MOLFETTA - Non si tratta del rapporto di qualche nostro ministro circa il capitolo di spese relativo alla scuola pubblica, elaborato al mero scopo di prevedere nuovi tagli al settore istruzione (ormai sarebbe come far fuoco sulla Croce Rossa), ma di un gradevole spettacolo vintage con testi di Mimmo Amato, in scena il 13 settembre nel Chiostro della Fabbrica di San Domenico.
L’allestimento è il frutto di una feconda collaborazione tra il Collettivo Teatrale “Gli Alchemici”, rappresentato da Giulio Bufo, e il gruppo diretto da Amato. Quest’ultimo, raffinato poeta in vernacolo molfettese, redattore del “Gruppo La Vallisa”, è ormai da anni all’opera nel settore teatrale con messinscene vintage, pout-pourri di brani poetico-prosastici di varia provenienza abilmente amalgamati dall’autore (con uno sguardo peculiare al teatro di rivista e all’avanspettacolo). Tra questi, non possiamo non menzionare i bellissimi Il poeta Totò (2006) e, soprattutto, Eduardo (2004).
Cara scuola è una dolceamara riflessione sulla scuola, sospesa tra passato e presente e infarcita di gag che assumono come filo conduttore le differenti discipline di studio e i momenti topici dell’anno scolastico. Traspare una certa nostalgia per quei tempi in cui gli studenti si avvalevano ancora delle formule chimiche per comunicarsi messaggini d’amore o disamore; a questo faceto lessico à la Mendeleev è oggi subentrato il balbettio cavernicolo da sms o da social network.
Si percepisce una certa ironia sul “metodo del coinvolgimento e della partecipazione” ma anche sui fautori di una didattica ancien règime; la scelta musicale (Venditti e Bennato in primis) lascia intuire l’anelito a un’istruzione che non sia omologante massificazione: la salvezza risiede nel tanto sospirato “posto in banca” o nella facoltà di pensare e agire da uomini sino in fondo?
Cara scuola appare uno spettacolo ben ideato e capace di soddisfare le esigenze di un pubblico stratificato: lo spettatore medio potrà bearsi di flatulenze, della pedagogia ciardiana e dell’apulo acetum; il pubblico colto avrà pane per i suoi denti, con i richiami a Marziale VIII, 54 (il sardonico epigramma a Catulla), o con le spassose incursioni sulle astruserie filosofiche da Aristotele al superbo Eraclito, poeta dell’oscurità. O potrà incantarsi nostalgico sul petroliniano Fortunello, rievocato con deliziosa gigioneria da Mimmo Amato.
Convincente il cast dell’allestimento; precisi i tecnici (Lucio De Palma, Antonella Amato, Francesco Scagliusi), brave e armoniose le coreografe-ballerine Anna Capodieci e Giusy Andriani. Giusi Andriani merita un plauso particolare per la sua performance canora, che conferma come, anche alle prese con brani insidiosi, la giovane interprete sia uno dei talenti più meritevoli di valorizzazione nel panorama musicale molfettese. Una sicurezza la presenza, alle tastiere e alla chitarra, di musicisti di valore come Vito Mongelli e Vito Vilardi. Onore al merito degli attori: alla solidità di Giulio Bufo, che ci piace soprattutto nella scena dell’Amarcord chimico; alla versatilità (specie nello spaziare dallo spagnolo al latino, dal professorale al furbesco) e all’innata vis comica della bravissima Tania Adesso; all’istrionismo discreto (espressione che potrebbe apparire paradossale) e dolcemente melanconico del mattatore Mimmo Amato.
Il finale è agrodolce: all’immagine della promozione di massa al termine del tanto temuto esame di maturità sembra subentrare il presagio delle tante bocciature che la vita, purtroppo, sancisce e che un sorriso, sbocciato all’improvviso, può contribuire a rendere meno amare...
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