MOLFETTA - “Quando siamo in aereo, non serve che nessun comandante ci dica che siamo a casa”. E’ un’Italia unita da sé stessa, dagli stessi confini naturali, da quelle Alpi che sanno di casa, e ci dicono che è una nazione nata come tale.
E’ probabilmente la più romantica delle frasi con cui Angelo Gadaleta, avvocato e ispettore dell’ Istituto di Guardia Nazionale tombe del Pantheon e membro dell’associazione Eredi della Storia racconta la Nazione e la Cittadinanza nell’incontro voluto a Molfetta dall’associazione Eisère, presieduta dalla prof. Lucia Sgherza.
“Costantino Foschini dice che Molfetta è la città più risorgimentale di Puglia”, inizia il giovane avvocato molfettese, “e noi non ci facciamo neanche caso, ma in città ci sono statue per tre delle quattro più grandi personalità del Risorgimento italiano. La carboneria si riuniva in Palazzo De Dato, e nonostante la rilevanza di Molfetta nel contesto del Regno delle Due Sicilie, in città c’era un importante fermento unitario”.
Parte un excursus su tutti gli avvenimenti che portarono all’Unità: dallo sbarco di Marsala e la battaglia di Calatafimi, dove fu il non avere una tecnica di combattimento da parte dei garibaldini a prendere alla sprovvista l’esercito borbonico, numericamente superiore, alla risalita attraverso Palermo, Messina, Napoli, al primo governo provvisorio dopo la fuga di Francesco II, la battaglia di Volturno, l’assedio di Gaeta, la caduta del regno borbonico, e l’azione parallela, a Torino, di Cavour, il delicato equilibrio mantenuto con i francesi, l’assalto dell’esercito piemontese allo Stato Pontificio con il Sud Italia ormai liberato, l’incontro di Teano, l’autoproclamazione di Vittorio Emanuele re d’Italia il 17 marzo del ’61, anche se mancano ancora lo Stato Pontificio e il Veneto (Roma verrà annessa nove anni più tardi).
“Fino ad oggi ci sono stati tre tipi di approccio storiografico al Risorgimento: nei primi del ‘900 era la base di consenso e legittimazione della casa regnante, durante il fascismo era interpretato come la culla eroica su cui si era formata la Nazione, e dal dopoguerra in poi, in particolar modo negli anni della contestazione, era diventata la lotta tra movimenti popolari e autorità repressive”, spiega Angelo Gadaleta. “Ma tutto deriva dl comune concetto di Nazione, che intende una comunità ampia, lo stare insieme, non la condivisione dello stesso monarca. Nonostante le differenze, l’idea era quella di una identità, per la storia romana, per il riconoscimento di comuni eroi, per il folklore, per la mentalità comune, per il paesaggio. Nell’’800 si scoprì semplicemente l’anima nazionale, il diritto di condividere sul piano politico quello che da sempre si condivideva sul piano culturale, sociale, artistico, musicale. Anche se l’idea unitaria fece, e fa tutt’ora i conti, con continui dualismi, con mondi separati presentati come diversi e inconciliabili, per esempio la Giustizia e le garanzie, il locale e il globale: l’Italia è comunque anche culla di diversità, lo dimostrano realtà storiche come Firenze, Siena, Pisa, a poca distanza ma segnate da una secolare rivalità. Il concetto di divisione che abbiamo oggi è frutto di tempi andati. C’erano divisioni anche tra gli intellettuali del Risorgimento: i monarchici Gioberti, D’Azeglio e Balbo, i repubblicani Mazzini e Mameli, e il federalista Cattaneo -e in tal senso, Bossi non ha inventato nulla-. Anche Garibaldi, riconosciuto come eroe popolare, era diverso ma complementare a Cavour, abile tessitore”.
La domanda, 150 anni dopo, è cosa ha tenuto unita, allora, un’Italia uguale ma diversa in tutte le sue differenze. “E’ pur vero che l’Unità d’Italia passa per le idee e gli scritti, ma la nazione si è fatta sui campi di battaglia”, sostiene Angelo Gadaleta. L’Esercito è lo strumento fondamentale dell’Unità d’Italia, lo strumento che l’ha fatta, e che l’ha mantenuta unita. Luigi Settembrini lo descriveva come il filo che tiene unita l’Italia dopo averla costruita. Era il cambio nella vita di ognuno degli italiani, aveva impatto, era uno spettacolo laico”.
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