ancora attivi e, prima ancora dell'arrivo delle truppe alleate, l'Italia si riprese da sola la sua dignità, dopo la vergogna e l'indecenza del ventennio mussoliniano e dopo i dolori e gli orrori di cinque anni di guerra.

Iniziarono mesi difficili ma bellissimi, in cui l'Italia repubblicana e democratica che oggi abitiamo gettò le sue fondamenta: il voto alle donne, il referendum del 2 giugno 1946 e la fine della monarchia, la stesura definitiva della nostra Costituzione.

E' importante fare memoria, in questi giorni e in queste ore. Non retorica della memoria, ma pratica della memoria. Perché in cerimonie come questa noi dobbiamo chiederci a cosa serve, ancora, celebrare con forza e convinzione il 25 aprile. Perché è utile, indispensabile, eticamente obbligatorio occuparci ancora della Resistenza.

Ritengo ogni volta imperdibile l'opportunità che ha Molfetta, ogni 25 aprile, di riconnettersi con la parte migliore della sua storia.

Quella di Gaetano Salvemini, il più illustre dei nostri concittadini, ispiratore, a Firenze, del movimenti Giustizia e Libertà, maestro dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, morti su ordine dei vertici fascisti. Quella di Carlo Muscetta e Tommaso Fiore, tra gli anni Trenta e Quaranta professori di libertà nel nostro Liceo Classico, a Corso Umberto, che insegnavano i valori dell'antifascismo ai giovani molfettesi, mettendo a rischio la loro vita e la loro libertà. Muscetta fu violentato con l'olio di ricino per la sua attività di proselitismo liberale tra i ragazzi. Tommaso Fiore, come abbiamo ricordato questa mattina davanti al portone di Piazza Paradiso 5, dove abitava, fu antifascista e meridionalista esemplare e negli anni terribili della guerra e dei tumulti perse il figlio Graziano. Era il 28 luglio 1943, la lotta partigiana era alle porte. Erano i giorni della caduta del fascismo, spirava forte tra i ragazzi del Paese, la promessa del ritorno di una libertà negata. Tommaso Fiore era stato arrestato per motivi politici, insieme a Guido Calogero e ad altri antifascisti. Il giovane Graziano, appena diciottenne, andò a Bari a manifestare per la liberazione dei prigionieri politici con altri 200 ragazzi. Una manifestazione pacifica, a via Nicolò dell'Arca, a due passi dalla sede del Partito Nazionale Fascista barese. Morirono in venti. Ragazzi di questa terra. Graziano fu freddato da un colpo alla nuca. Stamattina abbiamo dedicato a lui, alla sua storia, una “mattonella d'inciampo”, una ceramica artistica realizzata dal maestro Vallarelli che abbiamo apposto davanti alla casa di Molfetta di Graziano, dove non è mai tornato. Altre due ceramiche di memoria si trovano davanti alla scuola Filippetto e al Liceo Classico, dedicate appunto a Gaetano Salvemini e a Tommaso Fiore.

Tommaso Fiore e i suoi figli, Graziano ma anche Enzo e Vittore, furono esempio attivo, incarnato, di resistenza per Molfetta e per i loro discepoli: Saverio Tattoli, Giovanni e Liliana Minervini e molti altri.

E poi ci sono tutte le altre storie che ogni 25 aprile abbiamo il dovere di ricordare, di scandire. Quella di Manfredi Azzarita, grande animatore della resistenza romana, uno dei 355 morti ammazzati e trucidati delle Fosse Ardeatine. Il nostro Presidente della Repubblica Mattarella ha svolto alle Fosse Ardeatine la sua prima visita istituzionale, un anno fa. Con questa fascia che porto addosso, alcuni mesi fa, le abbiamo visitate anche noi con un pullman di 50 studenti molfettesi, nel primo viaggio della memoria organizzato dal Comune. I ragazzi della città, che l'anno scorso abbiamo portato poi nel campo di Trieste, per visitare la Risiera di San Sabba.
E dobbiamo ricordarli, uno a uno, gli altri molfettesi partigiani che hanno contribuito alla liberazione: Minguccio il barbiere, detto Figaro, attivo nella brigata Garibaldi, nell'astigiano. E molti altri, come Pasquale Petroli, che partecipò alle giornate di Parma, o Mauro Manente, attivo nella guerra di liberazione padovana. O partigiani da riscoprire come Tiberio Pansini, giovane partigiano delle Divisioni Garibaldine Lombarde, assassinato il 9 aprile del 1945, figlio di Giovanni Pansini, nato a Molfetta e condannato nel 1931 dal Tribunale Speciale fascista a 5 anni di confino, scontati prima a Ponza e poi a Ventotene. E poi partigiano anche lui.

Dobbiamo ricordarcelo, perché lo stiamo stupidamente perdendo, questo abbraccio tra le culture politiche nobili del Paese: comunismo, socialismo liberale, cattolicesimo democratico. E dobbiamo ricordare, oggi, che non può esistere revisionismo. E a nessuno è consentito di mistificare la storia, raccontare la bugia vigliacca che è esistito un “fascismo buono”. A nessuno è consentito fare apologia di quel "fascismo eroico" immaginario. Perché Benito Mussolini è stato la dannazione di questo Paese, dalla marcia su Roma fino a piazzale Loreto, infliggendo alla generazione dei nostri nonni una diffusa ignoranza basata su una cultura becera e violenta fatta di genuflessione costante, di perdita della dignità, di manipolazione genetica valoriale, di una profusione di leggi costitutive di una illegalità diffusa. Leggi fasciste e fascistissime, che trasformarono l'ordinamento giuridico dell'Italia in un regime, in uno Stato nazionalista, imperialista, promotore di un colonialismo muscolare guerrafondaio. L'Italia dell'omicidio di Giacomo Matteotti. Delle leggi sulla stampa in cui lo Stato sceglieva i direttori di giornale. Dell'abolizione del diritto di sciopero in cui i contratti collettivi potevano essere firmati solo dai sindacati fedeli al regime. Della legge elettorale con la lista unica e i candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo. Della Camera dei fasci e delle corporazioni. Del controllo di polizia sulle associazioni. Del confino di polizia per chi la pensava diversamente. L'Italia dell'OVRA, della vergogna incancellabile del Manifesto della Razza e delle leggi razziali, dei rastrellamenti nei ghetti ebraici verso i campi di sterminio, della scandalosa alleanza tra Mussolini e Hitler.

Noi stiamo dalla parte di tutte le vittime delle leggi razziali e del manifesto della razza, come Piero Terracina, a cui abbiamo voluto conferire la cittadinanza onoraria molfettese. Uno dei milioni, milioni di ebrei deportati nei campi di concentramento, esattamente ad Auschwitz Birkenau, tornato e sopravvissuto e instancabile testimone di memoria. Noi leggiamo la storia dalla parte degli oppressi, dalla parte di Piero. E per questa ragione la nostra Molfetta ripudia ogni apologia di personaggi come Giorgio Almirante, a cui qualcuno - non noi - ha intitolato una strada della città, forse dimenticando che quel manifesto della Razza che ha portato alla deportazione di Piero Terracina, della sua famiglia e dei tanti ebrei italiani che sono morti nelle camere a gas Giorgio Almirante lo ha firmato senza mai pentirsene. Giorgio Almirante che, ricordiamolo anche quest'anno, fu torturatore e fucilatore di partigiani.

Ma non sono i Mussolini e gli Almirante del passato a fare paura al nostro presente. A fare paura sono i torturatori e i fucilatori che affollano le guerre - dichiarate e nascoste - dell'oggi, come gli assassini vigliacchi e feroci del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, assassinato al Cairo perché appassionato studioso della resistenza diffusa di una primavera araba non sfiorita, ancora viva tra i giovani e tra i sindacati. Giulio la stava studiando e aveva iniziato a raccontarla, da giornalista. Hanno stroncato la sua vita, una promettente carriera. La sua sete di giustizia e di verità. Allora, Molfetta si unisce ad Amnesty International e alla famiglia di Giulio Regeni, e in questo giorno dedicato alla resistenza chiede verità e giustizia per Giulio.

A fare paura sono anche i traditori del Manifesto di Ventotene. Quello scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi durante il confino nella piccola isola del Lazio, a largo di Formia. Quello che ha scandito per primo l'utopia degli Stati Uniti d'Europa, la più potente e incompiuta tra le utopie del '45. Si prova vergogna nel sentire che l'Europa nata da quella utopia consente oggi ai suoi stati di piantare filo spinato ai confini impedendo alle popolazioni in fuga dall'orrore di trovare pace e accoglienza. Pagando banconote alla Turchia, al posto di aprire corridoi umanitari a garanzia del diritto d'asilo per gli uomini, le donne e i bambini che premono alle nostre porte, ai quali non possiamo rispondere chiudendo la serratura e chiudendoci nella cripta della nostra indifferenza. Sul palco di Milano, nella manifestazione organizzata dall'Associazione Nazionale Partigiani, oggi parlerà Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, isola di resistenza e di pace con cui Molfetta sente di avere un gemellaggio morale che rafforzeremo nel mese di maggio, quando partiremo con i ragazzi e le ragazze delle nostre scuole per la Sicilia anche per studiare il suo modello di accoglienza e promozione della convivenza interculturale.

Il nostro 25 aprile, allora, è dedicato a loro. A Giulio Regeni e alla pretesa ferma di sapere tutta la verità sulla sua morte ingiusta. E ai partigiani di questo tempo che in ogni angolo di Paese, a partire da Lampedusa, si battono per allargare i diritti di tutti e di tutte e non restringerli, per accogliere e non per respingere, per contrastare ogni forma di diseguaglianza sociale e civile e costruire, ora come allora, un Paese più giusto, più libero e mai più xenofobo, razzista e fascista.

Viva il 25 aprile.
Ora e sempre Resistenza
».

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