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Mucca pazza a Molfetta: è piena crisi INCHIESTA – Macellerie semideserte. Preoccupati commercianti e allevatori
15 febbraio 2001

Diciamo la verità: ora che al clamore è seguito un vero e proprio allarme sulla questione mucca pazza, ossia sulla carne bovina a rischio BSE (encefalopatia spongiforme bovina) che tanto panico sta creando in tutta Europa e non solo, la sensazione più diffusa tra noi inermi consumatori è senz'altro quella di essere stati presi in giro a lungo dagli enti preposti alla salvaguardia ed alla tutela della nostra salute: governo, regioni, Asl. Si ha l'impressione, infatti, che dal 1996, anno in cui scoppiò la prima epidemia in Gran Bretagna e venne messa al bando la carne inglese, ben poco sia stato fatto se non minimizzare e tranquillizzare l'opinione pubblica, sottovalutando e non affrontando adeguatamente il problema né a livello nazionale né europeo. Se si pensa che i primi provvedimenti comunitari furono presi nel 1989 nonostante risalgano agli anni 70 i primi casi di mucca pazza nel Regno Unito e se si riflette sul fatto che addirittura lo scorso anno la questione venne considerata chiusa togliendo l'embargo alla carne inglese, si può veramente capire quanto sia lunga e pesante la catena delle responsabilità. In realtà venne affidato ad una commissione di esperti il compito di valutare il rischio BSE in Europa solo dopo che la Svizzera iniziò a fare controlli a tappeto nel 1998 segnalandoli l'anno successivo all'Unione Europea. Nel rapporto redatto dai 50 membri incaricati e reso noto a luglio, si afferma che l'Italia, insieme alla Spagna ed alla Germania, figura tra i paesi in cui è più alto tale rischio, nonostante attualmente la malattia abbia dimensioni preoccupanti soprattutto in Gran Bretagna e Portogallo. E' stato solo in seguito che si è capito quanto poco efficace fosse il sistema di analisi fino allora adottato e quanto del tutto insufficiente (forse anche perché inosservato) il divieto di alimentare i bovini con farine animali, adottato nel 1994. Nonostante le direttive europee imponessero di analizzare almeno 235 campioni di cervelli bovini all'anno, di una certa età e con certe precise caratteristiche, nel 1998 l'Italia ne ha analizzati appena 35 e nel 1999 ancora meno e malgrado nel settembre scorso il governo Amato abbia adottato un nuovo sistema di "test rapido" anti-Bse da utilizzare anche su mucche giovani ed apparentemente sane, rendendolo obbligatorio per tutti i bovini di classe "R3" provenienti, cioè, da allevamenti "a rischio farine", negli Zooprofilattici d'Italia autorizzati, per molto tempo non sono arrivati campioni da analizzare. Persino il censimento del patrimonio zootecnico che venne varato nel 1996 e che, attraverso l'identificazione e la registrazione degli animali, mirava a creare una sorta di banca dati ad essi relativa, non è mai stato realizzato in maniera completa ed approfondita, rivelandosi carente d'informazioni e notizie che oggi sarebbero state assai preziose per fronteggiare l'emergenza. Non ci vuol molto, inoltre, a capire che inadeguatezze, leggerezze e ritardi da parte degli organi preposti sono stati in parte determinati anche dai grossi e molteplici interessi economici in ballo relativi ad intere categorie lavorative che oggi appaiono sull'orlo del collasso. Intanto, a livello nazionale, cifre ufficiali parlano di una netta ed inesorabile trasformazione dei consumi alimentari che vedono un calo del 60% della carne bovina nelle città (in provincia è leggermente inferiore) contro un aumento del 30% di pollame e maiale, del 10% di salumi e del 20, 30% del pesce con una conseguente incidenza anche sui prezzi. Noi di "Quindici", sempre attenti alla realtà locale ed all'impatto che su di essa hanno i grossi e piccoli eventi di ogni tipo, nazionali e non, abbiamo pensato di parlare direttamente sia con i macellai, anello di congiunzione tra produttori e consumatori, sia con questi ultimi che, condizionati spesso da informazioni inesatte o di parte, stanno generando crisi tra gli operatori del settore riducendo gli acquisti di carne in genere e diversificando le loro richieste in tal senso. Viaggio …nella carne invenduta Supermercati Sisa, via Molfettesi del Venezuela, ore 10,30 del mattino. Il banco è fornitissimo, ma la carne rossa appare nettamente in minoranza. Alcuni clienti la guardano con sospetto, sembrano tentati dalle mille o duemila lire in meno al chilo sui vari tagli, poi sembrano ripensarci e ripiegano su cosce e filetto di pollo. Chiediamo a Gianni, uno degli addetti al banco macelleria, come vanno le vendite: scuote la testa e risponde che da Natale quelle di carne bovina sono calate del 70% ma che già a novembre si erano avute le prime avvisaglie. Per quanto riguarda la carne bianca i consumi sono aumentati del 20, 30% e si vendono tranquillamente pollame, tacchino, maiale, agnello. Naturalmente la forte richiesta ha fatto aumentare i prezzi di questi ultimi, ma in genere nei supermercati si tratta di aumenti lievi. Una signora interviene nella discussione e dice che in questo periodo molti ricorrono alla carne equina, indicandoci nel banco un pezzo grosso e rosso. Chiediamo se si può vendere, il banconista risponde che occorre l'autorizzazione dell'ufficiale sanitario. Un signore si lamenta del fatto che non può portare carne bovina a casa (nemmeno quella da fare in brodo), perché i figli e la moglie non vogliono assolutamente mangiarla da quando hanno visto in televisione un documentario su una ragazza affetta dal morbo di Creutzrfeld-JaKob. Cosa comprerà allora oggi? Il solito filetto di pollo e tante verdure: bietole, spinaci, cavolfiori, ecc. Non compra pesce? Per il pesce dipende molto dai giorni e poi, a Molfetta il pesce si è sempre mangiato. Un'altra signora dice che lei compra solo carne tritata bovina. Le facciamo osservare che proprio quella è pericolosa perché non si conoscono i pezzi che vengono macinati. Alza le spalle e si allontana mentre un'altra donna fa notare che non compriamo carne ora che i controlli sono più accurati, mentre in passato, quando tali controlli non esistevano, chissà quanta ne abbiamo mangiata e di cattiva qualità. Chiediamo se hanno sentito parlare anche di antibiotici, ormoni, diossina, tutte sostanze nocive che inquinano anche la carne bianca e fanno male alla salute. Rispondono che la carne non può essere del tutto eliminata, altrimenti cosa si mangia? Macelleria di Malerba Giuseppe - Via Bari-35, ore 12. Sarà anche colpa del tempo (piove), ma il titolare ci sembra veramente afflitto mentre poggia un pezzo di carne anemica sul banco e si accinge a tagliarlo sconsolato. Anche lui dice che non c'è più richiesta di carne rossa e che le vendite sono calate del 70-80%. Per quanto riguarda le macellerie il problema si pone anche per la carne bianca, ma comunque sarebbe impossibile pensare di compensare le perdite vendendo qualche pollo e coniglio. Gli chiediamo se veramente i macellai riescono a garantire la carne che offrono: appare quasi offeso e vorrebbe mostrarmi i certificati che arrivano dal mattatoio e accompagnano la merce acquistata. Secondo lui l'offerta di carne equina sta aiutando molti macellai ma richiede una specifica autorizzazione dell'ufficiale sanitario e pare che non l'abbiano tutti. Come vede la sua situazione lavorativa futura? Risponde testualmente: "Nera. Non credo che tutto questo passerà presto, forse occorreranno degli anni". Parliamo con qualche cliente che intanto è entrato ed ha fatto tornare il sorriso sul viso del signor Malerba. Una signora non compra più carne rossa perché "ha paura di ciò che si sente in giro"; una ragazza continua tranquillamente a mangiarla perché non ama il pesce e "chissà quanti altri pericoli ci sono in ciò che mangiamo"; altre persone non vogliono rilasciare dichiarazioni in merito ma vedo che comprano maiale e pollo. Macelleria di Cipriani Giovanni - Via Baccarini-145, ore 12,30. Una leggera musica in sottofondo rende l'atmosfera più serena, ma le facce del titolare e del suo aiutante sono imperscrutabili. Qui le vendite sono calate addirittura del 90%, per cui le forniture si riducono al minimo, poiché si vende “giusto qualche fettina”. La crisi è cominciata a novembre e scarseggiano perfino i clienti abituali, insomma quelli più fidati. Si vende agnellone e poi pollo e maiale il cui prezzo è aumentato di 2.000, 3.000 lire al chilo. La merce esposta si compone soprattutto di preparati a base di pollo e tacchino (involtini, spinacine, cordon bleu, ecc.) che sono, in questo momento, i più richiesti, ma il titolare afferma: "Il nostro mestiere è vendere carne bovina e quello vogliamo fare. Se la situazione non cambia saremo costretti a chiudere, perché si lavora poco e le spese sono tante. Vendere ciò che vede nel banco non ci aiuta di certo, perciò chiediamo al governo di farci pagare meno tasse e di risolvere in qualche modo i nostri problemi". Il giovane collaboratore interviene timidamente dicendo che, secondo lui, "certi programmi televisivi fanno solo spaventare la gente invece d'informarla. Bisognerebbe dire che qui da noi non si allevano mucche ma vitelli e che quindi, fino a 24 mesi, non ci sono problemi". Non intervistiamo clienti perché la macelleria è vuota, malgrado la musica... Beatrice De Gennaro
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