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Molfetta, si allunga l'attesa per la sentenza del Consiglio di Stato sullo scioglimento del consiglio comunale. Le chiacchiere in città
24 gennaio 2014

MOLFETTA – Prosegue la lunga attesa di una sentenza che tarda ad arrivare e provoca a Molfetta un turbinio di chiacchiere da bar, nella buona (o meglio cattiva) tradizione locale.

Il Consiglio di Stato (nella foto, la sede a Roma) che dovrebbe decidere sulla validità delle ultime elezioni amministrative per un difetto burocratico dell’autenticazione di firme da parte di un consigliere provinciale, non si pronuncia ancora. Questo conferma come sia difficile una decisione che alcuni ritenevano semplice e immediata, al punto che l’avevano già anticipata e c’era perfino chi aveva brindato alla sconfitta dell’attuale amministrazione di centrosinistra, sperando in un ribaltamento in tribunale del risultato elettorale.
La nostra redazione e noi stessi continuiamo ad essere assediati dalle telefonate di cittadini che vogliono sapere qualcosa e soprattutto chiedono conferma sulle voci che girano in città. Invitiamo tutti alla calma e a non farsi prendere da un’ansia ingiustificata. Evitate di telefonare: appena sapremo qualcosa, la pubblicheremo qui sul quotidiano “Quindici on line” e sulla nostra pagina Facebook https://www.facebook.com/Quindici.Molfetta?fref=ts

Intanto, lo ripetiamo, le voci sono solo chiacchiere, messe in giro ad arte da chi vuole screditare qualcuno, ma finisce per screditare l’intera comunità.
E’ un vecchio vizio molfettese: l’invidia ha finito per distruggere quello che era stato costruito in passato. Continua tuttora l’opera di denigrazione da parte di mediocri che si nutrono di pettegolezzi che rilanciano nella speranza che il fango distribuito a piene mani, possa essere utile a chi non possiede gli strumenti per governare onestamente e soprattutto nel rispetto delle regole. L’illegalità diffusa in questi anni ha abituato troppa gente a fare i propri comodi a danno, però, della crescita civile, ma anche economica che ad essa è strettamente legata.
Il cambiamento richiede uno sforzo di rinuncia da parte di tutti a un proprio piccolo privilegio e costringe a uno scomodo rispetto della legge e delle regole. Certo è più comodo e semplice, ad esempio, parcheggiare dove ci pare, abbandonare montagne di rifiuti per strada e perfino sabotare le iniziative di chi, faticosamente, cerca di riportare la città ai livelli di dignità di un tempo. E’ anche più comodo e popolare governare all’insegna del lasciar fare, come è avvenuto finora. Ma il risultato è disastroso ed è difficile modificare abitudini consolidate. Pperfino nel confronto con i Comuni vicini Molfetta oggi è perdente e questo è stato uno dei motivi che ha spinto tanta gente a volere il cambiamento, a far tornare l’orgoglio di essere molfettesi e soprattutto a farci sentire una comunità unita e non a farci vergognare per le tante volte che finiamo sulle cronache nazionali per i fatti negativi che hanno caratterizzato gli ultimi anni.
E la stessa spasmodica attesa di questa sentenza che molti auspicano possa ribaltare la volontà popolare, che possa trasformare una sconfitta sul campo in una vittoria a tavolino, conferma il degrado sociale di una parte di questa comunità.

Ecco perché mi sono sembrate significative le parole, pronunciate da Papa Francesco nell’omelia di ieri, sull’invidia e la gelosia, rilanciate su Facebook (qualche volta il social network può rivelarsi utile e positivo e non devastante strumento di demolizione) da don Luca Murolo, che vorrei riproporre qui, ricordando come tante volte il nostro compianto e amato vescovo don Tonino Bello avesse ammonito la comunità a rifuggire da questo vizio capitale. Stupendi i suoi auguri scomodi che “Quindici” ha pubblicato più volte.

Ci piace, perciò, rilanciare anche qui e sulla pagina Facebook di “Quindici” https://www.facebook.com/Quindici.Molfetta?fref=ts le parole pronunciate nell’omelia di ieri da Papa Francesco e pubblicate da don Luca Murolo. Credo che possano rappresentare uno spunto di riflessione per tutti.

 

Aggiornamento di stato

Di Murolo Luca

Nell'omelia di questa mattina il Papa ha messo in guardia dalla gelosia. Essa nei nostri cuori, “è un’inquietudine cattiva, che non tollera che un fratello o una sorella abbia qualcosa che io non ho”. E, senza accorgersene, “porta ad uccidere”. “Proprio per questa porta, il diavolo è entrato nel mondo” ha ricordato Bergoglio. La Bibbia infatti dice: “Per l’invidia del diavolo è entrato il male nel mondo”.
“La gelosia e l’invidia – ha insistito il Papa - aprono le porte a tutte le cose cattive. Anche divide la comunità”. E quando una comunità cristiana “soffre di invidia, di gelosia, finisce divisa: uno contro l’altro. È un veleno forte questo. È un veleno che troviamo nella prima pagina della Bibbia con Caino”. 
Sono due i “chiarissimi” sintomi di questa malattia che colpisce il cuore dell’uomo: “l’amarezza” e le “chiacchiere”. “La persona invidiosa e gelosa è una persona amara non sa cantare, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia, sempre guarda ‘che cosa ha quello ed io non ne ho’. E questo lo porta all’amarezza, un’amarezza che si diffonde su tutta la comunità”.
Persone così “sono seminatori di amarezza”. Ha evidenziato il Papa: “Questo non tollera che quello abbia qualcosa, la soluzione è abbassare l’altro, perché io sia un po’ alto. E lo strumento sono le chiacchiere. Dietro una chiacchiera c’è la gelosia e c’è l’invidia”. Le chiacchiere “sono le armi del diavolo”, ... “Quante belle comunità cristiane” sono state distrutte per il risentimento e le dicerie insinuatesi nell’animo di un solo membro della comunità. “Una persona che è sotto l’influsso dell’invidia e della gelosia uccide”, ha affermato il Papa. Lo dice anche l’apostolo Giovanni: “Chi odia il suo fratello è un omicida”, e “l’invidioso, il geloso, incomincia ad odiare il fratello”.
Allora “oggi preghiamo per le nostre comunità cristiane, perché questo seme della gelosia non venga seminato fra noi, perché l’invidia non prenda posto nel nostro cuore, nel cuore delle nostre comunità, e così possiamo andare avanti con la lode del Signore, lodando il Signore, con la gioia”. “È una grazia grande – ha concluso - la grazia di non cadere nella tristezza, nell’essere risentiti, nella gelosia e nell’invidia”.

© Riproduzione riservata

Autore: Felice de Sanctis
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1°parte. - Al di fuori della politica l'uomo ha fatto miracoli: ha sfruttato il vento e l'energia, ha trasformato sassi pesanti in cattedrali, è riuscito a controllare e vincere quasi tutte le malattie, ha cominciato a penetrare i misteri del cosmo. “In tutte le altre scienze si sono registrate notevoli progressi” ebbe a dire una volta John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti “ma non in quella del governo, la cui prassi è rimasta immutata.” Esistono quattro tipi di malgoverno, spesso combinati fra loro: la tirannia, l'eccessiva ambizione, la inadeguatezza e la decadenza, e, infine, la follia o la perversità. Ma follia e perversità, potrebbe obiettare qualcuno, fanno parte della natura umana, e allora per quale ragione dovremmo aspettarci qualcosa di diverso dagli uomini di governo? La follia dei governi preoccupa perché si ripercuote con effetti più negativi su un maggior numero di persone; di qui l'obbligo per i reggitori di stati di agire più degli altri seconda ragione. Tutto ciò è risaputo da tempo immemorabile, e allora perché la nostra specie non ha pensato a prendere precauzioni e a cautelarsi? Qualche tentativo è stato fatto, a cominciare da Platone, che propose di creare una categoria di cittadini destinati a diventare professionisti della politica. Secondo lui la classe dominante, in una società giusta, doveva essere costituita da cittadini che avevano imparato l'arte di governare, e la sua soluzione, affascinante ma utopistica, erano i re filosofi: “Nelle nostre città i filosofi devono diventare re, oppure chi è già re deve dedicarsi alla ricerca della sapienza come un vero filosofo, in modo da far coesistere in una sola persona potere politico e vigore intellettuale.” Fino a quando ciò non fosse accaduto, riconosceva Platone, “le città e, io credo, l'intero genere umano non potranno considerarsi al riparo dai mali.” E' così è stato. (continua)
2°parte. - Il conte Axel Oxenstierna, cancelliere svedese durante la terribile Guerra dei Trent'anni, parlava con ampia cognizione di causa quando disse: “Renditi conto, figlio mio, che ben poco posto viene lasciato alla saggezza nel sistema con cui è retto il mondo.” Lord Acton, uomo politico inglese del secolo scorso, usava dire che il potere corrompe, e di ciò ormai, siamo perfettamente convinti. Meno consapevoli siamo del fatto che esso alimenta la follia, che la facoltà di comandare spesso ostacola e toglie lucidità alla facoltà di pensare. La perseveranza nell'errore, ecco dove sta il problema. I governanti giustificano con l'impossibilità di fare altrimenti decisioni infelici o sbagliate. Domanda: può un paese scongiurare una simile “stupidità difensiva” come la definì George Orwell, nel fare politica? Altra domanda, conseguente alla prima: è possibile insegnare il mestiere ai governanti? I burocrati sognano promozioni, i loro superiori vogliono un più vasto campo d'azione, i legislatori desiderano essere riconfermati nella carica. Sapendo che ambizione, corruzione e uso delle emozioni sono altrettanto forze di controllo, dovremmo forse, nella nostra ricerca di governanti migliori, sottoporre prima di tutto i candidati a un esame di carattere per controllarne il contenuto di coraggio morale, ovvero, per dirla con Montaigne, di “fermezza e coraggio, due virtù che non l'ambizione ma il discernimento e la ragione possono far germogliare in uno spirito equilibrato.” Forse per avere governi migliori bisogna creare una società dinamica invece che frastornata. Se John Adams aveva ragione, se veramente l'arte di governare “ha fatto pochissimi progressi rispetto a 3000 o 4000 anni fa” non possiamo aspettarci grandi miglioramenti. Possiamo soltanto tirare avanti alla men peggio, come abbiamo fatto finora, attraverso zone di luce vivida e di decadenza, di grandi tentativi e d'ombra. (fine)



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