Nino Rota secondo Gianni Guarino
Scrivere di Nino Rota e della sua musica non è certamente agevole e forse neanche consigliabile; si rischia infatti di essere compreso soltanto dagli addetti ai lavori. Non può, tuttavia, rimanere sottaciuto ciò che Gianni Guarino, maestro di Arte Scenica (molfettese di nascita, ma residente da anni a Polignano, baritono oltre che carissimo amico di vecchia data) compie, ormai da vari anni, in quel di Monopoli, sede del Conservatorio dove egli ha la docenza. Guarino, spinto dalla volontà di riportare in auge il Rota non fi lmico, ne evidenzia il rilievo storico-musicale attraverso la riproposizione di una produzione musicale immeritatamente sconosciuta ai più, quale è quella delle opere liriche del Maestro. Egli opera nella convinzione che Rota non debba più apparire nell’immaginario collettivo unicamente come il compositore delle musiche dei fi lm di Fellini; Guarino si colloca idealmente sulla scia di quei musicisti colti del Novecento che non disdegnarono di eseguire la musica di Rota, in anni in cui dominavano le “aristocratiche” istanze dello strutturalismo di Darmstadt. La rivalutazione del Rota non fi lmico di Guarino si è concretizzata negli allestimenti de Il cappello di paglia di Firenze (farsa musicale in 4 atti) nel 2009, de I due timidi (commedia lirica in un atto) rappresentato insieme con La notte di un nevrastenico (dramma buff o in un atto) nel 2010 e di Aladino e la lampada meravigliosa (fi aba lirica in tre atti ed undici quadri) allestita a luglio di quest’anno. Guarino ha aff ermato che «nella musica del compianto Maestro, c’è una essenza didattica notevole, una forza scenico-musicale che è stimolo a tutte le parti che compongono la formazione di un musicista […] l’originalità mai scontata, la forza della parola musicale narrata, mai superfi ciale». Nell’ottica quindi della diffi cile riscoperta e riproposizione di un repertorio desueto, appare quanto mai appropriato lo spunto indicato dalla professoressa Adriana De Serio che, nel recensire l’allestimento di Aladino, ha fatto riferimento al fi losofo e sociologo Edgar Morin: nel corso della storia, abbiamo spesso visto che il possibile diventa impossibile,ma abbiamo anche visto che l’insperato diventa possibile e si realizza. Abbiamo spesso visto che si realizza l’improbabile più che il probabile. Occorre dunque sperare nell’insperato e operare per l’improbabile. E’ questa la mission di Guarino, onere di cui lui stesso si è già fatto carico. Il meritorio lavoro di riscoperta (condotto con competenza, giacché esperto del palcoscenico, per averlo calcato da anni) si colloca accanto a ciò che é avvenne (a partire dagli anni Sessanta del ‘900) in maniera episodica per il Rota sacro, proposto a Noci, Bari e Molfetta anche grazie ad uno dei maestri dello stesso Guarino, don Salvatore Pappagallo; basti pensare ad esempio alla Messa Brevis o a Il Natale degli innocenti. Spaventa la grandezza e la poderosa espressività del Rota sacro quale appare, ad esempio, nell’oratorio Mysterium Catholicum (commissionato a Rota nel 1962, su testo latino elaborato con Vinci Verginelli, a partire da passi biblici ed evangelici) che fu eseguito a Bari nel 1964 (con i cori delle basiliche romane, i pueri cantores della Cappella Giulia e quelli del Conservatorio di Bari). Alla fi ne degli anni ’90 il Mysterium fu poi eseguito con la partecipazione del tenore molfettese Damiano Capurso, voce prediletta da Rota sin dai tempi degli studi di canto in conservatorio a Bari (ecco quindi un altro legame di Rota con Molfetta). Altro grande lavoro sacro di Rota, La Vita di Maria (rappresentazione sacra per soli, coro e orchestra, concepita sull’idea di musicare alcuni capitoli del Vangelo di S. Luca che raccontano l’infanzia di Gesù), aspetta di essere rivalutato e rieseguito nel suo alveo naturale, cioè in una cattedrale. Che possa essere ancora il maestro Guarino l’apologeta e il “mecenate” intellettuale di tale auspicata riscoperta del Rota sacro? Non è un caso, infatti, che egli sia approdato alla lampada di Aladino che deve, in un certo senso, “illuminare” la scena musicale: verrebbe da dire che non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.
Autore: Gianni Antonio Palumbo