Sono passati ormai oltre 5 anni dal 7 ottobre del 2013. Si sono succeduti quattro governi e due amministrazioni locali. E non è cambiato nulla. Tutto è fermo. In decomposizione, nel cantiere del nuovo porto commerciale di Molfetta. A fine novembre, con grande clamore mediatico, sono state fatte brillare in cava bombe recuperate dai fondali anni fa e reimmerse in mare dallo stesso nucleo sminatori in attesa di fondi e autorizzazioni. E’ stato effettuato il collaudo del ponte, anch’essa una operazione rimandata anni fa ma non determinante per il proseguo dei lavori. A Roma sono le settimane in cui si discute la legge di bilancio dello Stato. Ma solo lontani i tempi in cui ogni anno, a ogni manovra finanziaria, tra i mille articoli piovevano milioni di euro sulla città. Dal 2002 al 2014 sono stati stanziati ben 171 milioni destinati direttamente o indirettamente alla “grande opera”. Poi sono piovuti gli arresti, i rinvii a giudizio, il sequestro del cantiere e tutti i grandi interrogativi sono rimasti irrisolti. Il deus ex machina del progetto, l’ex sindaco ed ex senatore Antonio Azzollini, dopo 5 mandati e quasi 15 anni alla presidenza della commissione Bilancio a Palazzo Madama, non è stato candidato da Forza Italia alle ultime politiche e del suo mirabile sogno non rimangono che macerie e un processo che lo vede tra i 42 inputati per una presunta “maxi truffa”. IL CANTIERE DISCARICA La recinzione di ingresso all’area del cantiere del nuovo porto è divelta. Dal 15 maggio del 2015 l’area è stata dissequestrata, quindi i compiti di vigilanza sono tornati in capo all’amministrazione comunale. Ci sono delle barriere anticarro e un solo segnale, un divieto di accesso. Disatteso dai più. Su quella che sarà la nuova banchina, i molfettesi per tutta l’estate sono andati a fare walking, mountain bike, lo hanno usato come toilette per cani e non solo…, ci sono andati a pescare (nonostante ci sia un divieto) e hanno abbandonato rifiuti vari. Il cantiere è ormai una discarica a cielo aperto di rifiuti, c’era perfino un divano, recentemente rimosso per far bella figura con la Marina Militare che è venuta a prendersi le bombe. Un rogo ha bruciato alcuni rifiuti. Anche i mezzi abbandonati lì, sono diventati rifiuto. Di un furgone è rimasto solo la carcassa. La grande gru, capacità 250 tonnellate, che movimentava i grossi massi di cava e i manufatti di cemento armato non si rialzerà più. I cingoli sono arrugginiti, rubati e danneggiati tutti gli impianti, il lungo braccio meccanico ricoperto di guano riporta sbiadita dal sole ancora l’insegna della CMC, Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna, a capo del consorzio di imprese che si sono aggiudicate l’appalto. Nei pressi della cassa di colmata, secondo le ipotesi accusatorie anch’essa piena di scarti di ordigni bellici risultanti dal dragaggio, hanno collocato i tubi di lancio dei fuochi pirotecnici durante l’ultima festa patronale e i resti dei corpi esplosi sono rimasti tutti lì tra la macchia mediterranea che si fa largo tra la sabbia. Il ponte di collegamento delle banchine, un tratto di strada a 4 corsie, è l’unica parte del progetto che può dirsi inutilmente completata, o oggi collaudata. I COSTI DELLA “GRANDE OPERA” È il risultato di un groviglio amministrativo e giudiziario che non riesce a trovare una soluzione. Il primo progetto esecutivo, approvato il 13 febbraio 2008 dalla Giunta presieduta dall’allora sindaco e senatore Antonio Azzollini, prevedeva una spesa complessiva di 72.000.000 euro. I lavori, da progetto, dovevano essere ultimati entro il 12 gennaio 2012. Tuttavia la presenza, nota ma sottostimata, di migliaia di ordigni bellici sul fondale del bacino portuale, hanno rallentato le opere in mare. Anche l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici aveva evidenziato questo rischio, ma si è andati avanti. Se in modo colpevole lo stabilirà il processo. La CMC ha sollevato le prime riserve al contratto, così Azzollini e l’allora responsabile del procedimento, ing. Enzo Balducci, hanno stabilito di riconoscere per conto del Comune di Molfetta in via transattiva, a febbraio del 2010, l’importo di 7,8 milioni di euro a tacitazione di tutti i danni subiti dalla Cmc per i ritardi. A Balducci, nel 2013, il giudice per le indagini preliminare dispose come misura cautelare gli arresti domiciliari, oggi è tornato a sedere come dirigente in Comune. Sono intervenute già due perizie di variante, con quella del 2011 per non far lievitare i costi dal progetto vengono stralciati e rinviate a successivo appalto il centro servizi, parte del dragaggio e delle attrezzature della banchina. È l’inizio della fine del grande sogno. L’ultimo stato di avanzamento dei lavori, riconosciuto e liquidato alla società appaltatrice a giugno del 2013, è di poco più di 31 milioni di euro per un’opera a circa il 60% di completamento. Il nuovo “Progetto generale di completamento del Nuovo Porto Commerciale di Molfetta”, predisposto dall’attuale amministrazione delle liste civiche guidata da Tommaso Minervini, è stato approvato dalla giunta il 14 maggio del 2018, prevede un importo complessivo di altri 55 milioni di euro. Ora se tutto dovesse andare bene, l’opera costerà alla comunità 86 milioni di euro, 14 in più rispetto a quelli previsti, a cui se si aggiungono le riserve già transate, si arriva a quasi 22 milioni in più rispetto alle previsioni, un totale di 93,8 milioni di euro. E forse non basteranno. Ma tanto sono arrivati complessivamente 171 milioni di euro al Comune di Molfetta che, grazie alla previsione fatta inserire dallo stesso Azzollini nella legge n. 248/2005, può utilizzarli anche per “opere di natura sociale, culturale e sportiva”. E l’amministrazione ne sta facendo ampio uso: dalla ristrutturazione dello stadio al centro minori, in vista c’è l’adeguamento dell’impianto di selezione della plastica e perfino la previsione della costruzione di un teatro comunale. IL PROGETTO DI MESSA IN SICUREZZA Tornando al porto. Da 5 anni sono ancora in mare, non ancora ancorati, 14 cassoni di cemento armato, costruiti a fondamenta della banchina. La testa del molo di sopraflutto, non completato, si sgretola a ogni mareggiata, con pericoli per la navigazione. Ogni anno, mediamente, approdano a Molfetta tra le 20 e le 30 navi mercantili, e c’è l’importante traffico di una trentina di pescherecci. I problemi si sono presentati subito. Infatti, dopo il sequestro tra il custode giudiziario, il Gip e l’amministrazione di sinistra dell’epoca guidata del sindaco Paola Natalicchio, sono intercorsi una serie di tavoli tecnici per definire i necessari lavori di messa in sicurezza. È poi intervenuto, il 15 maggio del 2015, il provvedimento di dissequestro della Procura di Trani “condizionato alla redazione di un progetto complessivo comprendente, in via primaria, le opere di messa in sicurezza e bonifica delle aree di intervento e la sottoposizione del relativo progetto all’approvazione degli enti preposti e del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici”. L’amministratore giudiziario ha stipulato il 2 dicembre del 2014 con l’ing. Gianluca Loliva, il contratto per la “progettazione, direzione Lavori e coordinamento della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori di messa in sicurezza delle opere già realizzate del Nuovo Porto Commerciale di Molfetta”. Lo stesso ing. Loliva, in quanto già componente dell’ufficio della direzione dei lavori, con incarico di direttore operativo, risulta tra i 42 indagati nel procedimento penale in corso a Trani. Il Consiglio Superiore dei Lavori pubblici il 2 febbraio 2018 ha dato il via libera al nuovo progetto predisposto dall’amministrazione Minervini, che prevede un primo stralcio di 26 milioni di euro relativo solo ai lavori di messa in sicurezza. LE PROCEDURE DI BONIFICA L’area è a disposizione del Comune, c’è il nuovo progetto, ci sono le autorizzazioni. Che cosa blocca allora il sindaco Minervini per dare il via libera ai lavori? Intanto si deve ancora completare la bonifica degli ordigni bellici. Nonostante il nucleo Sdai della Marina Militare sia all’opera nel porto di Molfetta da luglio del 2008. Nonostante i 5 milioni di euro dell’Accordo di programma per la definizione del “piano di risanamento delle aree portuali del basso Adriatico”, sottoscritto a novembre 2007 al Ministero dell’Ambiente, siano stati spesi quasi del tutto per la bonifica nel porto di Molfetta. Il fondale del nuovo porto resta una discarica di bombe. La nuova amministrazione ha previsto la spesa di 1,3 milioni per individuazione e smaltimento di ordigni bellici e residui metallici. Ne sono stati recuperati oltre 53.000 di cui 447 a caricamento speciale, tra cui bombe d’aereo e bombe incendiarie. E potrebbero essercene altre migliaia, abbandonate alla fine della seconda guerra mondiale dalle navi in disarmo e dai pescherecci della zona non molto lontano dal bacino portuale. IL PARERE DELL’AUTORITÀ ANTICORRUZIONE Il nodo principale che blocca la ripresa dei lavori è tuttavia legato all’impresa che deve realizzarli. Sotto inchiesta è finita la gara d’appalto bandita nel 2006, con la speciale clausola legata al possesso di una determinata tipologia di draga, di cui solo poche società al mondo dispongono. Tra queste la Cmc, che si è aggiudicata l’appalto. Nel 2008 è intervenuta l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) censurando come illegittima, in quanto fortemente limitativa della concorrenza, la clausola del bando sul possesso della draga, ma Antonio Azzollini volle procedere con i lavori, e proprio questa segnalazione sarà alla base delle indagini della Procura di Trani. La draga in questione, fra l’altro, non ha più operato nel porto di Molfetta e D’Artagnan, dal nome del mezzo della CMC, è diventato quello dell’operazione congiunta della Procura della Repubblica di Trani, Guardia di Finanza e Forestale, che ha portato al sequestro dell’area di cantiere. Nel 2015 un parere dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) firmato da Raffaele Cantone, richiesto dall’amministrazione Natalicchio, sull’affidamento dei lavori di messa in sicurezza, ha richiamato il parere dell’Avcp e la possibilità che il contratto iniziale con la CMC sia nullo per vizi sostanziali. Sarebbe piuttosto necessaria una nuova procedura negoziata. Le ragioni di estrema urgenza non legittimano, per Raffaele Cantone, l’affidamento diretto dei lavori ad un operatore economico precedentemente individuato. Di fatto la CMC non potrebbe tornare a operare sul cantiere, ma sarebbe necessaria una nuova gara d’appalto. Con i tempi e i ricorsi che ne conseguono. Per escludere questa ipotesi, che sarebbe la vera pietra tombale per l’opera l’attuale sindaco Minervini ha chiesto un altro parere all’Anac sul nuovo progetto di completamento. LA VICENDA GIUDIZIARIA Si è entrati nel vivo del processo da gennaio di quest’anno, con un programma di due udienze al mese. È in corso la fase di ascolto dei testimoni e dei periti. Ricordiamo che le trascrizioni delle intercettazioni che riguardavano l’ex sen. Antonio Azzollini, sono state escluse con il voto dell’aula parlamentare del 4 gennaio del 2014: solo Movimento 5 Stelle e Sel si erano opposti. Il Comune di Molfetta si è costituito parte civile, l’amministrazione Natalicchio si era affidata a due super consulenti ma il commissario prefettizio Mauro Passerotti, che si è insediato a luglio del 2016, li ha liquidati in gran fretta e ha affidato tutte le cause all’avvocato campano Raffaele Marciano, molto spesso assente dalle udienze sul porto. La nuova amministrazione può quindi dirsi poco interessata all’accertamento giudiziario dei fatti. Come del resto anche la Regione Puglia e il Ministero dell’Ambiente, i cui legali sono anch’essi spesse volte assenti. Si è ancora lontani dalla conclusione del primo grado di giudizio. LA “GRANDE OPERA” FANTASMA L’opera, oggi, nonostante il grosso investimento dello Stato, è un fantasma. Non compare nei documenti del Ministero delle Infrastrutture e trasporti, non è citata nei documenti sul nuovo sistema portuale italiano predisposto dall’ex Ministro Graziano Delrio, non compare nemmeno tra l’elenco delle altre opere infrastrutturali sul portale OpenCantieri, l’osservatorio ministeriale sui lavori in corso in Italia. Non è una priorità per lo Stato Italiano nonostante i soldi stanziati. Non lo è mai stata. Il porto di Molfetta è classificato come infrastruttura di seconda classe, quindi in capo alla Regione Puglia, ma neanche la Regione Puglia lo considera nelle sue programmazioni e nemmeno nell’anagrafe delle opere incompiute. Che a questo punto in Italia sono 647, più una. È in capo al Comune di Molfetta in ragione di una delega amministrativa conferita dalla Regione Puglia il 23 dicembre del 2002 per lo svolgimento delle funzioni e dei compiti concernenti i lavori di prosecuzione e completamento della diga foranea del porto commerciale della durata di 5 anni. Il Comune ha sempre respinto i tentativi della Regione di revocarla. A Molfetta si discute da vent’anni della costruzione della “grande opera” che avrebbe portato prosperità e ricchezza tanto che l’ex senatore Azzollini aveva dedicato la costruzione del nuovo porto al futuro dei “nostri figli”, con manifesti affissi in tutta la città. In realtà il porto è fuori dai corridoi o autostrade del mare, e anche una volta completato potrà essere al massimo una strada vicinale del Porto di Bari. Sempre che l’attuale amministrazione decida di completare l’ingresso nell’Autorità del sistema portuale dell’Adriatico meridionale, avviata dall’amministrazione Natalicchio, che ricomprende e gestisce i traffici marittimi di Monopoli, Barletta, Manfredonia e Brindisi. Ma nemmeno di questo si discute più ai tavoli politici, né in Consiglio Comunale né in Regione. © Riproduzione riservata