NOVECENTO - Da grande volevo la leica
Un contributo alla memoria storica della nostra città. Quarta puntata
di Ignazio Pansini
Anche la fotografia italiana ebbe la sua stagione neorealista. Oltre le quinte di cartapesta dell’Italia “imperiale”, era vissuto un paese, scientemente rimosso dalla visibilità e dalla coscienza collettiva, che attendeva da tempo chi documentasse con onestà e verità la sua vicenda. Alla riproduzione fredda ed automatica di quelle realtà, ritenuta possibile quasi a prescindere dalle intenzioni e dalla cultura dell’operatore, si contrappose una corrente “formalista”, che insisteva sulla necessità di attenersi preliminarmente ad un minimo di presupposti estetici. Probabilmente, gli esiti migliori si ebbero in coloro che si posero in una situazione di mezzo, accogliendo gli stimoli più fecondi delle due correnti. Esemplari, in questo senso, le migliaia di foto scattate da Fosco Maraini nei suoi viaggi al Sud dei primi anni ’50. Nelle zone della provincia meridionale escluse dai grandi servizi, è difficile cogliere i documenti di quel dibattito: qualche traccia può emergere grazie alla fortuna ed alla costanza di volenterosi ricercatori.
2) E’ indubbio che “Il Mondo” di Mario Pannunzio sia stato nell’Italia del secondo dopoguerra il periodico economico-politico e culturale più prestigioso. Dal 1949 al 1966 esso condusse una formidabile battaglia contro l’invadenza clericale da una parte, ed il settarismo filosovietico dei comunisti dall’altra, collocandosi in una difficile posizione di terza forza, intrisa di radicalismo laico-gicobino. Pannunzio realizzò nel suo foglio un moderno apparato iconografico, pubblicando le fotografie dei più quotati professionisti dell’epoca, e collocandolo a corredo indiretto, ma fortemente emblematico, dei servizi che i suoi collaboratori gli inviavano da ogni parte del paese. Le immagini del “Mondo” documentano con ironica amarezza e senza pietismi neorealistici l’Italia della lenta e contraddittoria ricostruzione, e costituiscono da sole un capitolo importante della storia della nostra fotografia. Scorrendo le annate della rivista, mi è capitato di trovarvi alcune belle foto di Molfetta: questa, apparsa nel numero del 21 settembre 1954, ha per titolo: “Molfetta. Il campione”. Cinque ragazzini seguono con attenzione la performance di un loro coetaneo, impegnato in un gioco di strada. Il nostro è perfettamente in equilibrio nella difficile posizione, nonostante lo stato precario della scarpa destra, con relativo alluce che “prende aria”.
3) Dopo lunghi anni di abbandono, Molfetta vecchia sembra rinascere a nuova vita. Il processo di risanamento e ripopolamento è avviato sul due binari dell’iniziativa pubblica e di quella privata , quest’ultima più spedita, ma manifestamente elitaria. Sarebbe auspicabile evitare il proliferare di zone “bene” adiacenti ad altre “ghetto”, ed incoraggiare un “continuum” tendente all’integrazione e all’equilibrio socio-ambientale. Ma non mi nascondo le difficoltà economiche, burocratiche, ed anche culturali, che incontra una simile soluzione. Questa foto, databile alla seconda metà degli anni ’50, mostra la processione del Venerdì Santo che da via Chiesa Vecchia imbocca via Preti, per sfociare di nuovo in via Piazza: un percorso abbandonato ormai da decenni. La viuzza è ancora piena di vita. Ora, il balcone sulla destra e quello stesso dal quale fu scattata l’istantanea sono tristemente murati.
4) Dal 1946 al 1959, circa 16 mila molfettesi lasciano la nostra città per cercare lavoro nell’Italia del Nord o all’estero. L’emigrazione meridionale del secondo dopoguerra ha ovviamente prodotto una sterminata bibliografia di taglio economico, sociologico ed antropologico. Anche la fotografia, grazie soprattutto ad operatori più sensibili ai fenomeni di mutamento sociale, ci ha lasciato una vasta documentazione sulle varie fasi dell’esodo: dalla partenza al viaggio, dalla difficile integrazione al raggiunto benessere. Io credo che nella memoria visiva ed emotiva di ogni molfettese, anche se non personalmente coinvolto in questa vicenda, vi sia l’immagine di un addio, di una forzata lacerazione del tessuto affettivo. Questa foto non è stata scattata a Molfetta, ma molto probabilmente alla stazione ferroviaria di Bari: compare nel numero di giugno 1961 di “Civiltà degli scambi”, rivista mensile della Camera di Commercio barese. L’abbiamo preferita ad altre, che riguardavano ambienti e personaggi dell’emigrazione molfettese, ma che non avevano il grande impatto emotivo che l’ignoto fotografo ha saputo rendere in questa.