MOLFETTA - Nell’approssimarsi delle elezioni per il rinnovo di Sindaci e Consigli comunali delle città di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, l’attenzione dei cittadini elettori e dei candidati si concentra inevitabilmente su urgenze e aspettative a breve termine.
E invece, nel pieno di una stagione difficile per le nostre comunità, in cui prevalgono l’incertezza per il futuro, a causa delle ferite provocate dalla pandemia da Covid-19 e nella morsa di una crisi economica, aggravata dalla tragedia della guerra e della crisi umanitaria nel cuore dell’Europa, il confronto politico democratico dovrebbe richiedere un livello più alto di riflessione.
Se ci chiedessimo come saranno (e come vorremmo che fossero) le nostre città tra dieci o vent’anni, ci accorgeremmo che le questioni più importanti non possono trovare risposte e soluzioni nell’orizzonte di un mandato: la vivibilità e i servizi per la popolazione che cambia (purtroppo diminuisce e invecchia!), la transizione ecologica (che comporta anche scelte decisive sul piano delle politiche urbanistiche), le opportunità di sviluppo (che vuol dire lavoro per i giovani). Stante questa prospettiva, dovremmo auspicare, anzi pretendere, da parte degli amministratori della cosa pubblica, una visione ampia e lungimirante, capace di elaborare un patto per le generazioni future, le generazioni dei nostri figli e dei nostri nipoti. La cronaca, però, ci impone di considerare questioni specifiche e, in un certo senso, preliminari all’azione politica.
Dalla relazione al Parlamento della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) sul primo semestre 2021, le città di Molfetta, Terlizzi e Giovinazzo, insieme ad altre del nord e sud barese, risultano essere sempre più “febbricitanti”, sotto scacco di clan e famiglie tristemente note, che ne hanno fatto le piazze per i propri illeciti affari. Si tratta di criminalità non occasionale, ma sistematizzata, che si palesa nella rete organizzata di furti ed estorsioni, nella recrudescenza dello spaccio della droga, nel mercato sempre più fiorente dell’azzardo e dell’usura.
Questa, che dobbiamo chiamare, senza ambiguità, realtà mafiosa, non è perimetrabile attorno ad una precisa area di affari, di appartenenze, di famiglie, quasi fosse un mondo distinto e parallelo al nostro. Quella logica spesso si infiltra nella gestione economica e amministrativa delle città, generando zone d’ombra. La pratica diffusa del clientelismo e la rete di favori reciproci all’attenzione dalla magistratura indicano che in alcuni casi i tentacoli della criminalità si allungano nelle zone di competenza delle Istituzioni, seducendo le stesse, e minando i presidi della legalità, che dovrebbero invece rappresentare lo Stato, garantire tutti i cittadini, operare con trasparenza, soprattutto in materia di appalti e commesse. Dunque, diventa più che mai necessaria una lettura politica delle dinamiche amministrative nei nostri territori, ricostruendo i percorsi talvolta tortuosi di liste elettorali ed alleanze. In questa lettura si impone una rinnovata attenzione ai percorsi personali dei candidati, alla ricerca della garanzia di una statura morale che non lasci spazio a dubbi o pendenze.
La logica mafiosa non è solo appannaggio di criminalità e amministrazioni deviate: spesso pervade pensieri, comportamenti, azioni dell’uomo comune. Diventa cultura, cambia il modo stesso di vivere da cittadini. Si nutre della diffusa mentalità di chi cerca il favore del potente di turno, la via breve, l’escamotage per fare i propri interessi, l’occasione per prevaricare, bypassare, sgomitare, per arrivare a perseguire i propri scopi, complici la lentezza degli iter burocratici, delle trafile corrette, dei tempi legali.
“Chi maneggia festeggia” è un detto popolare che racconta dati di fatto accettati come fossero scontati, di cui non ci s’indigna più. L’illegalità diffusa è un sistema subìto con tacita sopportazione, quasi endemico al quieto vivere nelle nostre città. La cortigianeria, con la prassi del favore dato e ricevuto, sembra ormai entrato in una sorta di codice radicato a livello popolare. Può anche capitare che il sistema delle conoscenze e delle amicizie lambisca ed interessi corpi intermedi del tessuto cittadino, enti, associazioni, anche le nostre comunità ecclesiali.
Il convincimento che nessuno dà niente per niente, dunque tutto si baratta, riguarda anche la pratica del consenso elettorale, e quindi la propria autonomia di pensiero, la propria libertà, il proprio orientamento politico. La delusione e la sfiducia nelle persone che ricoprono cariche istituzionali, giustifica repentine
conversioni, alla ricerca di un qualsivoglia vantaggio personale. Così succede che si diventi numeri in quota ad un pacchetto di voti, messi sul tavolo per stipulare accordi, avanzare richieste, distribuire poltrone. Non più persone, cittadini, da conquistare con la forza delle idee, di una visione della città, di un programma, di un curriculum specchiato, di una passione politica. Numeri divisi in pacchetti, alla cui soddisfazione si provvederà con un contentino.
Come laici della comunità ecclesiale dovremmo fare la nostra parte per contribuire a promuovere cittadinanza attiva, con uno sguardo critico sulla realtà, un rinnovato bisogno di impegno civile, una mentalità libera dalle logiche dell’opportunismo. Dobbiamo rilanciare l’idea e la pratica di una politica autenticamente generativa. Nel film È stata la mano di Dio, Sorrentino lancia l’ormai celebre battuta “Non ti disunire!”, un invito a rimanere interi ed integri, a non perdere l’intima coesione con sé stessi, fatta di coerenza tra la propria identità, i propri fondamentali da un lato, e le scelte espresse dall’altro. In occasione delle prossime amministrative, facciamo nostro quell’appello: Non ci disuniamo! Manteniamo questa unità, che ci fa scegliere candidati e liste in base a ciò che riteniamo, nell’intimo della coscienza, oggettivamente più giusto, coerente, in linea con quanto di costruttivo, onesto, libero, possiamo garantire oggi, per domani, alla nostra città in termini amministrativi.
“Non disunirci”, non cedere al pessimismo o alla superficialità, è un atto di responsabilità personale, che ha un riverbero ed un impatto decisivo sulla collettività.
Direttivo della Consulta diocesana delle Aggregazioni Laicali
Ufficio diocesano della Pastorale Sociale e del Lavoro