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Nuove elezioni in vista? Il centrodestra sconfitto cerca una rivincita in tribunale
15 novembre 2013

Si svolgerà il prossimo 16 gennaio l’udienza dinanzi al Tar Puglia relativa ai due ricorsi elettorali presentati contro il Comune di Molfetta e finalizzati a veder annullati i provvedimenti di proclamazione del sindaco Paola Natalicchio e dell’intero Consiglio Comunale. Se i ricorsi dovessero essere accolti, la conseguenza sarebbe una sola: il commissariamento del Comune e il ritorno alle urne in primavera. Come detto le azioni giudiziarie intraprese contro il Comune sono due: la prima (proposta direttamente da Ninnì Camporeale, candidato sindaco sconfitto del centrodestra, assieme a Giulio La Grasta, Vincenzo Spadavecchia, Sergio De Candia e Michele Palmiotti, candidati non eletti in Consiglio Comunale) è finalizzata a veder annullata l’attribuzione del premio di maggioranza alla coalizione di centrosinistra. Come noto, infatti, la coalizione di centrodestra a sostegno di Ninnì Camporeale ottenne, al primo turno, 18.034 preferenze (mentre il candidato sindaco ne conseguì 17.087, circa un migliaio in meno) e cioè il 49,25% di tutti i “voti validi” espressi dal corpo elettorale, parti a 36.610. Per qualche centinaio di voti, quindi, il centrodestra non ottenne la maggioranza al primo turno. Eppure Ninnì Camporeale e gli altri ricorrenti ritengono che il computo dei voti operato dalla Commissione Elettorale del Comune sia stato erroneo in quanto la percentuale dei voti conseguiti dal centrodestra andrebbe calcolata non su tutti i voti espressi, ma solo su quelli espressi in favore delle liste (sottraendo, quindi, i voti espressi per i soli candidati sindaco o i cosiddetti “voti disgiunti”). Con questo diverso calcolo, il centrodestra supererebbe l’asticella del 50% e avrebbe diritto alla maggioranza in Consiglio. Si determinerebbe, cioè, il fenomeno dell’“anatra zoppa”, con un sindaco di centrosinistra e una maggioranza in Consiglio di centrodestra, con conseguente inevitabile ingovernabilità. Il punto, però, è che l’interpretazione sostenuta dai ricorrenti è stata in più circostanze smentita dalla giurisprudenza amministrativa che ha ribadito che il calcolo dei voti conseguiti da una coalizione va fatto con riferimento a tutti i voti espressi dal corpo elettorale, ivi compresi quelli per il solo candidato sindaco. Scarsissime sono, quindi, le possibilità che questo ricorso venga accolto dal Tar Puglia. Discorso molto diverso va fatto sul secondo ricorso proposto da quattro “cittadini elettori”, Giovanni Sasso, Giuseppe Salvemini, Onofrio Mancini e Rosa Spaccavento. Ora, è ben difficile ritenere che anche questo ricorso non sia stato direttamente “ispirato” dagli esponenti di centrodestra che, incapaci di accettare la sconfitta nelle urne, tentano ogni strada (anche quella giudiziaria) per ribaltare il risultato elettorale e riportare Molfetta al voto dopo solo pochi mesi, con il rischio di un altro lungo commissariamento. Ad ogni modo questo secondo ricorso contesta le modalità con le quali sono state autenticate le firme dei sottoscrittori di alcune liste elettorali. Ben sette liste tra quelle che si sono candidate alle scorse elezioni, infatti, sia di centrodestra (PdL, Siamo Molfetta, Molfetta Futura e Lista Schittulli) che di centrosinistra (PD, Centro Democratico e Rifondazione Comunista) sono state presentate con firme autenticate da un consigliere provinciale. Sebbene questa modalità sia esplicitamente prevista dall’art. 14 della legge n. 53/90 e sia stata costantemente utilizzata da tutte le forze politiche (di destra e di sinistra), un recentissimo orientamento della giurisprudenza amministrativa ha stabilito che il consigliere provinciale può autenticare le firme solo per la presentazione delle liste in vista delle consultazioni provinciali, e non per le elezioni comunali. Questa interpretazione, in realtà, oltre ad essere contraria alla prassi seguita in tutta Italia, si pone anche in contrasto con le indicazioni contenute in molteplici circolari del Ministero dell’Interno e con le istruzioni dettate (in vista delle scorse elezioni comunali) dalla Prefettura di Bari. E che l’interpretazione della suddetta norma non sia affatto chiara, lo dimostra anche il fatto che su casi del tutto identici, diversi TAR hanno raggiunto conclusioni opposte: se, infatti, il Tar Puglia (per quanto riguarda un caso identico al Comune di Valenzano) e il TAR della Toscana (su un ricorso presentato contro il Comune di Gavorrano, in provincia di Grosseto) hanno stabilito che il consigliere provinciale non possa autenticare le firme per le elezioni comunali, il TAR Basilicata (per il Comune di Tricarico) ha stabilito che questa modalità di autentica sia assolutamente legittima e ha respinto un ricorso del tutto identico a quello presentato contro il Comune di Molfetta. Regna, quindi, grossa confusione su questa questione e quello che potrà accadere è davvero difficile da ipotizzare. La parola, ora, spetterà ai giudici. Ma non è escluso che, nel frattempo, possa essere il Parlamento a dettare una norma di interpretazione autentica che faccia chiarezza definitiva. E preservare, così, la volontà popolare democraticamente espressa dai molfettesi che qualcuno ancora non riesce a rassegnarsi della sua pesante sconfitta, intende sovvertire nelle aule di Tribunale. Costringendo, tra l’altro, la città a sobbarcarsi enormi spese (circa 400.000 euro) per organizzare nuove elezioni. Uno vero e proprio spreco di denaro pubblico, voluto da un centrodestra irresponsabile e alla perenne ricerca di una rivalsa giudiziaria dopo la cocente sconfitta elettorale. Insomma, la logica del tanto peggio, tanto meglio per garantire gli interessi di parte contro quelli collettivi, come ci ha insegnato il berlusconismo deteriore. ©

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