Mostra “Via Crucis” al Museo diocesano di Molfetta, con le meditazioni di Mons. Amato e le opere del pittore Vito de Leo
Gianni Antonio Palumbo, redattore di “Quindici” ha presentato la rassegna: “La prosa meditativa e lirica del sacerdote è un gioco di specchi tra Antico e Nuovo Testamento e modernità”
MOLFETTA - Il Museo diocesano di Molfetta, per il periodo quaresimale ha organizzato una mostra aperta dal 5 marzo al 4 giugno, sulla tematica della Via Crucis, composta dalle meditazioni di Mons. Domenico Amato e dalle opere dell’artista Vito de Leo, in collezione Amato. Evento artistico per ricordare la figura dell’eccezionale sacerdote, prematuramente scomparso il 4 ottobre 2015, nonché Vicario Generale e Amministratore Diocesano e apprezzare una ventata di modernità sferzata dal pittore De Leo (nella foto: De Leo, Amorosini, vescovo Cornacchia, Gianni Palumbo).
La mostra è stata introdotta da una presentazione del sacerdote don Michele Amorosini, direttore del Museo diocesano, che ha ricordato l’uomo di chiesa come un instancabile messo apostolico al servizio di Dio, carismatico e curioso. In secondo luogo il prof. Gianni Antonio Palumbo, apprezzato redattore di “Quindici”, dopo aver ricordato il caro amico Mons. Amato, con cui ha collaborato alla redazione del periodico diocesano “Luce e vita”, ha analizzato la tematica della mostra. Introduce l’argomento all’ingente numero di spettatori della platea, dicendo: “Facendo connubio di lirismo meditativo e astrazione simbolica questa Via Crucis, che coniuga le quattordici stazioni in preghiera di Mons. Domenico Amato e le suggestioni artistiche da esse suscitate nella creatività di Vito de Leo (rosario di colori le ha ben definite Pasquale Vitagliano”. La prosa meditativa e lirica del sacerdote è un gioco di specchi tra Antico e Nuovo Testamento e modernità e le 14 stazioni sono influenzate dal libro di Giobbe e dal suo concetto di “sofferenza del giusto”, sofferenza che ha provato lo stesso Cristo nella sua reale Via Crucis, diventata “via lucis” per riscattare l’intera umanità e che prova ognuno di noi, durante il proprio percorso di vita.
Le meditazioni, spiega in maniera minuziosa Palumbo, sono impreziosite da molte figure retoriche come le anafore e le ripetizioni che rifiniscono elegantemente la semplicità delle parole. “Le prose sono fiori spontanei che parlano al cuore”, aggiunge, facendo alcuni esempi delle opere. La stazione 4, in cui c’è l’incontro di Cristo con la Madre e in cui il pittore de Leo ha messo in risalto la parola latina “lumina”, in omaggio al pittore Chagall per la rotondità della figura che rimanda alla donna in cinta raffigurata dall’artista bielorusso.
La stazione 5 che rimanda al momento di condivisione del peso della croce tra Gesù ed il Cireneo che viene sintetizzato nella parola “soavitas” , figura di Cireneo che nella presentazione della mostra viene, metaforicamente, rivestita dall’amico del pittore Pasquale Vitagliano, testimone della congiuntura favorevole tra le due personalità del sacerdote e del pittore che ci spiega il rapporto tra i due, dicendo: “hanno deciso di intraprendere lo stesso cammino di retrocessione per ritrovare il senso autentico delle cose, attraverso un processo di scarnificazione.”
In seguito viene presentata la stazione 10, in cui viene espressa la tematica della nudità di Cristo, sinonimo di purezza, a differenza di quella degli uomini che è sinonimo di inadeguatezza. Il pittore metaforicamente dipinge l’uomo “nudo” senza “amor, labor, cognitio, pax”, facendo un omaggio al pittore statunitense Pollock.
Infine, emblematica è l’ultima stazione, la quattordicesima in cui unico protagonista è il concetto del “silentium”, leitmotiv di coloro che non hanno difeso la figura di Gesù durante la sua vita, del dolore che ha provato la Madonna a cui è stato strappato il figlio e dell’attesa del Mons. Amato nel mormorio sommesso del mondo, indifferente, in lontananza.
In seguito significativo è stato l’intervento del fratello del sacerdote, Sergio Amato, che lo ha ricordato con parole d’affetto, accentuando l’aspetto umano della sua figura, dipingendolo come una personalità umile, vicina alla gente, coriacea e curiosa che, dopo aver conseguito la maturità scientifica ha deciso di devolvere la sua vita al servizio della Chiesa. Il progetto, formulato dal lontano 1998, finalmente ha avuto una concretizzazione, ed invita ogni individuo a compiere la sua “via lucis” personale in maniera profonda e meditativa.
Infine il vescovo della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, mons. Domenico Cornacchia, contento di aver presenziato alla presentazione della mostra, ha ricordato la curiosità del sacerdote, suo alunno della materia di teologia spirituale alla facoltà di Teologia di Molfetta. Inoltre ha invitato l’uditorio ad “ascoltare” l’arte sia attraverso le orecchie, sia in maniera profonda, attraverso il cuore.
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Autore: Marina Francesca Altomare